martedì 28 gennaio 2014

Renzi: la palude e il suicidio



Diario 244


Renzi: la palude e il suicidio

Matteo Renzi, segretario del PD, ha avuto un merito, magari raggiunto con mezzi non proprio condivisibili, aver decantato la discussione sulla legge elettorale dai “modelli” a un testo “base”. Un testo sicuramente, dal mio punto di vista non condivisibile per le seguenti ragioni: la bassa percentuale per accedere al premio di maggioranza (35%); l’alta percentuale di esclusione (5%, 8%, 12%, secondo i casi) per le liste minori; la possibilità della coalizione di usare i voti dei partiti, della stessa coalizione, che non avessero raggiunto la quota di inclusione; l’assenza di ogni alternanza tra i due sessi.

Se il testo “base” venisse approvato nella forma nella quale è stato predisposto, non è neanche sicuro che il Capo dello stato potesse firmarlo data la sentenza della Corte Costituzionale, inoltre un possibile ricorso alla Corte Costituzionale non potrebbe avere esito diverso dal giudizio sul porcellum.

La riforma elettorale deve essere condivisa, ovviamente non all’unanimità, ma da una robusta maggioranza. Su questo si può essere d’accordo. Ma un testo è appunto di “base” perché sottoponibile a verifica e anche a modificazioni.

In Parlamento sono state avanzate le seguenti modifiche: innalzamento della percentuale per accedere al premio di maggioranza al 38-40% (personalmente è ancora troppo basso e mette in discussione l’eguaglianza dei cittadini votanti); l’abbassamento della percentuale senza raggiunta la quale le liste minori sarebbero escluse (al 3%), che, anche se non completa, garantisce al minimo la rappresentanza; lo “scorporo”, che si traduce nel fatto che una coalizione non potrebbe usare a proprio vantaggio i voti ottenuti da liste collegate che non avessero ottenuto la minima percentuale per essere rappresentata in parlamento, e questo contro le liste civette; forme di alternanza uomo donna; la reintroduzione del voto di preferenza.

Mi sembrano tutte proposte ragionevoli da discutere e da verificare circa la loro consistenza di consenso parlamentare.

Questa possibilità da Renzi è definita “palude”. Mi sembra un errore, un partito forte e un segretario forte non hanno paura né della discussione, né del miglioramento da apportare alla legge. Non mi pare che ci sia qualche gruppo che voglia tornare alla discussione dei “modelli” elettorali (quella si che sarebbe la palude), il modello (“base”) predisposto è accettato e tutti propongono ragionevoli miglioramenti.

Se invece il modello di “base” fosse immodificabile fino al consenso di Berlusconi (neanche Forza Italia, allora saremmo di fronte, non tanto ad un modello “base”, ma un modello berlusconiano (non è un caso che Berlusconi faccia il “bauscia” come dicono a Milano, affermando che la riforma è la sua non di Renzi).

Berlusconi pare non accettare nessuna modifica (nonostante le aperure di Verdini), forse potrebbe accettare (forse) l’abbassamento della percentuale per evitare l’esclusione delle liste minore (con lo scorporo o senza?). Se Berlusconi non vuole il cambiamento allora anche Renzi non è disposta e nessuna modifica.

Così facendo il segretario del PD mi pari si impicchi con le proprie mani, e soprattutto non mi pare comprenda il ricatto e il bluff di Berlusconi. Nonostante quello che dice Brunetta, Berlusconi non vuole andare a votare subito, non è pronto, personalmente sarebbe “fuori”, al nuova FI è piena di problemi, non ha un candidato da contrapporre a Renzi, ecc.

Cosa farà Renzi se il parlamento gli disubbidisce e approva delle modifiche? Mette in crisi il governo? si predispone alle elezioni (con il proporzionale o con la nuova legge corretta?). Dopo tutto quello che ha detto questo evento sarebbe una sconfitta, e anche se vincesse le elezioni (forse) il suo smalto di cavaliere coraggioso diverrebbe opaco soprattutto all’interno del suo partito. Ma dopo le elezioni sarebbe ancora il candidato alla presidenza del Consiglio? Il suo progetto di rinnovamento dove finirebbe? Le riforme costituzionali per le quali si è impegnato che fine farebbero?

