martedì 28 febbraio 2012

Diario 163 20-26 febbraio 2012

Diario 163

20-26 febbraio 2012

  • L’Europa aiuta la Grecia
  • Disistima di Monti
  • Il dopo Monti
  • Berlusconi è stato … prescritto
  • Brutte notizie dal Portogallo: con le ricette della troika il debito cresce.
  • La riforma delle Provincie
  • Citazioni: nel bene e nel male

L’Europa aiuta la Grecia

Ipocrisia o qualcosa di peggio? La Grecia rappresenta insieme un monito e un esperimento. Un monito per tutti i paesi (popoli): se non vi adattate ai drastici sacrifici, alla perdita sostanziale dei diritti di cittadinanza, alla riduzione fino alla cancellazione di ogni servizio collettivo, ecco cosa vi può succedere, perderete anche in modo evidente ogni possibilità di autodeterminazione. Un esperimento per verificare gli effetti di una piena applicazione di liberismo e di sostegno al capitale finanziario. Il quale a prezzi stracciati acquisterà il patrimonio (soprattutto immobiliare) che quel paese deve mettere obbligatoriamente in vendita.

Non solo va scritto nella costituzione greca la priorità del pagamento dei debiti sovrani, i fondi graziosamente dati dall’Europa serviranno per pagare i debiti e gli acquisti di armi che Germania e Francia hanno venduto alla Grecia, inoltre un direttorio europeo vigilerà permanentemente sulle decisioni dei diversi ministeri.

Le istituzioni europee si sono accordate e hanno attivato semplici e complessi meccanismi per salvare i creditori; a loro del popolo greco, della disoccupazione, della povertà in forte aumento, della mancanza di medicine, dei bambini sottonutriti, dei senza tetto, ecc. non importa niente, quello che fanno e che escogitano serve solo per sperimentare nuove forme di autoritarismo democratico. Trattandosi di greci per l’occasione viene spontaneo parafrasare il verso virgiliano: Timeo europeos et dona ferentes. Che vale per tutti, Italia compresa.

Disistima di Monti

Monti non deve godere di molta stima tra i politici: Berlusconi non vuole lasciarlo alla sinistra ed è disposto ad appoggiare, dopo le elezioni, un nuovo governo Monti; Veltroni allerta il suo partito perché il professore non venga lasciato alla destra e lo vuole a capo di un governo riformista. Insomma Monti è considerato buono per ogni bandiera. A stima siamo a zero. Ma soprattutto comprensione nulla.

Il liberista Monti sta lavorando bene alla frantumazione e disarticolazione delle forme e della sostanza della nostra democrazia. Basta stare attenti a come parla dei partiti: aulico nel disprezzarli. Il nostro è per una democrazia autoritaria, fondata sul decisionismo “tecnico”, tipica la frase sua e degli altri ministri: “il governo deciderà comunque, con l’accordo o meno delle forze sociali”; una democrazia autoritaria assolutamente coerente con l’affermarsi del liberismo finanziario.

Siamo passati dall’autonomia della politica (cara a Napolitano) all’autonomia delle tecnicità.

Il dopo Monti

In questo clima di autonomia dei tecnici e di democrazia autoritaria le acque del dopo Monti (dopo quando?) sono agitate, o meglio agitatine. Il tema a me pare chiaro, non si tratta di Monti, ma del PD per quel poco di società che rappresenta e per essere, ancora, anche se in modo confuso, il nodo di collegamento con le forze di sinistra.

Massimo Cacciari non perde occasione per lanciare e rilanciare la “grande coalizione”, tutti ancora allegramente dietro Monti. Veltrone, non ricordando il disastro da lui confezionato (dopo il quale avrebbe dovuto andare in Africa, cosa che non ha fatto), ora vuole il partito riformista, che ben si attaglia a Monti, avendolo definito un riformista, essendo le riforme sinonimo di “cambiamento”, chi paga, chi guadagna, non importa.

Ma Monti non credo vorrebbe tornare a Palazzo Chigi, se a Roma pensa che il suo posto sia il Quirinale, ma la sua ambizione è diversa: messa a posto l’Italia ora vuole mettere a posto l’Europa, forse la presidenza della commissione è il suo obiettivo.

Ma proprio perché la casella del Quirinale resti libera sia Casini che Berlusconi lo candidano la governo.

Quello che ci rimetterà le penne sarà Bersani e il PD. Ma ce li rimetterà per insipienza, inconcludenza e incertezza. Cosa vuole? Non dico ora ma dopo le elezioni, e alle elezioni come pensa di andare, non solo come alleanze ma come prospettiva politica e programmatica.

Berlusconi è stato … prescritto

Il popolo, tanto caro a Berlusconi, non potrà sapere se è stato governato da un corruttore in atti giudiziari. Detto francamente a me interessava, qualunque fosse, il giudizio del tribunale. Così ciascuno resta della sua opinione senza nessuna verifica giudiziaria (anche se non da prendere oper oro colato, sempre).

Ho una speranza: l’avvocato e onorevole Ghedini ha lasciato intendere che faranno ricorso perché inseguono una sentenza di assoluzione. Ma resterò deluso né faranno ricorso, né Berluscono rinunzierà alla prescrizione.

Brutte notizie dal Portogallo: con le ricette della troika il debito cresce.

Copio questa notizia da una lettera di Piero Basso

Al contrario della Grecia, il Portogallo ha fatto tutto quello che l'Unione europea e il FMI gli hanno chiesto: tagli alla spesa pubblica, licenziamenti, tagli ai servizi, più tasse, riduzione delle pensioni. Il deficit dello Stato si è ridotto di oltre un terzo (dal 9,1 al 5,6%), e il Portogallo viene considerato il "paziente europeo modello". Il risultato? Il rapporto tra debito e PIL, che era del 107% quando il paese ha ricevuto l'“aiuto” europeo, è salito al 118%, e non tanto perché sia aumentato il debito, ma perché, proprio come conseguenza delle misure adottate, si è ridotto il PIL.

Questa è l'esperienza sofferta dai paesi dell'America latina negli anni '80, quando le drastiche misure di austerità imposte dal FMI hanno ovunque frenato la crescita e quindi la capacità di quei paesi di pagare il debito.

E questo è il destino che minaccia l'Italia e la Spagna (per la Grecia è già in atto), come da tempo spiegano tutti gli economisti, incontrando però l'ostinata opposizione delle banche e dei governi

La riforma delle Provincie

Tutti ci si aspettava o la cancellazione o la riduzione delle provincie, niente di tutto questo, il progetto elaborato dal Ministro prevede la riduzione dei consigliere, ma soprattutto elezione di “secondo grado”, saranno i consiglio comunali ad eleggere consiglieri e presidente. Tutto è buono per ridurre ogni forma di democrazia. Capisco che a Monti il “popolo” non piaccia, soprattutto se si esprime politicamente, ma ai partiti che lo appoggiano?

Citazioni: nel bene e nel male

Pier Luigi Bersani (La Repubblica, 19 febbraio 2012)

“Il governo Monti non potrà fare il 100 per cento di quello che faremmo noi, quindi non posso considerarlo un governo di sinistra o di centro sinistra. Ma rifiuto lo schema che allora è di destra” (la parola più rapida del pensiero? Lo schema destra-sinistra non piace più, ma allora?)

Marcello De Cecco (Affari e Finanza, 20 febbraio 2012)

“Se dobbiamo credere al Fmi ma anche al nostro governo e naturalmente a quelli dei paesi “virtuosi”, una spinta positiva alla crescita verrà dall’effetto di misure di liberalizzazione dei mercati. Tutti sanno, però, che tali effetti si dispiegano, se pure lo fanno, nel medio termine, mentre a breve funzionano solo le misure keynesiane di rilancio della domanda interna o gli effetti sul commercio estero di una svalutazione, in questo caso dell’euro, se import e xport rispondono nella maniera canonica alla variazione del cambio” (“se dobbiamo credere”, ma non ci crediamo)

Emma Marcegaglia (Corriere della Sera, 22 febbraio 2012)

“Vorrei un sindacato che non protegga gli assenteisti cronici, i ladri e chi non lavora” (ha una sua strategia: rendere la situazione ingestibile per favorire la democrazia autoritaria di Monti)

Mario Draghi

“Il modello sociale europeo è superato, come dimostrano gli alti tassi di disoccupazione giovanile in diversi paesi. Sono necessarie riforme per incrementare l’occupazione” (La disoccupazione giovanile dipende dal “modello sociale europeo”, sottointeso un modello che difende i vecchi e non pensa ai giovani. Ci vuole un modello nuovo nel quale i vecchi si abbandono alla deriva e … anche i giovani. Non sarà che altre sono le cause della disoccupazione giovanile?)

