domenica 30 giugno 2013

Partiti, già andati

All'interno dei maggiori schieramenti, anche se affrontando temi diversi, si è aperta una discussione che pare distruttiva. Una democrazia ha bisogno di corpi intermedi, i partiti sono fondamentali, senza di essi lo sbocco è  sicuramente autoritario.

Nel PDL, Berlusconi vuole rifare Forza Italia; lo spreco di motivazioni, il richiamo allo spirito originario, l'esaltazione del liberismo (che è stato coartato dagli alleati, leggi AN), non è che un coro assordante. Pare che il PDL non si più una sigla attrattiva (parole di Berlusconi), la conseguenza logica sarebbe la sua scomparsa, ma non è così, il Popolo della Libertà resta il luogo per cementare alleanze (parole, sempre, di Berlusconi). E' una contraddizione? ma non fa niente.Il fine è diverso: riaffermare, in un ambito di fedelissimi, la leadership di Silvio Berlusconi, di fatto appannata e quasi contestata di fatto dentro il PDL. Una leadership fondamentale da giocare a livello di governo e in prospettiva, dopo la riforma costituzionale che alla fine mi pare finirà per prevedere una qualche forma di presidenzialismo (magari pasticciata), a livello elettorale a salvaguardia dei danni giudiziari del condannato Silvio Berlusconi.

Ovviamente entro questa trasformazione del PDL si sta giocando una partita di potere, che viene presentata come uno scontro tra falchi e colombe, ma che in realtà è una partita di posizionamento: prendere posto per non perdere ... potere. La cosa non è priva di contraddizioni, intanto da Forza Italia sarebbero esclusi gli ex AN, ma non basta anche i "socialisti" (alla Brunetta) non sarebbero ben visti. Le "colpe" sarebbero ideologiche (troppo scarso liberismo, per esempio, o vizio di statalismo, ecc.) ma in realtà è questione di posti a sedere.

Il M5*, vive un momento di grande tensione, ma anche di disaffezione. Il "verbo" del capo non sembra trovare quel consenso iniziale. Non si tratta solo della diaspora di deputati e senatori, ma di un ridimensionamento complessivo del consenso. La questione non è solo di voti, e quindi di successo, ma di  linea politica. Un movimento che ha nel suo programma di sbaragliare tutto, che nega la possibilità di  alleanze, o ottiene la maggioranza assoluta (anche in breve tempo) o è condannato alla deriva  o è costretto ad alleanze, ma perdendo consenso.

I consoli Grillo e Casaleggio fanno finta di credere ancora alla missione catartica, ma la ragione dovrebbe suggerire il contrario. Ma non possono uscire dalla loro "missione". Sanno che anche un qualche vittoria locale può esaltare il momento, ma non cambia la situazione. Diciamo che sono in un pasticcio da cui usciranno ridimensionati e quindi finiti nel loro spirito originale

Il PD ha in corso una discussione che può sembrare incomprensibile, ma che in realtà nasconde non solo un problema di potere, ma anche un cambiamento della natura del partito. Il "segretario", che verrà eletto da una consultazione aperta, è anche il candidato "primo ministro"? questa discussione impegna il gruppo dirigente, compresi i leader "ritirati": Potrebbe apparire solo una questione di potere (Matteo Renzi, contro tutti), né di una complessa e complicata strategia per ostacolare sempre Renzi, ma investe la natura del partito. Intanto la battaglia si combatte sull'ipocrisia: Renzi è sicuramente il candidato del partito alla guida del governo, ma non può essere il segretario; o ancora Renzi segretario indebolirebbe il governo Letta. Tutte cose vere, ma usate per secondi fini.

Mi pare sia in gioco la natura del partito. Sarebbe del tutto naturale che il segretario del partito fosse anche il candidato alla guida di un eventuale governo, ma questo avrebbe bisogno di un gruppo dirigente coeso, democratico ma rispettoso della volontà della maggioranza, cioè del segretario. Insomma una situazione pari al PCI di Togliatti e Longo (dopo non è stato più così). Separare le due cariche ha solo lo scopo  di costituire due poli di potere (partito e governo) e lasciare l'iniziativa al partito (è questo che sostiene il gopverno), cosa che non vuole Renzi (che già si sente capo del governo e per questo vorrebbe anche la segreteria del partito affinché potesse essere libero nelle sue decisioni). Ma unire le due cariche, nel contesto attuale, significherebbe ridurre il partito a comitato elettorale del premier.

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