La democrazia non comando, è un paziente lavoro di convincimento e anche di mediazione, un’attitudine che il nuovo segretario del PD proprio non ha, a lui piace fare di testa propria e, soprattutto, di comandare. 


Il caso Passalacqua e la burocrazia tra corruzione e incapacità

Il caso del presidente dell’INPS mette a nudo come i grandi burocrati dello Stato non perseguano il bene comune ma il proprio. Forse una riforma del “lavoro” dovrebbe riguardare proprio la burocrazia (a tutti i livelli). Questa sarebbe al vera riforma della pubblica amministrazione non i “tagli”.

Quello di cui si ha esperienza, a tutti i livelli (nazionali, regionali e locali), e che la burocrazia appare per una quota non piccola corrotta (dal direttore generale, al vigile, dalla guardia di finanza, al direttore dell’ASL, al geometra del comune, ecc.). Di tutta un’erba un fascio? No, ma i fiori rischiano di essere fortemente inquinati dall’erbaccia.

Ma va detto con chiarezza non si tratta soltanto di corruzione, la cosa altrettanto importante è l’incapacità. La burocrazia pubblica è il pilastro di uno stato moderno se essa appare incapace è tutto l’edificio che traballa. La cosa che emerge è una spesso inadeguatezza di tale burocrazia a svolgere il proprio compito con media maestria.

Anche in questo caso si fa di tutta un’erba un fascio, no! Ma in questo caso i fiori sembrano ancora minori. Vorrei significare che leggendo le cronache e facendo aggio sulle esperienze la burocrazia è meno corrotta di quanto non sia incapace. 

Lista per Tipras

Ho aderito alla campagna per una lista alle elezioni europee del 25 maggio per Alexis Tsipras, leader del partito unitario greco Syriza. 

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giovedì 23 gennaio 2014

Matteo è familiare



Diario 243

Matteo è familiare
Ormai tutti lo chiamano Matteo, sulla stampa si legge sempre più spesso fare riferimento al segretario del PD con il nome di battesimo. Sarà contento, ormai siamo molto oltre la sconfitta dell’estraneità, ha conquistato i cuori. Neanche a Berlusconi era riuscito tanto (il Cavaliere, il presidente, Silvio Berlusconi) non è una questione di età, o almeno non è solo una questione di età, è il filing che “Matteo” è riuscito a creare con il pubblico e il personale delle comunicazioni. Gli attributi negativi (arrogante, impulsivo, egocentrico, ecc.) non gli fanno ombra, al contrario lo rendono più simpatico.

Lo si invoca come prossimo, ma molto prossimo, presidente del consiglio, non è l’uomo forte, o lo è in una certa maniera, ma è l’uomo a cui affidare la rinascita del paese, il rilancio economico, il dilagare dell’occupazione soprattutto dei giovani, ecc. Se poi per ottenere questi risultati (improbabili) dovrà usare un po’ di forza, dovrà mettere a tacere l’opposizione, va bene lo stesso. Insomma siamo di fronte ad una nuova mitologia (anche Berlusconi pare preoccupato).

Personalmente, per quello che vale, non mi è simpatico, né gli riconosco il merito di avere messo in movimento il paese “verso” le riforme; il “verso” non è privo di significato. Queste ultime, mi pare, non sono l’obiettivo quanto lo strumento, e se non sono pacifiche meglio, gli oppositori possono essere indicati come i conservatori, gli immobilisti.

Ma non è antipatia la mia, quanto preoccupazione. Se guardo alla soluzione della legge elettorale mi pare di capire che la sensibilità politica del neo segretario del PD sia molto scarsa. Non mi riguarda direttamente l’idea di partito che Renzi incarna: una caserma, qualcuno ha detto, dove c’è da obbedire al caporale di giornata. Ma certo in questo modo si ferisce la democrazia proprio nei suoi strumenti di organizzazione, nei suoi corpi intermedi, ma su questo terreno quanto danno è stato già fatto (Renzi ha la strada facile). Ma che si possa segnalare l’assoluta dissonanza rispetto a ciò che in modo confuso (appunto crisi dei corpi intermedi) la società esprime.