Pier Luigi Bersani

“Non immagino che nel 2013 si possa andare alle elezioni proponendo eccezionalità. Spero che si possa andare al voto pretendendo una democrazia normale, dove ci siano progetti alternativi” (cauto, molto cauto, ma qualcosa fa intendere. Ma perché spera, da chi dipende?)

domenica 19 febbraio 2012

Diario 162; 13-19 febbraio 2012

Diario 162

13-19 febbraio 2012

  • Europa, Europa
  • Bersani e il … popolo
  • Bersani e le …. primarie
  • Monti e le … olimpiade
  • Monti la … Chiesa e l’ICI
  • Il Manifesto, una critica
  • Citazioni: nel bene e nel male

Europa, Europa

Non faccio fatica a capire l’importanza di un’Europa unita; faccio credito, come molti scrivono, alla necessità di una democratizzazione delle istituzioni europee; ma…

- se le istituzioni europee fossero e restassero liberiste non credo che questo sarebbe un gran vantaggio per i popoli europei;

- se le istituzioni europee fossero attentissime agli equilibri dei bilanci pubblici come dimostra l’attuale accordo finanziario con una distratta attenzione ai problemi della crescita;

- se le istituzioni europee fossero molto più attenti e accorti agli interessi delle banche e della speculazione che non a quella dei popoli;

- se tutti i ragionamenti sulle necessità di riforma dello SW fossero finalizzate non già al suo allargamento e approfondimento ma alla sua riduzione;

- se la soluzione del problema delle disparità sociali fosse affidata al mercato;

- se si guardasse con sospetto ad ogni attività economica pubblica;

- se la politica economica comune fosse ritagliata sugli interessi delle economia più forti e degli interessi costituiti;

- se ogni ragionamento sui beni comuni fosse etichettato come ideologico;

- se ....

allora si pone un vero problema sulla base di un semplice calcolo dei vantaggi e svantaggi misurati sugli interessi collettivi dei singoli popoli. Uno spirito antieuropeo nasce dal prevalere dei secondi sui primi (non è questione di identità).

Bersani e il … popolo

Il segretario, e tutti gli altri dirigenti, sono molto contenti che il PD risulta essere il “primo partito” in tutte le indagini sulle intenzioni di voto. Fanno finta di non accorgersi che più della metà degli intervistati dichiara che non andrà a votare, voterà scheda bianca o è incerto. Se l’indagine rispettasse veramente e completamente il comportamento degli elettori, sarebbe il primo partito, e gli altri a seguire, di meno di metà della popolazione. Espressione piena della crisi della democrazia delegata. Ci si può consolare con il fatto che questo avviene in tutti i paesi? Credo di no. Che ci sia un problema della rappresentanza, che ci sia uno scollamento tra politica e cittadini, tutti lo dicono, ma nessuno fa niente. Insomma è una costatazione come affacciati alla finestra si dice “oggi brutto tempo”. Quanto pagheranno le forze di sinistra questo distacco? Tutti aspettano di vedere, ma non sarà un bel vedere.

Bersani e le …. primarie

Dopo Genova, che viene dopo Milano, Napoli, Cagliari, ecc. le primarie di coalizione pare che non piacciono al PD (Bersani è più realista). Per loro le primarie dovrebbero avere questo svolgimento: il PD fa le primarie interne, il loro candidato vince nelle primarie di coalizione. Non sono un fanatico delle primarie, ma accettato il gioco bisogna giocare non solo senza trucchi, ma sapendo che i trucchi non funzionano. Anche la scelta di un unico candidato del PD (perché questo pare sia il problema) forse dà qualche speranza maggiore al PD, ma nessuna sicurezza, dipendete da chi scelgono e come questo candidato viene percepito da chi va a votare. Ci sarà un motivo che chi va a votare alle primarie guarda con sospetto (e non lo vota) chi indicato dal partito? Si chiami scollamento, si chiami diffidenza, si chiami stanchezza, comunque la si vuole chiamare è il segnale di una estraneità. Come fa un partito di sinistra di non cogliere la gravità di questo fatto e non cercare di tentare di provvedere?

Monti e le … olimpiade

Monti si è rifiutato di firmare la lettera di accredito (di questo si tratta) per la candidatura di Roma alle Olimpiade. Questo dopo che tutti i partiti della sua maggioranza avevano presentato mozioni a favore. Se non ci fosse stato Monti oggi candideremo Roma alle Olimpiade. Bravo Monti.

La tipologia del rifiuto, tuttavia, non mi soddisfa, è di tipo ragionieristico: troppe spese e poco controllo della loro dinamica. Giusto ma il rifiuto poteva essere accompagnato anche con qualche riflessione sugli effetti degli eventi e le trasformazioni delle città. Sulla loro iattura. Un governo “tecnico” forse avrebbe potuto fare uno sforzo in questa direzione. Ma contentiamoci.

Monti la … Chiesa e l’ICI

Il governo presenterà una norma per cui anche la Chiesa, per i locali non adibiti a culto, pagherà l’ICI, o come si chiama oggi. La pressione dell’Europa e il pericolo di una procedura di infrazione deve aver spinto l’ex commissario europeo ad una posizione di legalità. Mentre aspettiamo il testo della norma bisogna dire: bene! Governi di centro sinistra e di centro destra non erano riusciti a tanto. Attenzione non si tratta di un plauso generale al “governo tecnico”, ma alla semplice constatazione che tra tanti provvedimenti iniqui, alcuni forse inutili, ci scappa qualcosa da condividere.

Il Manifesto, una critica

Ricevo dal mio amico Sergio, la lettera che segue, mi prega di inoltrare alla mia mailing list. Cosa che faccio. In risposta al mio appello, oltre che molti consensi e promesse, ho ricevuto altre note dello stesso tenore di questa di Sergio, ma meno organiche. Questa vale per tutti.

Tutti i collaboratori del giornale hanno da lamentarsi della redazione, tutti hanno avuto l’impressione di non essere considerati, la redazione un gruppo chiuso, ecc. Attenzione i redattori fanno con sacrificio personale il giornale, non è poco. Su l’idea che un gruppo di intellettuali rilevi la testata non dico niente, osservo solo che i redattori sono degli intellettuali.

Ma è meglio fare a meno de Il Manifesto? Questa è la domanda. Io credo di no. Per quanto spesso ci fa arrabbiare, per quanto spesso tratta con spocchia i collaboratori, per quanto ci pare che “alcuni” sono più accetti e coccolati di altri, per quanto tante volte possiamo non condividerne la linea, per quanto secondo alcuni sbaglia in certe sue posizioni, e potrei continuare, non credo che sia meglio farne a meno. Non sono tempi gloriosi per nessuno, neanche per la sinistra, e per la sinistra della sinistra, la confusione, l’incertezza, anche l’ambiguità la fanno da padrone, perché dovrebbe essere diverso per il giornale. Il giorno in cui all’edicola chiedessi Il Manifesto e Alice mi dicesse “non c’è più, ha chiuso”, mi sentirei più povero, politicamente più povero, intellettualmente più povero, non solo mi sentirei, ma risulterei tale. Per questo invito tutti a fare quanto possono perché questa ricchezza non ci venga sottratta.

