domenica 28 maggio 2017

Movimenti e istituzione

Diario n. 345


Durante questo mese di maggio ho avuto molte occasioni di discutere in pubblico del rapporto movimenti e istituzioni (e connessi), lo spunto era sempre il libro di Oriol Nel.lo Città in movimento (ora apparso in traduzione italiana presso Edicampo editore, Roma). Le discussioni pubbliche sono sempre molto stimolanti, interventi diversi suggeriscono pensieri diversi, punti di ista particolari possono mettere in crisi i tuoi, ma sono anche insoddisfacenti, non c’è mai abbastanza tempo per approfondire determinate questione e aspetti. E’ questo il motivo che mi spinge a dedicare questo diario alla questione.
L’esperienza spagnola, ovviamente, è stata sempre al centro o come sottofondo alla discussione. Se essa spinge all’ottimismo, non è priva di problemi. Ma di questa non vorrei parlare solo ricordare che negli ultimi due anni le maggiore città spagnole (da Madrid a Barcellona, Valenza, ecc.) sono governate da sindaci che sono stati impegnati nei movimenti che si sono sviluppati negli ultimi anni in Spagna (gli Indignati). Movimenti che non sono riusciti a modificare la natura delle maggioranze di governo sia nazionali che regionali, ma che hanno conquistato le maggiori città Questo è un problema. Ma lasciando da parte la Spagna e in particolare la Catalogna dove incombe un possibile referendum sull'indipendenza, vediamo qualche tematica generale.
Intanto la definizione di “movimenti sociali urbani” copre tipologie di iniziative molto diverse, molti di questi originano da una posizione politico-ideologica, mentre altri costituiscono la reazione allo stato delle cose su singoli aspetti. Questa non vuole e non deve essere considerata una distinzione di “valore”: partire dalla realtà o da una visione della società costituiscono da sempre due modalità di iniziativa (il passaggio dal sé al per sé è una delle fondamentali dinamiche politiche). Detto questo tuttavia non si può disconoscere che sul piano politico generale le “motivazioni” espresse o implicite non sono prive di conseguenze. Un punto di vista politico-ideologico (politico-ideologico generale non partitico) costituisce una buona premessa per l’unificazione di questi movimenti. Cioè possono presupporre una dinamica che porti a porsi la questione del potere (istituzionale e no) all'interno della società.
Movimenti contro gli sfratti, per la casa, per una scuola migliore, per il lavoro, per l’ambiente, ecc.; o movimenti di costruzione diretta di spazi di socializzazione, attività di costruzione di spazi verdi, di sistemazione di zone, la costruzione di orti urbani, la nascita delle banche del tempo, la costruzione di spazi culturali, ecc.; movimenti contro la costruzione di opere pubbliche, contro processi di gentrification, ecc., sono tutti importanti ma appartengono a famiglie diverse e talvolta possono essere tra di loro incoerenti. Ma tuttavia tutti dimostrano una volontà attiva e una sorta di assunzione di responsabilità.
La possibilità di “successo” di ciascun di questi diversi movimenti e rivendicazioni è legata alla loro unificazione (sostanziale ma anche formale) in un grande movimento generale, senza di questo alcuni vincono, molti perdono, alcuni sembrano vincere ma in realtà perdono… Ma per questa unificazione sono indispensabili i “corpi intermedi” che oggi non sono latitanti ma sembrano scomparsi. Qualcuno mi ha fatto osservare che la pratica del movimento, il conflitto, la presa nelle proprie mani di obiettivi, la pratica della democrazia diretta sono comunque importanti e sedimentano consapevolezza e coscienza politica. Tutto vero, ma è necessario guardare alla nostra esperienza: negli anni ’70 in Italia (e non solo) vivacissimi erano le esperienze di conflitto sociale urbano, e quelle che hanno avuto modo di connettersi in “corpi intermedi” (anche in nuove loro espressioni, penso per esempio all'Unione inquilini), hanno raggiunto degli obiettivi, ma quello che qui interessa è riflettere come quell'esperienza di ampio raggio ha sedimentato poco se fosse vero che la stagione politica successiva non potrebbe essere annoverata tra la più progressista e democratica.
Non vale nascondersi dietro il dito: i movimenti in Italia non hanno trovato un interlocutore ed anche le formazioni di sinistra (a quel tempo si dicevano extraparlamentari) sono state capaci di divisione e non di unificazione, disperdendo esperienze, impegno, e volontà.
Quello che sta succedendo in Spagna in questi anni è diverso (almeno mi pare): prima, durante e dopo il movimento degli “indignatos” esistevano e si sviluppavano movimenti sociali urbani, ma gli indignatos ponevano la necessità di un cambiamento sociale, sia gli indignatos sia i movimenti sociali (non faccio né penso ad una contrapposizione) hanno saputo, trovato, costruito… una espressione politica unitaria, base di successo.
Il rapporto dei movimenti sociali con le istituzioni non può prescindere da una presa del governo. Ma i movimenti devono sapere, sanno, che non esistono governi simbiotici, al massimo governi amici, i governi hanno delle logiche di equilibrio (anche se riformisti) che non permettono una loro adesione completa ai movimenti. Ma quest’ultimi devono usare con intelligenza politica l’amicizia dei governi (e se questa amicizia manca, usare mezzi convincenti per neutralizzarne l’azione). Il cambiamento è insieme facile e complesso, dipende dall'unità di obiettivi che si riesce costruire tra istituzioni e movimenti, dalla capacità del movimento di non farsi abbindolare  e delle istituzioni nel valorizzare le istanze del movimento.
Insomma è necessario tanto e buon lavoro.