Non sono un grande stimatore del “voto di preferenza”, ma perché c’è oggi un sostanziale consenso alla necessità di ripristinare questa pratica elettorale e perché Berlusconi si oppone? Detto francamente non credo che si tratti di una questione di democrazia, né di un più stretto legame tra l’elettore e il rappresentante. Io credo che il ripristino delle preferenze ha a che fare con il cattivo, pessimo, uso che i partiti hanno fatto delle liste bloccate. Più o meno, alcuni sicuramente meno, le liste bloccate sono state utilizzate non in termini di rappresentanza, ma piuttosto in termini di “fedeltà” (al capo partito, al capo corrente, a chi pagava, ecc.). Le due camere sono state riempite di insignificanti personaggi, di impresentabili mestatori – su alcuni dei quali è intervenuta pure la magistratura -, di favoriti/e, di pagliacci pronti ad offrirsi a chi più, direttamente o indirettamente pagava, e compagnia cantando). È qui l’origine di una rivendicazione delle preferenze.

Offrire in cambio all’elettore la “lista corta”, in modo da poter conoscere chi sarà eletto, è un vero e proprio imbroglio. Se nella lista corta c’è qualcuno che secondo me non merita, o se chi merita è all’ultimo posto con scarsa possibilità di successo, che faccio? Voto un altro partito?

Un tema ricorrente degli ultimi anni, a diversi livelli, compreso quello politico, è stata la “crisi della rappresentanza”. Anche di questo una nuova legge elettorale avrebbe dovuto occuparsi. L’ha fatto ma al contrario. Un sistema democratico si basa sul fatto che ogni testa è un voto, e che ogni voto ha lo stesso peso di ogni altro (proporzionalismo), Si può portare una qualche correzione a questo sistema, forse si, ma a patto che la correzione sia modesta e attenta a non deragliare dal principio democratico di fondo. Certo le liste civette sono di fatto una mistificazione della rappresentanza, alcune un vero e proprio imbroglio (vedi le elezioni regionali piemontesi), ma l’articolazione politica, che può sembrare anche eccessiva, è rappresentativa di interessi, di opzioni culturali, di ipotesi di trasformazione, anche di idealità. Non è possibile cancellare tutto questo sia con la scusa delle liste civette (le quali al contrario trovano in questa legge alimento in quanto “civette” e non interessate alla rappresentanza), sia con l’altra apparentemente più seria della governabilità. La nuova legge elettorale fa piazza pulita. Innalza in modo non adeguato ad una corretta rappresentatività la percentuale che le singole liste (coalizzate o meno) devono raggiungere. Le prime simulazione dicono che in parlamento sederanno tre forse quattro forze politiche, cancellando, questo è il termine esatto, milioni di voti espressi per partiti o movimenti che non hanno raggiunto il quorum. Si può dire che siamo di fronte ad un’aberrazione della democrazia e della politica?

Capisco l’interesse che l’ex senatore Silvio Berlusconi, prossimo per essere affidato ai servizi sociali, mostra per una legge elettorale che si basi sui “nominati” e sulla eliminazione dei piccoli partiti. Mi è invece misterioso quale possa essere l’interesse di “Matteo”, a meno di non fare brutti pensieri.

Lista per Tipras

Ho aderito alla campagna per una lista alle elezioni europee del 25 maggio per Alexis Tsipras, leader del partito unitario greco Syriza.