Caro Francecso,

la mia esperienza con Il manifesto (non parlo di quella antica col gruppo o col PdUD) è di un gruppo di giornalisti piuttosto auto-referenziale che ha bruciato anni fa una collaborazione e una ricerca organica sui temi economici con gli economisti di sinistra più qualificati, per disinteresse, simpatie, o quant'altro (forse la superficialità tipica della sinistra italiana). Con questo ha bruciato la possibilità di mantenere un profilo alto su temi centrali per la sinistra. Questo dimostra come il giornale abbia fallito, mi sembra, nel costituire un punto di riferimento per il dibattito politico nella sinistra (come lo è Il foglio è, a destra, per capirci). Forse un gruppo di intellettuali dovrebbe rilevare testata e tradizione - che è indipendente, a mio avviso, dai giornalisti - spocchiosi assai quando si ha a che fare con loro, mentre uno si immaginerebbe che vadano a braccetto con gli studiosi in una simbiosi continua (lo faranno, ma con chi gli pare a loro e non certo col meglio, per ciò che mi riguarda, degli economisti di sinistra che non hanno mai cercato).

Che il giornale chiuda mi dispiace, ma soprattutto per un paio di amici (non giornalisti) il cui sostentamento dipende o dipendeva dal giornale.

Purtroppo l'appello di Parlato (figura di cui ho ovviamente il rispetto immenso che gli si deve) a inviare critiche e suggerimenti mi pare non solo too little or too late, ma anche non credibile. Se hai elementi che vanno in direzione diversa, ti prego di farmeli sapere. Il mondo con Il manifesto vivo e vitale sarebbe chiaramente un pochino migliore.

Se puoi fra girare queste brevi riflessioni alla tua mailing list, te ne sarei grato.

Ciao

Citazioni: nel bene e nel male

Tobie Nathan (da Una nuova interpretazione dei sogni, Cortina, 2011)

“Silenziosi e umili davanti all’infelicità, abbiamo il dovere di condividere la gioia della conoscenza, di combattere con la forza del pensiero la banalità e la noia”

Goffredo Buccini (da Mani pulite, due volumi a cura del Corriere della Sera)

“Mani pulite non ci ha salvato, forse perché dovevamo salvarci da soli. Dovremo farlo, prima o poi: per non restare ingabbiati altri vent’anni in un déjà vu collettivo peggiore di qualsiasi galera”.

mercoledì 15 febbraio 2012

La fine della crisi, un fuoco fatuo

La fine della crisi, un fuoco fatuo

(da Il Manifesto 15/2/2012)

Francesco Indovina

Tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo: la borsa va su, lo spread va giù. La crisi si allontana. Non c’è da meravigliarsi, contenti perché non hanno capito niente, non capiscono e aspettano che tutto riparta come prima.

Non si sono accorti, né potevano accorgersi dato gli occhiali che indossano, che c’è una mutazione; il capitalismo finanziario non rappresenta una modernizzazione del vecchio capitale, uno dei tanti vestiti nuovi, ma una modifica delle sue ragioni di essere, aiutata dal prevalere della liberalizzazione del mercato, dalla riduzione di ogni regola, dalla cancellazione di ogni controllo. Il “libero mercato” sa regolarsi da solo e avrebbe prodotto ricchezza per tutti.

Pensare che gli “attacchi speculativi” fossero il frutto di una mancanza di fiducia e che, (ri)guadagnata questa, sarebbero cessati è sia una illusione sia l’incomprensione di come questa fiducia è stata guadagnata. La fiducia è stata guadagnata rastrellando risorse dalle tasche dei cittadini (i lavoratori, i pensionati, ecc.) per trasferirli, direttamente o indirettamente, alla finanza. Questa ci premia con qualche gradino in meno dello spread. Fino a quandoè difficile dirlo, ma sicuramente a tempo, quando avanzeranno nuove richieste di sacrifici. Quello che sta avvenendo in Grecia, è un caso di genere, al capitalismo finanziario non interessano i lavoratori, i cittadini, i giovani, o meglio gli interessa per tosarli, è sempre alla ricerca di nuove possibilità di fare soldi con soldi. Pane, scarpe, sigarette, auto, matite, ecc. non gli interessano, non è con la produzione di merci e servizi che guadagna, ma nel gioco perverso del denaro che compra denaro e che guadagna denaro. I derivati impazzano, si inventano nuovi “strumenti” finanziari, così la Deutsche Bank, ha inventato un nuovo bond con il quale si “scommette”, questo è il termine esatto, sulla durata della vita di cinquecento cittadini americani di età compresa tra 72 e 85 anni. Prima muoiono più guadagnano gli investitori. Pare che sia giudicato un bond non etico, ma era etico scommettere sui mutui?

È il presidente degli USA, o quello della Repubblica popolare cinse, o la Merkel o lo stesso Monti che dettano il che cosa fare? Sono i grandi monopoli dell’acciaio, dell’auto, della chimica, del petrolio che indicano la strada? O non sono piuttosto la Banca Mondiale, il Fondo monetario, la Banca europea, la Banca cinese o l’insieme delle banche che dicono ai governo cosa devono fare. Del resto alcune di queste “nobili” istituzioni non hanno scritto lettere, più o meno segrete, al governo Italiano, a quello greco e forse a quello portoghese, e chi sa a quanti altri indicando sacrifici, sacrifici, sacrifici. La Merkel quale autonomia politica esprime rispetto alle banche del suo paese? Monti, il presidente del consiglio del governo italiano, quante volte ha affermato che i provvedimenti che andava prendendo erano necessari perché imposti dall’Europa (leggi Banca europea)? La finanza (definizione impersonale) qualche momento di respiro lo concede. Gioca come il gatto con il topo. In Grecia, accordo o fallimento, ci sarà una forte svalutazione dei crediti, ma la finanza internazionale ha avuto tempo per scaricare sui gozzi, un tempo si diceva “parco buoi”, i cattivi titoli greci, (qualcuno si ricorda cosa è avvenuto con i titoli argentini o con quelli della Parmalat?).

Il capitale finanziario è per sua natura instabile, senza terra e senza patria, pronto a cogliere occasioni speculative, ed esso stesso creatore di occasioni. Quelle che sembrano i segnali della fine della crisi, sono solo fuochi fatui, la crisi attanaglia tutto il mondo perché il mondo è finito tutto in potere del capitale finanziario. La letteratura a questo proposito è ampia e documentata: solo i politici non la leggono o non la vogliono capire.

Se si volesse affrontare la questione dell’instabilità del sistema e del suo stato permanete di crisi il nodo da affrontare è quello del capitalismo finanziario. Ma non c’è sa sperare dalle riunioni dei “grandi del mondo” (8, 16, 22, ecc.) che non riescono a mettersi d’accordo neanche su una modesta imposta sulle transazioni finanziarie. Affrontare il sistema non è questione delegabile, non si tratta infatti di un “ritorno” al passato, magari con un po’ di politica keynesiana, che sarebbe pur utile ma che non si vede, ma di una trasformazione che superi, inizi a superare il sistema. E se il capitalismo finanziario è mondiale non è detto che non si possa iniziare a combatterlo nel singolo paese (che vogliamo fare del nostro debito?). Ci vuole intelligenza, capacità politica, democrazia e impegno di massa, cioè la politica. Detto così siamo presi da scoramento, la nostra politica al massimo partorisce “governi tecnici”, ma non c’è altra strada.

Per questo ci vuole anche Il Manifesto, diamoci da fare.

lunedì 13 febbraio 2012

Diario 161 6 – 12 febbraio

Diario 161

6 – 12 febbraio

  • La Grecia
  • La crisi è in via di soluzione?
  • Non il posto, ma il lavoro
  • Ambizioni e palazzi, per il dopo
  • Posto fisso e salario di cittadinanza
  • Olimpiadi a Roma
  • Voracità
  • Luciano Cafagna
  • Citazioni: nel bene nel male

La Grecia

È spaventoso quello che stanno facendo al popolo greco.

