venerdì 7 giugno 2013

L’illusione

La Germania ha convenuto che la politica del rigore, detta anche “austerità”, sta facendo più male che bene: la recessione ora investe la Francia e non pare risparmiare la Germania.

Questa modifica di indirizzo, ancora più teorica che pratica, rende tutti soddisfatti; questi ottimisti già intravedono politiche espansive, la ripresa ecc. La borsa non va tanto male, lo spread ci risparmia e il Tesoro piazza tutti i buoni del tesoro di cui ha bisogno nel mercato a tassi vantaggiosi, che si pretende di più? insomma dal tunnel ci si avvia ad uscire per rivedere i prati verdi del benessere collettivo. Certo gli ottimisti forse sono un po’ turbati, ma solo un po’ dato che sperano nella forza vivificatrice del mercato, dalla disoccupazione che cresce, dai giovani che non trovano lavoro, dalle vertenze che si moltiplicano, dalla cassa integrazione che si espande, dagli sfratti che diventano tragedie, dalla povertà che investe strati sempre più ampi, dai furti nei supermercati di generi alimentari per bisogno, e dai suicidi di operai, povera gente ed anche “piccoli” imprenditori.

Cova nel cuore di tutti che tutto tornerà come prima; questa è una illusione.

La parte riformista dello schieramento politico e sociale rivendica la necessità di una politica di intervento pubblica; sono scettici su una possibile ripresa senza un impegno dello Stato, sia diretto che indiretto. I più radicali prospettano la necessità di un “nuovo modello di sviluppo”: meno auto, più biciclette, più energia rinnovabile e meno petrolio, ecc. Tutte cose sagge e buone ma non risolutive, quello che fa fatica a farsi strada nella coscienza collettiva, sociale e politica, è che non si tratta di cambiare il modello di sviluppo, ma piuttosto cambiare il modelle di società, rapporti sociali di produzione compresi.

Vanno colpite le diseguaglianze che non possono essere maggiori di 5 volte, o anche 10 (e non cento o mille e più come oggi), una differenza che è in grado, da una parte di prendere atto di maggiori qualità e professionalità, senza, dall'altra parte, costruire rapporti di potere. Spero si sia notato che l’imposta patrimoniale è sparita non solo dalle decisioni ma anche dalle discussioni. Vanno definiti i settori nei quali il “mercato” può ancora svolgere una funzione di “comodità”, ma vanno esclusi tutti i settori di “garanzia” (salute, scuola, cultura, ecc.). Andrà rivoluzionato tutto il sistema bancario. Il lavoro andrà redistribuito, ma garantendo, proprio dall’abbattimento delle diseguaglianze, un tenore di vita adeguato per tutti. Le nove tecnologie rendono sempre più esplicita la necessità di cambiare i rapporti sociali di produzione che costituiscono, per quella, un vincolo sempre più opprimente.

Può darsi che mi sbaglio ma la necessità di un cambiamento radicale che affronti, torno a dire, i rapporti sociali di produzione, mi pare impellente. Non è lecito illudersi guardando la ripresina americana, ma non guardando i disastri sociali che neanche quel paese riesce ad affrontare; possiamo illuderci che cinesi e indiani ci … salveranno. Presto anche loro avranno problemi. Il dominio dell’economia finanziaria fa per il capitalismo quello che non era riuscito a fare la rivoluzione russa. Il ciclo della società che conosciamo mi pare si sia concluso, lo slogan il 99% contro l’1% sebbene un po’ grossolano traduce la realtà di ogni paese e dell’intero mondo, ma il 99%, mi pare, non riesca a svincolarsi dalla ragnatela (di bisogni, consumi, aspettative, ecc.) che l’1% ha steso su di loro. Ma senza un pensiero forte che fornisca al 99% gli attrezzi per tagliare la ragnatela, si resterà invischiati anche se non pacificati. Il tema del cambiamento può essere graduale? Questo è tema di discussione.

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