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mercoledì 22 gennaio 2014

La profonda sintonia


Basta leggere i giornali di centrodestra di oggi, e meglio ancora il ‘mattinale’ di Forza Italia, per fare al volo il conto dei vantaggi e degli svantaggi innescati dall’incontro di ieri fra Renzi e Berlusconi. Fanno sorridere in verità le accorte profezie sulla durata del governo Letta, da ieri ”ancorato” a un programma di riforme istituzionali che dovrebbe tenerlo in vita per almeno un anno. La verità è che d’un balzo i pesi dei giocatori in campo sono stati completamente redistribuiti. Letta (nipote) avrà pure più tempo davanti (e poi chissà, vatti a fidare), ma dipende in tutto e per tutto da Renzi e dal patto di Renzi con Berlusconi (e con Letta zio), non più da Giorgio Napolitano il quale esce a sua volta a dir poco ridimensionato, se non strategicamente sconfitto, dallo storico incontro. Angelino Alfano ha praticamente un cappio alla gola, e se aveva fatto conto, per sopravvivere, su una svolta proporzionalista adesso deve cominciare a meditare i termini di un rientro nella casa bipolare del Capo.  Silvio Berlusconi è di nuovo al centro della scena (qualcuno aveva davvero creduto che ne restasse fuori solo perché giuridicamente decaduto?). Il Pd, che solo domani discuterà la proposta di legge elettorale messa a punto dal suo segretario col Cavaliere, è ridotto a quello cui ha voluto ridursi, un’appendice del leader (ricorda qualcosa?). La legge elettorale infine, posta in gioco solo apparente dello storico incontro, è più che mai in alto mare, perché è tutta da verificare la congruenza fra il disegno di R-B e le indicazioni della Corte costituzionale: e dunque, alla fine, anche il come e il quando delle prossime elezioni è tutto da vedere.
FIne del conto al volo. Il quale spazza via in un batter d’occhio l’isterica caciara formalistica fra antirenziani e antiberlusconiani da un lato e filorenziani e filoberlusconiani dall’altro sull’opportunità o meno dell’incontro che ha tenuto banco nelle quarantotto ore precedenti. Dimostrando l’ovvio, e cioè che se è lecito, e perfino dovuto, consultare sulla legge elettorale il leader (decaduto per frode fiscale) del secondo partito, che quest’ultimo ne esca più o meno rilegittimato dipende dal ”come” della consultazione stessa. E il ”come” non si riduce affatto al luogo dell’incontro, alla soglia simbolica del Nazareno o alle (poche) uova marce lanciate contro il Cavaliere. Il come è sostanza, e sta nelle due paroline magiche che Renzi ha scelto per siglare la serata: ”profonda sintonia”. Una sintonia che non va riferita purtroppo solo al risultato dell’incontro, ma alle sue premesse.
Giova fare in proposito un esercizio – impopolare – di confronto col passato. Non sono pochi coloro, a partire da Marco Travaglio, che oggi derubricano le responsabilità di Renzi riconducendole alle ventennali responsabilità dei leader del Pds-Ds-Pd, in primis Massimo D’Alema, nel ”legittimare” Berlusconi. Il rottamatore non avrebbe fatto altro, in sostanza, che allinearsi con i rottamati. Peccato che il paragone fra Renzi e D’Alema non stia in piedi. Nel ’96, quando prese inizio l’avventura spericolata della Bicamerale che avrebbe dovuto riscrivere con Berlusconi mezza Costituzione, Berlusconi aveva la maggioranza assoluta dei voti: aveva stravinto le elezioni nel ’94, le aveva perse nel 96 ma d’un soffio, e non per un calo di voti. L’impatto revisionista della sua ”nuova destra” – che agitava, va ricordato e non lo si ricorda mai, la minaccia di un’assemblea costituente in cui sarebbe stata maggioranza – era enorme, e il tentativo di ”imbrigliarlo” nella riscrittura delle regole era volto non a legittimarlo, ma a contenerlo. Fu un tentativo perdente, perché il progetto di Berlusconi era un progetto eversivo, irriducibile alla legalità e al galateo costituzionale: e questa è storia del ventennio passato. Ma oggi, Berlusconi non ha la stessa forza elettorale di allora, e il suo progetto eversivo nemmeno: la sua irriducibilità alla legalità, com’è noto, gli si è rivoltata contro, il suo declino è stato sancito giuridicamente, le sue ricette neoliberiste non hanno retto alla prova tragica della crisi degli ultimi anni, la sua riforma della Costituzione, approvata senza l’apporto del centrosinistra, è stata sconfitta dal referendum del 2006. Oggi sì, dunque, richiamarlo in campo significa ri-legittimarlo ben al di là della sua legittimazione effettiva. E significa soprattutto un’altra cosa: che questa rilegittimazione è possibile perché implica una completa interiorizzazione della sua agenda. ”Profonda sintonia”, appunto: non solo – si badi – sulla legge elettorale, ma sulla revisione della Costituzione, della forma di Stato (la riforma del federalismo) e di governo (il combinato disposto far legge elettorale e riforma del bicameralismo). 
Il tema dunque va spostato: dalla ”resurrezione” di Berlusconi – che per quanto sia stupefacente non è una novità, data la pervicacia del centrosinistra nell’ucciderlo giudiziariamente senza seppellirlo politicamente – all’intronamento a furor di media e di primarie di Matteo Renzi. Spiace per quanti, a partire da Repubblica, avevano salutato nel giovane segretario del Pd l’avvento del tempo nuovo e oggi si ritrovano risospinti improvvisamente nel vecchio: ma per chi avesse occhi per vedere, la ”profonda sintonia” fra l’agenda di Renzi e quella di Berlusconi era chiara, chiarissima, ben prima dello storico incontro. Paradossalmente non ha tutti i torti il cinismo dei giovani dirigenti più vicini al segretario, quando dicono che Renzi può ricevere il Cavaliere senza temerne l’impatto personale. In gioco infatti non c’è solo né tanto la rilegittimazione della persona Berlusconi, quanto la legittimazione da sinistra della sua eredità. Ovvero l’ammissione, da sinistra, che tutto sommato aveva ragione lui su tutto, e che basta fare meglio di lui le cose che voleva fare lui per ”cambiare verso” al paese. Questo e non altro è il senso della ”profonda sintonia”. 