Farebbe ridire se non fosse tragico riandare con la memoria alla discussione e diatriba circa i fondamenti cristiani della costituzione europea. Ama il prossimo tuo come te stesso, recita uno dei comandamenti, ma i greci non devono essere il nostro prossimo. Avranno anche delle colpe, ma che i governanti europei abbiano come loro prossimo da amare i banchieri e la finanza internazionale piuttosto che donne, uomini e bambini greci ci dice che questa Europa è meglio scioglierla.

La crisi è in via di soluzione?

Tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo: la borsa va su, lo spread va giù. Monti trionfa in america. Non si sono accorti, né potevano accorgersi dato gli occhiali che indossavano, che c’è una mutazione nel capitalismo; il capitalismo finanziario non rappresenta una modernizzazione del vecchio capitale, uno di quei vestiti nuovi a cui ci ha abituato in tre secoli, ma una modifica delle sue ragioni di essere, mutazione che è stata possibile ed aiutata dalla liberalizzazione del mercato, dalla riduzione di ogni regola, dalla cancellazione di ogni controllo. Tanto il “libero mercato” sapeva regolarsi da se stesso e avrebbe prodotto ricchezza per tutti. Se qualcosa andava male, lo Stato pagava.

Pensare che gli “attacchi speculativi” fossero il frutto di una mancanza di fiducia e che guadagnata questa sarebbero cessati è sia una illusione sia l’incomprensione di come questa fiducia è stata guadagnata.

La fiducia è stata guadagnata dall’Italia con il rastrellamento di risorse fatto dal governo sulle spalle dei cittadini (i lavoratori, i pensionati, ecc.) per trasferirli, direttamente o indirettamente, alla finanza. Questa, allora, ci premia con qualche gradino in meno dello spread; ma fino a quando? Questo è difficile dirlo, ma sicuramente a tempo. Magari adesso si occupa di … Portogallo.

Pane, scarpe, sigarette, auto, matite, ecc. non gli interessano, non è con la produzione di merci e servizi che guadagna, ma nel gioco perverso del denaro che compra denaro e che guadagna denaro. Il capitale finanziario è per sua natura instabile, senza terra e senza patria, pronto a cogliere occasioni di spoliazione, ed esso stesso creatore di occasioni per spogliare i popoli. Quelle che sembrano i segnali della fine della crisi, sono solo fuochi fatui, la crisi attanaglia tutto il mondo perché il mondo è finito tutto in potere del capitale finanziario. La letteratura è ampia e documentata: solo i politici non la leggono o non la vogliono capire.

Non pare che siano il presidente degli USA, o quello della Repubblica popolare cinse, o la Merkel o lo stesso Monti che dettano il che cosa fare; né sono i grandi monopoli dell’acciaio, dell’auto, della chimica, del petrolio che indicano la strada. Sono piuttosto la Banca Mondiale, il Fondo monetario, la Banca europea, o la Banca cinese che dicono ai governi cosa fare, spedendo lettere più o meno segrete, inviando messaggeri di morte ai governi. Monti quante volte ha affermato che i provvedimenti che andava prendendo erano necessari perché imposti dall’Europa (cioè dalla “segreta lettera” della Banca europea). La “finanza” concede qualche momento di respiro, ma la sua instabilità è la nostra crisi.

Se si volesse affrontare la questione il nodo da affrontare sarebbe quello del capitalismo finanziario. Non è questione delegabile, non si tratta infatti di un “ritorno” al passato, magari attraverso un po’ di politica keynesiana, che sarebbe pur utile ma che non si vede, ma di una trasformazione. E se il capitalismo finanziario è mondiale non è detto che non possa essere combattuto localmente (che fare del debito?). Ci vuole intelligenza, capacità politica, democrazia e impegno, cioè ci vuole la politica. Detto così capisco che tutti siamo presi da scoramento, ma non è detto, e comunque non c’è altra strada.

Non il posto, ma il lavoro

Si può dire che il mercato del lavoro italiano funziona? Certo che no. Non solo c’è il 9% di disoccupazione, che significa oltre due milioni di persone, ma tra i giovani di età compresa tra 16 e 24 anni la disoccupazione è del 31%; ci sono circa un milione di ora di cassa integrazione (che corrispondono a circa 150.000 lavoratori). Ci sono milioni di giovani che non lavorano e non studiano. Si calcola che nei prossimi mesi saranno alcune centinai di migliaia le persone che perderanno il lavoro. Nelle grandi imprese sono di più i lavoratori che escono che quelli che entrano e tra quelli che entrano più del 70% è a tempo determinato. Gli investimenti languono e per quanto riguarda gli investimenti in innovazione l’Italia e tra i paese Europei che non brilla. Il mercato, come piace ripetere, dovrebbe premiare il merito, niente di tutto questo avviene, manager che guadagnano mille e più volte quello che guadagna un loro dipendente, indica che non si tratta di una remunerazione di merito ma di potere. Ci si meraviglia che al primo concorso pubblico (per il posto fisso) si presentano in diecine di migliaia? ma perché no? dovrebbero lasciare perdere per una flessibilità da lavoro a lavoro che non c’è?

Il funzionamento del mercato del lavoro non garantisce occupazione a quanti cercano un lavoro, in più alimenta un rilevante lavoro nero sottopagato. In questa situazione sentire parlare della “fine del posto fisso”, di flessibilità, di giovani che non vogliono rischiare e non vogliono staccarsi dalla gonne della mamma, pare fatuo. La mia mamma avrebbe detto “non facciano ridere i polli”.

La realtà è una sola, il lavoro manca e quello che c’è è sottopagato (anche quello a tempo pieno), e non per una “necessità” di impresa, ridurre i costi per sopravvivere, ma per accumulare ricchezza da parte del padrone.

In questa drammatica situazione sociale il governo Monti affronta la questione del mercato del lavoro in modo sghembo. No si pone il tema di “come aumentare l’occupazione”, ma piuttosto è interessato alle regole di funzionamento e, in particolare, alle rigidità. L’idea forza del governo e delle forze politiche che lo appoggiano (di tutte?) è una sola: liberiamo il mercato da barriere (lacci e laccioli, incrostazioni corporative, ecc.) e la mano invisibile produrrà il miracolo. Non capire, come il mondo insegna, che il liberismo e la libertà di mercato è la malattia e non la cura ci porterà ad accentuare la macelleria sociale (la Grecia insegna).

Gli Stati moderni hanno ampi strumenti di intervento: investimenti pubblici diretti (la ricetta keynesiano fa orrore!), una politica industriale in grado di promuovere strade nuove di crescita economica, politica fiscale, politica della ricerca e dell’istruzione, sostegno finanziario a progetti innovativi. In una fase come quella attuale nella quale tendono a prevalere l’innovazione e nuovi sentieri di sviluppo, si pensi a tutte le questioni connesse alle fonti energetiche rinnovabili, alla manutenzione e messa in sicurezza del territorio, all’economia verde, ecc. sarebbero necessari interventi pesanti e pregnanti dello Stato. Ma non è musica per le orecchie di questo governo, il quale preferisce le prediche su cosa dovrebbero fare i giovani (ma non i loro figli). L’ideologia ottenebra l’intelligenza. I giovani, i disoccupati, quelli in cassa integrazione, non vogliono un “posto fisso”, ma un “lavoro continuativo”, con diritti pari di quello a tempo indeterminato (non si fa giustizia della sperequazione abbassando i diritti di chi li ha).

Ambizioni e palazzi, per il dopo

Silvio Berlusconi, nonostante i suoi recenti “nobili” discorsi aspira, aspira, al Quirinale. Da qui l’accanimento perché non si arrivi ad una sentenza nel processo Mills, se fosse condannato “per corruzione in atti giudiziari”, anche in questa Italia sarebbe una macchia difficile da cancellare.

Pier Casini, il suo problema attuale e non farsi tagliare fuori dai due maggiori partiti. Spera in una legge proporzionale che gli consegni l’ago della bilancia. Ma comunque sostiene Monti a palazzo Chigi, per se stesso il Quirinale, del resto dopo un ex comunista un cattolico peccatore ci sta benissimo.