  



martedì 2 maggio 2017

Valentino Parlata

Questa mattina è morto Valentino Parlato.
La sinistra ha perso un compagno resistente, io ho perso un amico. Valentino è stato un personaggio prezioso per la sinistra, la sua ironia, la sua leggerezza, il suo disinganno, la sua attenzione ai processi reali e politici, mi, e ci, hanno aiutato a resistere nei momenti più perniciosi e a sorridere in quelli di allegria.
Valentino non demordeva mai, è stato un pilastro molto importante per Il Manifesto (giornale e movimento), ed anche in questa ultima fase del giornale lui non è stato capace di stargli lontano, ha ritenuto che fosse utile collaborare con il giornale che aveva contribuito a creare.
Uomo di sinistra, era anche bizzarro. Aveva una frequentazione di personaggi “strani”, si potrebbe dire, ma facevano parte del suo modo di essere, raccoglieva frutti in qualsiasi albero maturassero, i suoi editoriali e i suoi corsivi per questo erano sempre incisivi e uno specchio della realtà ben interpretata.

La morte di un amico dovrebbe suggerire parole alate, non ne sono capace, il dolore che sento forte è prima di tutto per l’amico perduto per sempre e poi per il terreno della sinistra sempre meno abitato. 

lunedì 1 maggio 2017

Il discorso di incoronazione di Matteo Renzi nuovo(vecchio) segretario del PD



Diario 344
1 maggio 2017

Si capisce la gioia e la soddisfazione di Renzi per avere raggiunto il 72% dei consensi nel ballottaggio per diventare segretario del PD.  Non fa velo a neo segretario il fatto di non avere avuti contendenti. È felice e basta, lo si capisce.
Ma non ha seguito il consiglio che da più parti gli veniva elargito: compostezza, contegno. Non può, non è nel suo carattere, ha considerato questo risultato un ribaltamento del referendum sulla riforma, che si tratti di dati non comparabili non interessa, non è la realtà quella che conta ma l’immaginazione.
In termini di immaginazione nel suo discorso (di incoronamento) ha esaltato il popolo che lo ha votato, è ha garantito un partito unito, aperto alla discussione, con idee diverse ma unito. Si è dimenticato di dire che dati i risultati per forza il partito sarà unito, tutti gli organi avranno una maggioranza di almeno il 72% di persone all’unisono con il segretario (le fronde renziane tremano, le così dette opposizione sanno che avranno il “diritto di tribuna”, ma niente di più). Il PD sarà unito in quanto renziano in ogni sua piega.
Il governo Gentiloni è stato richiamato all’obbedienza da Orfini, il così detto presidente del PD, che in una sua intervista ha chiarito come da oggi forte sarà il pressing del partito sul governo e come da questo pressing il governo uscirà più … forte.
Renzi nel suo discorso a parlato di tutto, non si riusciva a frenarlo, era come una bottiglia di Coca Cola agitata a lungo e poi stappata, la coca esce a fiumi, non la si può fermare, il risultato della confronto elettorale ha avuto lo stesso effetto sul rinnovato segretario.
Non merita commentare le cose dette e tanto meno le più numerose non dette, su un punto vale la pena fare qualche pulce: a proposito die Jobs Act.
Si vorrebbe consigliare a neo-vecchio segretario di andare a leggere i risultati dell’indagine curata dalla Demos Coop e commentata da Ilvo Diamanti su La Repubblica del 29 aprile.
Le indagini demoscopiche vanno usate con cautela, ma quando i risultati sono di grande dimensione qualche indicazione la danno: il 67% degli italiani intervistati crede di sapere che il lavoro nero negli ultimi 5 anni è aumentato, così come il 75% degli intervistati ritiene che sia aumentato il lavoro precario. Il 71%  ritiene che l’occupazione in Italia non sia ripartita. Il Jobs Act, definito da Renzi una riforma di sinistra, secondo l’opinione degli intervistati non gode di buon giudizio; l’8% ritiene che la legge ha migliorato il mercato del lavoro, il 32% ritiene che l’ha peggiorato, mentre un altro 32% ritiene che sia ancora troppo presto per una valutazione (il rimanente 27% è composto da un 16% che ritiene la situazione non modificata e l’11% non sa o non risponde). Certo si tratta di opinioni, ma il problema è: si tratta di un’opinione sostanzialmente negativa per carenza di comunicazione o piuttosto per esperienza diretta?
Ma c’è un punto che a me pare tragico: l’84% ritiene che i giovani di oggi avranno pensioni con cui sarà difficile vivere. Si tratta di un’osservazione (verità?) che si sente continuamente ripetere, che i commentatori, economisti, sociologi, politici, ecc. ripetono ad ogni piè sospinto; dichiarazioni ammantate da leggerezza che al contrario mi paiono connotate da un cinismo macroscopico. Sta diventando una sorta di legge di natura (sociale) contro la quale niente si può fare (e la politica?). E nessuno fa lo sforzo di immaginare in che tipo di società i nostri figli e nipoti vivranno se questa legge si affermerà.