lunedì 20 gennaio 2014

Una legge elettorale extra-parlamentare



Diario 242


Una legge elettorale extra-parlamentare 



È giusto! la legge elettorale, essendo una legge-regola, deve essere approvata con il massimo di consenso delle forze politiche (tendenzialmente tutte). 

La procedura adottata da Renzi, solo apparentemente risponde a questa esigenza, in realtà tende a rafforzare le oligarchie di comando dentro i singoli partiti. Si configura come una legge, che dovrebbe regolare l’accesso al parlamento, prodotta al di fuori del parlamento, con una trattativa personale del segretario del PD con i capi delle altre forze politiche e con un esito del tipo “mangiare questa minestra”.

Ciascun capo partito, che accettasse la soluzione, la proporrà al proprio partito incatenata, non emendabile, non modificabile; in caso contrario crollerebbe l’accordo con le altre forze e si tornerebbe al punto zero. Anche Renzi, si appresta lunedì a sottoporla per la ratifica al suo partito. Non alla discussione ma alla ratifica. Dopo di che passera alla ratifica dei gruppi parlamentari, che sotto il ricatto di elezioni anticipate non potranno che approvarla. 

La procedura seguita è probabile che alla fine ci darà una nuova legge elettorale, questo è un bene da verificare con il suo contenuto, ma non è una legge (le “regole”) condivisa dalle forze politiche, ma dai “capi” delle forze politiche sulla base di strategie politiche che nulla hanno a che fare con le regole e molto con le convenienze.

Non essendo un esperto di leggi elettorali, non essendo nota la stesura di merito di questa legge si può notare che vengono disattese i due principali elementi che hanno determinato il rigetto da parte della Corte Costituzionale della precedente legge: 1. La mancanza di potere dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, per quello che si legge la proposta prevede collegi numerosi e liste per ciascun collegio bloccate (niente preferenze); 2, pare, ma la cosa non è assolutamente chiara, che resti un premio di maggioranza anche se corretto rispetto alla legislazione passata. 

La legge dovrebbe garantire: rappresentanza e governabilità (una democrazia bipolare). Gli esperti ci fanno sapere che la governabilità in presenza di tre “gruppi” forti (la destra, il centro-sinistra, M5*) non è garantita, non solo ma neanche la rappresentanza, per non parlare del bipartitismo.


Incontro Renzi-Berlusconi 


La “consonanza” (che è qualcosa di più di un accordo, tra i due (un amico mi ha scritto che questo accordo gli ricordava il patto Molotov- Ribbentrop, dalla tragedia alla farsa) è ascrivibile all’evitare la crisi di governo, nessuno dei due si sente pronto (al di là delle affermazioni) e hanno bisogno di tempo per prepararsi alla battaglia elettorale l’uno contro l’altro (ai due contendenti importano relativamente le regole, hanno bisogno di “armarsi” per combattersi, e se uno crede alla sincerità dell’altro sa cosa gli capiterà). 