Angelino Alfano, sogna una rivincita elettorale che gli consegni palazzo Chigi, la rivincita non sembra nell’ordine delle cose, ma non si sa mai. Ma piuttosto è sicuro di arrivare alla scadenza elettorale come segretario del PDL? Sarei cauto.

Pierluigi Bersani, sempre più preso nella rete, ogni mossa lo “ammaglia” sempre più. Per uscire ci sarebbe bisogno di un’alzata d’ingegno di sinistra, ma non ha il carattere adatto e poi il gruppo dirigente del PD non glielo permette. Continuerà, per il bene del paese, a portare acqua e a dissanguarsi.

Mario Monti, è al servizio, ma … non pensa che lo possano riporre al suo seggio di senatore a vita. Non gli spiacerebbe la presidenza della Commissione europea (difficile; ancora un italiano?); a palazzo Chigi non si trova male, casa accogliente, grande riverenza; con il Quirinale sta prendendo confidenza e non gli dispiacerebbe, il fisico adatto non gli manca. Ma se tutto dipendesse da quanto dura, da come dura e da cosa riesce a fare, allora non mi pare messo benissimo.

Posto fisso e salario di cittadinanza

Ricevo dal mio Angelo questa nota, dettata da irritazione, che vi propongo. A me pare che Angelo sottovaluti la questione del salario di cittadinanza che ha la natura di un provvedimento di WS, e non riguarda i licenziati ma tutti i cittadini a garanzia di un minimo livello di vita. La questione, quindi è più complessa sia sul piano teorico che, ancor più, nella sua attuazione. La discussione è appena iniziata.F.

Sono depresso perché intorno a me, non quasi tutti, ma coloro che hanno responsabilità dicono impunemente ogni tipo di fesseria che passa loro per la testa. Tra le tutte vediamo una questione.

La questione del posto fisso, di cui non solo è avversaria, seppur commossa, la ministra Forleo ma, anche se non commossi, il presidente del consiglio, la Confindustria, interi partiti, insomma una quantità tale di gente, da far dubitare che le cose che dicono le pensano e le vogliono realizzare. Sostengono che licenziando i lavoratori si creano posti di lavoro nuovi per i giovani mentre i licenziati (chiaramente anziani) avranno l’ opportunità di trovare altri lavori. Intanto, in generale, in vecchie imprese non ci sono lavori nuovi, ma lavori vecchi, magari modificati nelle metodologie, ma sempre vecchi. Allora perché se ci sono nuovi altri lavori non si assumono direttamente in questi i giovani che avrebbero meno impedimenti alla mobilità ed a imparare nuovi lavori?

Dietro questa bugia c’è una cosa semplicissima: ad una certa età (per esempio 50 anni) non ha più senso economico tenere lavoratori che (per noia, stanchezza, scarso reddito, età, confidenza, complicità creatasi tra le gerarchie, ecc.) hanno scarsa propensione ad aumentare la produttività e costino più cari di altri, è meglio licenziarli. Però non verranno lasciati morire di fame, ma saranno portati a carico dello Stato con l’istituzione di un salario di cittadinanza. Ma cos’è questo se non un ennesimo sostegno all’impresa privata a danno di tutti i cittadini? Butti fuori chi ormai hai sfruttato, paghi meno i nuovi assunti sia in termini di salario che in termini di contributi, e chi si è visto si è visto.

Ai salari di cittadinanza dovranno essere sottratti i contributi previdenziali? Volete vedere che sì. Volete vedere che allora questi salari non consentiranno, alla fine, l’erogazione di una pensione capace di far campare perché sarà erogata in base ai contributi versati (e quelli del salario di cittadinanza sono bassi perché basso sarà il salario)?

Olimpiadi a Roma

In questi giorni il presidente Monti dovrebbe firmare l’appoggio del governo alla candidatura delle Olimpiade a Roma. Le pressioni sono forti; credo che Monti firmerà, è nella sua filosofia economica (e nel suo interesse politico).

Tutto sconsiglia questo evento. I misfatti, gli illeciti, le truffe, le mazzette, ecc. dei più recenti mondiali di nuoto non si riproporranno assicurano (C’è Monti non Berlusconi). Il governo (Passera?) sceglierà uomini adatti e onesti, sarà, ma il tessuto imprenditoriale (edilizio) italiano è talmente intriso di malaffare che uomini adatti e onesti non basteranno.

La crisi sconsiglia che risorse pubbliche vengano impiegate in questo modo (ma poi ci sono queste risorse? Non ce ne sono per le politiche industriali e ce se sono per le Olimpiadi?). Ma si dirà costituiranno un volano economico, gli introiti saranno superiori alle spese ecc. Come dimostrano le ultime Olimpiade non è così: le spese superano le entrate e di molto. Ma saranno un grande volano? Roma accoglie circa 29 milioni di presenze turistiche annue, che sono una ricchezza e anche un problema. Quale potrà essere il volano delle presenze turistiche delle Olimpiade? Azzardo: un milioni in più, il 3,5% in più.

Si ma vuoi mettere i benefici per la città in termini di attrezzature? Altra stupidata. In Piemonte, mondiali invernali, sebbene non siano state consumate truffe e corruzioni (che si sappia) ci sono diversi impianti che devono essere smantellati, la cui manutenzione è costosissima, che non si sa cosa fare. Ma anche in quel caso si sono fatti scempi ambientali e urbanistici. Si perchè la caratteristica dei “grandi eventi” è quella di manomettere la città, operare scelte di convenienza, favoleggiare di usi futuri, ecc. ma i danni restano permanenti. L’unico esempio positivo, ma non privo di critiche, è quello di Barcellona: esisteva un piano serio, che l’amministrazione ha cercato di realizzare cogliendo l’occasione. In generale le nostre esperienze sono classificabili in eventi occasioni per manomettere l’eventuale pianificazione esistente.

Roma non ha bisogno di eventi di attrazione è essa stessa un’attrazione, lo sono le sue chiese e palazzi, i suoi musei, il suo ambiente per quella parte non manomessa, la città stessa.

Una città che vive di occasioni è una città persa per i suoi abitanti e forse anche per i suoi visitatori. Risparmiamo Roma.

Voracità

  • I giocatori si vendevano le partite; un portiere pretendeva 10.000€ per ogni pallone non parato. Poveri, solo così potevano arrivare alla quarta settimana. Paese corrotto … calcio pure.
  • Vendevano l’acqua di rubinetto per acqua di Lourdes buona per guarire anche il cancro. Verrebbe da dire se uno crede a queste cose allora…ma qui importa la voracità che non si ferma d’avanti a niente.
  • La Deutsche Bank, ha inventato un nuovo bond con il quale si investe sulla durata della vita di cinquecento cittadini americani di età compresa tra 72 e 85 anni. Prima muoiono più guadagnano gli investitori. Non ci sono parole.

Luciano Cafagna

Insieme a Massimo, Luciano è stato tra i primi amici che mi sono fatto arrivando a Milano. Lui e Aurora sono diventati i nostri amici di cinema, teatro, cene, vacanze, immersioni. Amici affettuosi e cari.

Luciano era uscito dal PCI con Antonio Giolitti; spirito indipendente di grande intelligenza, storico acuto, ma soprattutto un amico che mi ha arricchito in un periodo per me molto fertile. Con la sua morte mi viene a mancare un punto di riferimenti per la mia memoria.

Per ricordare Luciano le citazioni possono essere infinite, ne scelgo due. Una già proposta da Simonetta Fiore sulla La Repubblica: “Negando le ragioni della politica, si finisce per mettersi nelle mani della cattiva politica: quella dei populisti, dei tribuni carismatici oppure dei neofiti cialtroni”.

La seconda tratta da uno dei suoi primi libri, Il nord nella storia d’Italia (Laterza, 1962), antologia predisposta per spiegare i processi che hanno portato al dualismo italiano (tema sul quale tornerà più volte). Da questo volume traggo una citazioni dalla nota introduttiva allo scritto di Italo Calvino sui fratelli Cervi.

“Questo progresso non è stato solo di natura economica, ma ha avuto notevoli aspetti civili, che per gran parte devono ascriversi a merito della predicazione socialista: evoluzione intellettuale del tipo contadino, intensa partecipazione politica sul piano amministrativo, creazione di istituzioni economiche e culturali fiorenti. Si tratta forse dell’unico esempio di civiltà contadina moderna emersa nella società italiana”.

Citazioni: nel bene nel male

Ulrich Beck (La Repubblica, 6 febbraio 2012)

“La questione della crisi del capitalismo è onnipresente. Perciò si pone in maniera più pressante, e magari con qualche chance in più, il problema di indicare nuove vie, all’interno e persino in alternativa al capitalismo”. (docente alla London Shool of Economics. Leggeranno, capiranno, rifletteranno i nostri politici di sinistra? Speriamo)

Norma Rangeri (La Repubblica, 9 febbraio 2012)

“Dove non è riuscito Berlusconi, ecco che ci è riuscito Monti” (si riferisce alla chiusura de Il Manifesto, ma noi non lo permetteremo, abbiamo bisogno di questo giornale e poi vogliamo dare un dispiacere a Monti e a Passera)

Valerio Onida (Corriere della Sera, 9 febbraio 2012)

La Costituzione (tutt’altro che “inattuale”) ci può solo offrire – e ci offre – congegni istituzionali sapientemente equilibrati (i checks and balene), è il quadro di garanzie e controlli perché questi protagonisti, se ne sono capaci, realizzino i loro fini e perseguano il bene pubblico” (questi protagonisti sono i partiti)

Massimo Riva (L’Espresso 16 febbraio)

“Che il modello Marchionne abbia dilagato da Pomigliano a Mirafiore negli stabilimenti Fiat è ormai un dato di fatto dal quale, per altro, non sono scaturiti chissà quali investimenti. Suscita perciò non pochi interrogativi che esso possa diventare una bussola anche per Palazzo Chigi”.

martedì 7 febbraio 2012

Nell'occhio del ciclone finanziario


su ALFABETA2 n. febbraio 2012

La globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, portata alle estreme conseguenze, le difficoltà della deliberazione democratica ha esprimersi in modo sensato e assennato, nonché la crisi che tiene in scacco molti paesi e rende inefficaci tutte le politiche per contrastarla, insinuano il sospetto che forse qualche cosa di rilevante è avvenuto. Alcune domande sono chiare: è ancora compatibile la democrazia con il capitalismo? È possibile ancora produrre politicamente delle risposte in grado di garantire i più invece dei pochi? Le forze che si oppongono allo stato delle cose presenti, gli indignatos, per semplificare, pur capaci di grande comunicazione, di grande visibilità e di notevole mobilizzazione, perché pur avendo individuato il “nemico”, non riescono ad incidere?

È davanti ai nostri occhi il mutare profondo della natura del capitalismo; ma non riusciamo a vederlo: guardiamo ma non vediamo. Nel corso degli ultimi anni (trenta forse), anche per effetto dello spappolamento del socialismo reale, nonché della metamorfosi della Cina, il mercato, nella coscienza generale, è stato assunto come il “regolatore” generale e necessario, mentre il capitalismo (il capitale come rapporto sociale) emergeva come unica possibili prospettiva sociale. Ci si è rifiutati di indagare sia sugli effetti discriminanti prodotti dalla regolamentazione del mercato, che sulla geografia e architettura della società prodotta dal capitale.

La prospettiva dei partiti della sinistra, in generale, non incarna l’ipotesi, che diventa sempre più una necessità, di una società fondata su altri valori e, soprattutto, su diverse forme di organizzazione sociale; il massimo dell’aspirazione è una sorta di “umanizzazione” del sistema, e lo chiamano riformismo. Ma il “sistema” risulta refrattario alle loro buone intenzioni, anzi di esse approfitta per ingrassare.

Non è in discussione l’apporto che il sistema capitalistico ha fornito alla trasformazione del mondo e della società, né la sua capacità di produrre ricchezza e innovazione, tuttavia è forse giunto il momento di guardare il Minotauro negli occhi rifiutandogli il contributo di sangue. Ma chi è Teseo? Chi è Arianna?

Giorgio Ruffolo, mette in campo la capacità del capitalismo di trasformarsi, e per questo prospetta la possibilità che il capitalismo abbia i secoli contati, è immagina “che il capitalismo dia un’estrema prova della sua duttilità trasfigurandosi, in un fase finale più pacifica, in una formazione di sviluppo meno turbolento, ben temperato”. Un capitalismo in grado di negare se stesso e che assumesse motivazioni diverse da quelle sue proprie: l’equilibrio, la produzione non quantitativa, il rispetto del limite, la cooperazione sociale, la felicità, ecc. (perché chiamarlo ancora capitalismo?). Anche Ruffolo pensa che si tratti di una “improbabile” ma non “impossibile” prospettiva, in caso contrario, in assenza di una vera alternativa, non resta che entrare in un’era dei torbidi che può durare secoli.

A Luciano Gallino una auto trasformazione del capitalismo gli appare impossibile e improbabile, e analizza il finanzcapitalismo come una macchina sociale mostruosa per la sua estensione, la sua capacità di penetrare in ogni grumo organizzativo, per la relazione stretta che ha costruito, più che nel passato con la politica e la sfera di decisione pubblica. È proprio questa relazione politica/finanza che rende incontrollabile e incontrollato il capitalismo finanziario, la politica è “divenuta ancella” della finanza. Lo scambio di personale dalla finanza al governo e da questo alla quella è una costante, e determina una forma mentis che finisce per riconoscere nell’interesse della finanza ogni azione economica e politica.

Il finanzcapitalismo a differenza del capitalismo tradizionale (industriale) non accumula capitale producendo merci e servizi, ma attraverso il sistema finanziario; detto in altro modo, fa soldi con i soldi. Si tratta di una trasformazione profonda dalle molteplici conseguenze.

Fondamentale è la creazione di “massa monetaria”, operata dalle banche, queste non gestiscono ma creano moneta attraverso i prestiti, soprattutto mutui e prestito al consumo (senza rispettare di fatto la “riserva di garanzia”), ma soprattutto attraverso la dilatazione dei derivati. Le risorse finanziarie così “create” sono otto-dieci volte il Pil mondiale. Inoltre la creazione di numerosi “fondi di investimento” servono per catturare risparmio e soprattutto come base, da moltiplicare all’infinito con tecniche di “finanza creativa”, per speculare. La Borsa non svolge più la funzione di raccolta di risorse per finanziare le imprese, ma è sempre più simile ad un Casinò, inoltre una parte cospicua delle contrattazioni finanziarie avvengono in mercati secondari. Le banche hanno abbandonato, di fatto, la loro funzione di raccogliere risparmio e fornire risorse in prestito a famiglie e imprese, per dedicarsi ad attività finanziarie. Dato il rendimento delle attività finanziarie anche le imprese “industriali”, le maggiori, sono diventate attive nel settore finanziario (per dirne una che riguarda il nostro paese, ci si può domandare se Marchionne sia un manager industriale e non piuttosto un finanziere).

Inoltre gli investitori istituzionali sono diventati una grande potenza che detiene una quota rilevante delle grandi imprese mondiali e ne definiscono i comportamenti e impongono una redditività molto alta dell’investimento. Bassi salari, alti ritmi di lavoro, bassa sicurezza, minimi diritti sindacali, ecc. non sono che l’espressione del potere della finanza sull’industria. In sostanza, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, si innalza il tasso di sfruttamento, si cancellano per quanto possibile ogni diritto sindacale, fino all’indifferenza per la vita e la salute dei lavoratori. Delocalizzazioni, ricatti occupazionali, forme moltiplicate di contratti, ecc. sono gli strumenti adottati. Tramonta ogni possibile idea di individuare e assegnare una qualche responsabilità sociale agli investimenti.

La reazione sindacale a questa situazione, in generale alla ricerca di accomodamenti, rende esplicito un pericoloso dato culturale: l’avere assimilato gli interessi del capitale finanziario a quelli del “lavoro”; un incapacità di lettura della realtà che rende impotenti.