Può darsi che i due si dovessero incontrare, ma il modo ancor mi offende. E Renzi è caduto nella trappola: ha scambiato una consonanza sulla legge elettorale e sulle altre riforme costituzionali in cambio di una rilegittimazione di un condannato in via definitiva. Non è un caso che l’ex senatore ha detto specificatamente di voler giocare il ruolo di “padre della patria”. Siamo giunti a che un condannato per reati comuni e contro lo stato vuole vestire la toga di padre della patria. Per quando degradato questo paese, meriterebbe un padre con la faccia un po’ pulita.

Questa consonanza, di fatto antidemocratica nella misura in cui che è fondata sulla governabilità, sulla eliminazione del potere di veto dei partiti piccoli (che pur rappresentano qualcosa), e sulle liste bloccate oltre che sul premio per chi meglio si piazza, non lascia presagire niente di buono.

L’esercizio della democrazia è faticoso, ma nell'uno, né l’altro vogliono fare questa fatica, preferiscono l’espressione di un potere personale, l’uno basato sui soldi, l’altro sul consenso (attuale).

mercoledì 15 gennaio 2014

ll potere

Diario 241

Il potere

Chi mena scandalo per la “faccenda” che riguarda il ministro dell’agricoltura sottolinea fortemente il disprezzo per un ministro che usa un linguaggio non proprio consono; chi la difende sostiene che in casa propria ciascuno può usare il linguaggio che vuole e poi la ministra non è (ancora?) indagata. Il linguaggio sembra la chiave dell’accusa (da strada) e della difesa (ciascuno parla come vuole (e sa).

Ma è questo il problema che emerge? Al di là di ogni e possibile addebito penale, la vicenda è scandalosa perché appare come l’espressione di un potere senza principi. Certo tutta la storia governativa e no dell’ex senatore Silvio Berlusconi è stata una potente levatrice; ci ha abituati (assuefatti) a queste espressioni di potere. Ma non bisogna arrendersi, ogni volta ogni volta deve farci scandalizzare.

Da gradino a gradino siamo scesi in una fossa di serpenti e ratti, nella quale ogni minimo potere diventa fonte di arbitrio, manifestazione di puri interessi personali. La lingua usata dalla ministra ci parla di questo, non di un potere responsabile e democraticamente gestito, ma di una concezione feudale condita con le volgarità della nostra epoca.

Questo no, questo si, questo li, quest’altro qui, chi non si acconcia è scacciato come inconsistente, petulante e vano avversario.

L’autorità vuole autorevolezza, ma quello che ammanta le nostre autorità è solo meschina messa in scena di pressioni e di ricatti, di impotenza culturale e sociale riscatta da prepotenza e volgarità.

Fosse un caso quello del ministro si potrebbe metabolizzare, ma non è così, ogni giorno ci tocca la nostra parte di prepotenza, di uso arbitrario del piccolo o grande potere. Questo rosario delle incriminazione di consigliere regionali che si sono fatti pagare dai soldi pubblici financo le mutande verdi e gli assorbenti, non finisce mai; come continui sono i casi di corruzione dei nostri funzionari, dove sicuramente qualcuno ha chiuso gli occhi (cerchiati d’oro) e non ha visto lo stoccaggio di rifiuti pericolosi sotto il manto dell’autostrada.

Ma attenzione questa patologia del potere non solo risparmia pochi, ma si annida anche in ogni forma che va assumendo la politica. L’uomo solo al comando, la finzione di discussione democratica e trasparenza, forme insulse di partecipazione, imposizioni di soluzioni non meditate e non verificate sono l’ambiente di coltura di una potere che si degrada, ma che diventa sempre più forte e autoritario.

E questo riguarda la politica ma non solo, riguarda l'economia, la stampa, ecc.







venerdì 10 gennaio 2014

Matteo Renzi … controllati


Diario 240




Matteo Renzi … controllati

Questa è l’invito che molti, amici, compagni fedeli, antagonistici, ecc. fanno quotidianamente al neo segretario del PD Matteo Renzi. Ma è un invito che non può non cadere nel vuoto. E come se si invitasse un gatto a non cacciare i topi. 