Bisogna tuttavia riflettere come in aggiunta all’accresciuto tasso di sfruttamento la popolazione viene ulteriormente tosata attraverso le politiche di equilibrio di bilancio pubblico, che non sono altro che strumenti per garantire le pretese del capitale finanziario. In questo caso la cecità della politica è drammatica (l’esempio greco, insegna), essa si affida ai “tecnicismi”, mette in mora di fatto la democrazia e sacrifica ad entità astratte, potenti ma che potrebbero essere sconfitte se si assumessero per il nemico del futuro, e finisce per alimentare la speculazione.

Il finanzcapitalismo, per mezzo dell’incontrollata creazione di moneta, oggi è impossibile valutare la “moneta in circolazione”, ha fatto esplodere il rapporto tra debito e Pil dei paesi sviluppati, ha dilatato i debiti sovrani, e ha avvolto l’economia globale in una “rete di debito” che condiziona famiglie, imprese, istituzioni e Stati. Viaggia da crisi a crisi verso una concentrazione massima della ricchezza e ad una non improbabile implosione dagli esiti incerti (il tema dell’apprendista stregone è ricorrente nelle analisi del capitalismo finanziario).

“Per il momento un siffatto esito finale – una forma aggiornata di fascismo, sostenuta da una larga parte del popolo come uscita dalla crisi – anche se tutt’altro che impossibile, appare ancora abbastanza lontano. Tuttavia non si può ignorare che da tempo numerosi governi hanno imboccato la strada di un crescente autoritarismo , in cui molti elettori si riconoscono”. Insomma il futuro appare tutt’altro che roseo sia sul piano economico che su quello politico, anche perché Gallino motiva il suo scetticismo sul fatto il finanzcapitalismo produca degli anti corpi per il suo superamento, ipotesi avanzata da altri studiosi. Una sua auto riforma appare improbabile perché esso costituisce una formazione economico-sociale che permea dei suoi valori la società e che ha costruito un rapporto biunivoco con la politica.

Francois Morin, constatato che “la globalizzazione dei mercati monetari e finanziari è arrivata a una tappa decisiva: quella della dell’interconnettività mondiale di tutti i suoi segmenti, controllabili così dalle grandi banche internazionali… permettendo, su una scala finora sconosciuta, il gioco speculativo mondiale”, prospetta un mondo senza Wall Street e le piazze finanziarie. Messa in luce la potenza economica e politica della grande finanza (e delle grandi banche), nonché gli effetti(negativi) sul lavoro, l’ambiente, le imprese, le istituzioni nazionali e internazionali e i governi, l’autore suggerisce una via d’uscita che preveda sia un’apertura di dibattito a livello della “disciplina economica” in modo da rompere il monopolio dell’economia standard, e in sostanza abbandonare l’idea di una “scienza economica” per ritornare all’economia politica, sia un ripensamento dell’azione politica, sia la trasformazione della logica finanziaria con un rafforzamento dell’economia sociale e solidale e la costruzione di nuovi rapporti di proprietà nella gestione delle imprese e del loro rendimento. L’analisi, anche se molto più sommaria, corrisponde a quella di Gallino, ma Morin è molto dettagliato nelle sue proposte di trasformazione su ciascuno dei singoli aspetti, fino a prospettare un governo mondiale. Le possibilità che queste riforme si realizzino è fondata sull’ipotesi di una prossima “crisi sistemica di vasta portata”, dalla quale si potrà uscire, appunto, con un mondo senza Wall Street (o con un diverso scenario non definito ma che credo sia di tipo autoritario).

Giorgio Ruffolo esplora la storia della moneta e la sua funzione (unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore), per portarci all’oggi: “la più recente crisi è stata provocata da una massiccia creazione di moneta endogena”. Si tratta di un mutamento del capitalismo dagli esiti sconvolgentemente negativi. Proprio gli esiti del capitalismo finanziario rendono esplicito come la moneta sia insieme “potente ma senza guida”. Guidarla si deve; l’unico modo è fissare i prezzi della moneta e del credito (tasso di cambio e tasso d’interesse) che dovrebbe tornare ad essere una funzione politica. Si tratta di una rivoluzione “inconcepibile all’interno dell’attuale mondo politico e morale”.

Tuttavia, Ruffolo individua cinque direttrici di marcia nella direzione della “rivoluzione”: abbandono dell’assunto dello sviluppo (non una economia stazionaria, ma una economia finalizzata ad obiettivi di compatibilità ecologica, benessere sociale e programmazione); redistribuzione della ricchezza sia all’interno dei paesi ricchi che tra questi e quelli poveri; intollerabilità politica ed etica della “plutocrazia mondiale” che accumula moneta; la rinascita del mercato.

Il libro di Ruffolo, non riguarda direttamente la crisi attuale ma la moneta, che ricondotta alla sua funzione gli si restituisce il suo potere al servizio dell’economia e non di una economia al servizio di un potere.

I quattro libri di cui ci siamo occupati, in modo diretto o indiretto, costituiscono delle analisi dei connotati della crisi che ha investito il sistema mondo. Sono stati individuati, con precisione e acume, i soggetti attivi di questa crisi, la loro forza e la loro capacità di difesa; sono stati messi in luce i meccanismi con i quali essi operano, è in modo esplicito è stato identificato il costo economico, ecologico e sociale che la popolazione mondiale sta pagando. Le relazioni tra mondo del capitalismo finanziario e le funzione di governo (la politica) sono state identificate, non solo come una sorta di permeabilità reciproca affidata ad una sfera di “professionisti”, ma come, più gravemente, meccanismo di formazione di un unico pensiero e modo di operare.

È impressionate, come la lettura trasversale di questi testi mette bene in chiaro che le risposte che i governi (a livello nazionale e internazionale) elaborano e attivano sono inutili e spesso, forse in buona fede e inconsapevolmente, giocano a favore della finanza speculativa.

Né i “tecnici”, perché imbevuti di una “dottrina” cieca, né i “politici”, perché vittime di schemi obsoleti, sembrano capaci di capire la mutazione del capitalismo, e non sembra si rendano conto di come la nascita del finanzcapitalismo abbia modificato contenuti e meccanismi dei processi economici, e che al governo con i loro provvedimenti, gli uni e gli altri, non fanno che tosare i popoli per offrire comodi giacigli alla speculazione. Se ci fosse una crisi di sistema l’esito, con molto probabilità non sarebbe progressista ma reazionario e autoritario, o invece si entrerebbe in un’epoca di grandi turbolenze.

Un’alternativa è possibile? Forse, ma oggi non pare alle porte, perché sembriamo, complessivamente, incapaci di vedere quello che avviene sotto i nostri occhi, il vento si è portato via gli strumenti per capire, e chi capisce e si mobilita non sembra ancora capace di una iniziativa politica all’altezza della questione.

Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, pp. 324, 19

Francois Morini, Un mondo senza Wall Street, Tropea, Milano, 2011, pp. 157, 15€

Giorgio Ruffolo, Il Capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Torino, 2009, pp. 295,

12€

Giorgio Ruffolo, Testa e croce, una breve storia della moneta, Einaudi, Torino, 2011, pp. 176, 17€

Diario 160 30 gennaio – 5 febbraio 2012

Diario 160

30 gennaio – 5 febbraio 2012

- Oscar Luigi Scalfaro

- Primo incidente parlamentare del governo tecnico

- Monti … l’artico 18

- Un gradino dopo l’altro

- Tutto regolare

- Città, sempre peggio

- Citazioni: nel bene e nel male

Oscar Luigi Scalfaro

È morto un uomo cattolicissimo, con qualche venatura integralista, ma un grande combattete e difensore della nostra Costituzione, in questo laico. Negli anni dopo la sua presidenza si fece difensore e propagandista della nostra Carta costituzionale; di questa sua azione tutti dovremmo essergli grati e portare ricordo..

Allo IUAV l’abbiamo invitato nel 2003 per aprire quelle che abbiamo chiamato Letture per il XXI secolo: regole e norme.

In quell’occasione la sua Lettura, La Costituzione e la pace, ci affascinò e commosse, non una rievocazione, ma una battaglia politica. Un salone pieno come non mai, non perse una parola, rideva alle sue battute e si commoveva quando rievocava il clima della Costituente.

A suo ricordo di quella Lettura si riporta la conclusione

“Desidero concludere con una riflessione che mi sta a cuore: questa Costituzione ha bisogno di essere difesa, perché oggi ci troviamo di fronte a leggi che sono state emanate per difendere gli interessi di una o due persone…. Ci sono dei garanti della Costituzione: il Capo dello Stato, il Parlamento, la Corte Costituzionale, che rettifica le leggi o le respinge se non sono in assonanza con la Costituzione, e infine il Governo e la Magistratura. Oltre a questi poteri, ogni cittadino ha il dovere di vegliare sulla costituzione. Se ogni cittadino sentisse che la Carta è sua, ed è anche sua, e che qualora la Costituzione venisse toccata, questo costituirebbe un danno anche suo, ebbene se davvero questo cittadino provasse questi sentimenti allora si sentirebbe invogliato a conoscerla di più, ad amarla questa Costituzione. … Vi auguro di amare questa Carta, perché solo amandola sarete in grado di viverla, di difenderla e di affermarla ogni giorno”

Primo incidente parlamentare del governo tecnico

Il Governo perde la maggioranza sulla votazione a proposito della responsabilità personale dei giudici. Il PDL e la Lega, compatti, più una cinquantina di altri hanno approvato un testo intimidatorio. Non bastasse, il PDL non finiva più di applaudire il risultato. La “giustizia” è sempre nel loro cuore.

Ma si tratta di un incidente una tantum o l’inizio di una fase di belligeranza tra i partiti e dei partiti con il governo? La “pax montiana”, come la chiama Massimo Franco sul Corriere, fino a quanto durerà?

Un governo che dimostra di voler essere forte con i sindacati e deboluccio con le corporazioni, nonostante gli appelli e gli elogi al mercato, determina una situazione di tensione tra forze sociali e politiche difficile da reggere. Inoltre, si spera che il PD cominci a interrogarsi sul dopo Monti (in qualsiasi tempo cada questo “dopo”), mentre gli altri (Monti compreso, nonostante le sue dichiarazioni) disegnino strategie complesse e personali dove i due principali palazzi (Chigi e Quirinale) sono al centro dell’interesse della scacchiera, gioco dal quale non è escluso Berlusconi.

La prossima settimana forse si capirà qualcosa di più.

Monti … l’artico 18

L’accoppiata Monti-Fornero è nemica dichiarata dell’articolo 18. Il refrain in questo caso è: non ci possono essere tabù. Ma il professore va oltre “Per come viene applicato, l’articolo 18 sconsiglia investimenti di capitali stranieri ma anche italiani in Italia”.

Questa è la storia. Giuseppe Brambrilla, con altri due suoi amici e soci, ha una piccola fabbrica metalmeccanica (25 dipendenti). Giuseppe ha avuto un’idea geniale, un nuovo prodotto innovativo. I tre sono entusiasti, a loro “fare” piace molto. Hanno esplorato i fornitori, ma soprattutto i loro clienti, entusiasti. Ma la voce si è diffusa e ricevono telefonate dalla Francia e dalla Germania di possibili nuovi clienti che vorrebbero il nuovo prodotto. Hanno fatto i loro conti hanno bisogno di investite tutto quello che hanno e devono chiedere anche un prestito alla banca, hanno bisogno di nuove macchine e di nuova manodopera, circa ottanta persona, ma nella situazione attuale non c’è difficoltà a trovarla. Hanno bisogno di un ingegnere e sanno già a chi rivolgersi, si ha un impiego, ma sanno che si entusiasmerà. Riunioni, su riunioni, conti su conti, hanno deciso. Ma una notte Giuseppe ha un incubo, non può dormire, si fa una tazza di latte caldo, niente, la moglie lo coccola, niente è furente. La mattina presto convoca i suoi soci “non si può fare” dice con voce drammatica. I soci credono che scherzi, è solito fare scherzi, ma no, è serissimo. Ma perché? abbiamo previsto tutto, abbiamo i clienti, possiamo partire il prossimo mese. Cosa c’è che non va? Non abbiamo pensato che esiste l’art. 18, dice Giuseppe. I due soci impallidiscono, non ci avevano pensato. Il loro entusiasmo svanisce. È vero, non si può fare!

Un gradino dopo l’altro

Il boy scout, senatore Luigi Lusi, ha fregato 13 milioni di € alle casse della Margherita. Nessuna meraviglia anche i boy scout possono essere ladri. Le meraviglie riguardano: il fatto che ci sia la “cassa” di un partito che non esiste più; che nessuno se ne sia accorto (anche se qualche sospetto c’è stato), ci credo, ci sono degli stupidi anche tra le margherite.

Osservando Francesco Rutelli che scende un gradino dopo l’altro la domanda è: dove si fermerà?

Tutto regolare

Il senatore Riccardo Conti ha dichiarato: “tutto regolare”. Aver comprato un palazzo la mattina e averlo rivenduto il pomeriggio guadagnandoci 18 milioni di € (pari al 39% del prezzo di vendita) è regolare. O è stupido e incompetente il venditore, o è stupido e incompetente il compratore, o …

Città, sempre peggio

Napoli si è battuta per avere l’America’s Cup, l’ha avuta assegnata e guai a lei. Fallita la localizzazione a Bagnoli (da più di dieci anni si parla di bonifica del sito dell’ex acciaieria), si passa a via Caracciolo; un prevedibile disastro. Che un “evento” possa risolvere i problemi di una città, nonostante tutte le evidenze, è radicato nella mentalità degli amministratori. La città occasionale è il loro sogno.

A Roma pare si sia scongiurata l’idea di eliminare i marciapiedi (intanto a Piazza Navona). La sottovalutazione dell’importanza dei marciapiedi in termini di sicurezza, vivibilità, colloquialità urbana e … commercio è la base (incolta) dell’importazione dei “centri commerciali”. Per secoli i marciapiedi delle nostre città, soprattutto quando porticati, sono stati i nostri “centri commerciali”. Del resto lo stesso inventore di questa forma di commercio ne ha criticata l’importazione in Europa.

Citazioni: nel bene e nel male

Alina (figlia di Fidel Castro)

“Negli ultimi tempi, Fidel Castro si è riavvicinato alla religione: ha riscoperto Gesù alle soglie della morte. Ciò non mi sorprende, perché papa è stato allevato dai gesuiti”. La Repubblica, 1 febbraio 2012 (non giudico, ma questa Fidel ce la poteva risparmiare)

Giulia Bongiorno

“Questa sentenza (della Cassazione che rende non obbligatorio il carcere per i reati di stupro) rischia di trasformare la violenza sessuale di gruppo in un reato di serie C. E non è giusto dal punto di vista giuridico né sostanziale,. Perché se lo stupro è un reato abominevole, l’aggressione del branco è, se possibile, ancora peggio. Ma in Italia c’è un problema culturale, molti considerano più grave un furto o un scippo che uno stupro”. La Repubblica, 3 febbraio 2012

Gianfranco Polillo (sottosegretario al Tesoro)

“Mi auguro che possa fare il Presidente della repubblica, perché no? Io lo stimo, al paese ha dato tanto. … infin dei conti di cosa è incriminato?” La Repubblica 3 febbraio 2012 (No, Polillo non parla di Monti, né di Amato, né di …., ma di Berlusconi. Egli lo stima, affari suoi, ma meraviglia quel “infin dei conti di cosa è incriminato?”, e no! dovrebbe saperlo, ma forse sono quelle incriminazioni che gli suscitano sentimenti di stima?)

Elsa Fornero

(rivolta ai sindacati) “Via l’art. 18, faremo la riforma comunque, che siate d’accordo o meno”, Il Manifesto 3 febbraio 2012 (questo si chiama parlare franco, con o senza lacrime. Vorrebbero passare alla storia, ma il ricatto del “senza di noi il diluvio” quanto durerà?)