Renzi è questo: spavaldo, pieno di sé, ambizioso, lingua sciolta, qualche volta più veloce del pensiero, arrogante, e, in qualche modo, si sente predestinato a salvare il Paese. Cosa aspettarsi da un predestinato?

Tutte virtù e vizi non controllati, non gestiti con intelligenza strategica, il suo credo fondamentale e “rompere” per passare, ma non sa bene cosa fare delle macerie. È convinto che piegherà tutti abbagliandoli con il gioco di fuoco delle parole e delle proposte, spesso generiche. Chi lo segue è nel giusto, altrimenti sbaglia e lui è pronto con il fucile puntato.

È giovane, ma non si tratta di una virtù ma solo di un fatto di calendario; ma alla sua giovinezza, come è giusto, affida le sue fortune, e fa anche finta che questa virtù lo fa paziente, può aspettare, ma ogni sua parola e gesta denunzia impazienza. È contro i riti ma ne costruisce di nuovi: le riunioni alle 7,30; la bicicletta; la colazione al sacco pagata di tasca propria, le riunioni fuori le mura di Roma. Tutte cose forse utili, sicuramente emblematiche ma che rischiano di denunziare la loro faccia propagandistica e non una regola di governo. La sua idea di collegialità è … un uomo al comando.

È il segretario del maggior partito (anche della “sinistra”) italiano, a questo ruolo si è preparto molto per tempo, le varia riunioni alla Leopoldo dovevano servire a formare una piattaforma per il nuovo possibile, per il nuovo segretario, per il nuovo capo del governo. Ma non si conoscono le sue opinioni su alcuni dati fondamentali della situazione italiana. Cito alla rinfusa, gli armamenti, la patrimoniale, il debito sovrano, la diseguaglianza, la fiscalità, l’acqua, le provincie. Su altre questioni affondi propagandistici e non chiari come il lavoro, la politica economica, l’industria pubblica, ecc. Certo non deve sapere tutto, ma la collegialità serve, appunto, per mettere a fuoco le diverse questioni e fare delle … proposte. 

La famosa proposta sul lavoro pare fatta a posta perché ciascuno ci trovi un fiorellino da raccogliere, ma essa è vaga e indeterminata. Un sommario dice sul quale lavorare. Lavorare chi, come, quando, a quale finalità. Ormai tutti si sono fatti scaltri, e ad ogni proposta puntano al dito sul … costo. Così il rischio e di non fare nulla o poco. 

Nelle proposte, comunque, manifesta il massimo del suo carattere: la “furbizia” (anche questa una virtù da gestire con attenzione e parsimonia). Per esempio le possibili “tre” diverse soluzioni di legge elettorale offerta ai partiti e al parlamento, non appare un fatto di democrazia, una apertura verso gli altri per giungere ad una scelta condivisa, ma piuttosto si tratta di alternative che hanno lo scopo di fare litigare i partiti, soprattutto quelli dentro la maggioranza. Una maggioranza e un governo che non ama, ma che deve ancora sopportare sottoponendolo a continue scosse telluriche (del resto il governo ci pensa da sé a fare pasticci e a offrirgliene il destro). 

Che sia l’uomo della … vittoria, lo sperano in molti. E se poi non fosse così? L’” Italia cambia verso” sembra un buon slogan, ma quale è il verso che il paese imbocca. È un cappotto rivoltato come si faceva durante la guerra o un capo nuovo?.

Il povero ha un handicap, è sorto nel momento sbagliato. Fino a dieci anni fa forse poteva andare bene, il paese, in qualche modo, andava avanti quindi una sferzata di gioventù e di un riformismo pasticciato poteva servire, ma ora non è così. È appena sorto il 2014, l’anno delle ripresa, che già si avanzano dubbi non solo sulla ripresa ma anche sulla ripresina. Le ricette proposte da Renzi, piacciono o non piacciano (l’opportunismo è merce abbondante), non colgono il momento di transizione, non hanno sentore della modifica strutturale del sistema capitalista (di cui in questo diario si è più volte scritto). Dove ci porterà l’inconsapevole Renzi e la sua giovane squadra, “verso” quale Italia? Nuvole, nuvole.