martedì 29 ottobre 2019

Esperienza di economia civile in Sardegna



Diario
29 ottobre 2019

Sono stato alla presentazione di un libro interessante (Enrico Parsi, Tanto per cambiare, Paolo Fresu, Berchidda e altre storia di economia civile, prefazione di Paolo Fresu, Pacini editore Pisa) nel quale veniva presentato un caso di quella che viene chiamata “economia civile”. Quella di cui si parla a lungo, e che è stata illustrata con passione da Paolo Fresu, è l’esperienza di un festival di jazz che si svolge ormai da molti anni a Berchidda, piccolo centro del centro della Sardegna.
Un festival, organizzato e diretto da Fresu, che durante i quindici giorni di attività è frequentato da migliaia di persone, e che proprio per questo è diventato una rilevante fattore economico della comunità (circa 3.000 abitanti).
Fresu è riuscito non solo a far partecipare tra i migliori artisti mondiali, ma ha scelto di cancellare ogni aspetto tradizionale di “concerto”, le esibizioni si svolgono o nelle piccole chieste di campagna o, molto più spesso, all'aperto in zone del territorio del comune e dei comuni vicini, che si raccomandano per la loro bellezza, gli ascoltatori si siedono a terra o dove capita, e sono partecipi di un evento che potremmo dire di “opera aperta”, sia da parte dell’artista (la musica jazz è per sua definizione aperta) sia da parte del fruitore, che messo in un contesto non codificato (come un teatro o una sala da concerto) ne moltiplica i significati (sia individuali che collettivi).
Il nodo del libro, tuttavia, è la creazione di una “economia civile”: di un sistema economico basato su una volontà di partecipazione e di condivisione con la creazione di un circuito economico. L’arte in generale, ma qualsiasi valore “locale”, può diventare l’occasione e l’opportunità della costruzione di  un sistema di economia civile, cioè di una economia in parte sottratta ai meccanismi propri del sistema capitalista.   
Il libro, come detto è centrato sull'esperienza di Berchidda, ma l’autore elenca altre esperienze che si collocano nell'ambito dell’economia civile.  Si tratta di un piccolo libro che merita di essere letto con attenzione e senza sufficienza.
A me paiono esperienze interessanti che possono contribuire a creare situazioni economicamente favorevoli in zone un po’ marginali rispetto all'economia industriale e capitalistica, non credo, tuttavia, ma non lo crede neanche l’autore, che questa possa essere l’unica soluzione per molte delle zone, come dire, depresse, del paese.
   

giovedì 24 ottobre 2019

I piccoli passi (?)




Diario
24 ottobre 2019

È evidente a molti studiosi, ma ormai comincia ad essere senso comune, che il sistema sociale che ha migliorato la situazione di miliardi di uomini, sfruttandone fino alla sopravvivenza milioni, si trovi in una crisi di sistema: il capitalismo non sembra poter garantire più quello che promette, anzi al contrario determina in molti parti del mondo un profondo peggioramento della condizione umana.
Che ci sia bisogno di un nuovo e diverso sistema sociale è evidente, c’è bisogno di un diverso modo di distribuire la ricchezza e i “redditi”,  la tecnologia indica la strada per nuove forme di produzione, ma non suggerisce niente per la realizzazione di un nuovo sistema sociale. La questione ambientale richiama alla necessità di profonde modifiche di produzione e di consumo, ma l’adesione, più o meno sincera, alle grandi battaglie ambientaliste, al movimento di giovani sempre in crescita, non produce un effettiva e significativa modifica nella produzione e nel consumo, questo perché le “regole” di funzionamento del sistema capitalistico non sono mutate. La guerra, piccola o grande che sia, è ancora lo strumento per distruggere, oltre le vite umane, beni e servizi e armi, una distruzione che finisce per alimentare la “ripresina” economica (forse a questo sono funzionali anche i disastri ambientali).  
C’è la consapevolezza che i vecchi metodi che erano state elaborati per la “rivoluzione”, oltre ad avere dato pessimi risultati,  non siano più adeguati alla nuova situazione. Il mix di capitalismo aggressivo e di comunismo autoritario che si sta sperimentando in una parte consistente del pianeta, pare di successo perché deve recuperare dei deficit tragici del passato, ma “rallenta” e presto si troverà ad affrontare sia crisi politiche che sociali (si hanno i primi episodi).
È manifesta l’insopportabilità della situazione dalle manifestazioni e lotte di massa che in diverse parti del pianeta, consapevolmente o meno, si pongono il problema di un diverso sistema sociale. Ma non si trovano indicazioni efficaci per la costruzione di un “nuovo sistema sociale”.
Alcuni sostengono che l’unica strada sia quella dei “piccoli passi”, non so se sia la strada giusta, ma accettando questa soluzione è necessaria che i “piccoli passi”, siano significativi, si muovano nella stessa direzione e incidano, cambiando aspetti significativi del sistema esistente. In realtà i piccoli passi (quando ci sono) appaiono più tentativi (modesti o meno) di affrontare alcuni aspetti particolare che emergono con più vigore, piuttosto che la manifestazione parziale di un disegno chiaro e completo.
Il mio amico Angelo sostiene che l’unico passo necessario sia quello di trasformare il denaro da bene personale in “bene comune”, a me sembra non tanto un piccolo passo ma una grande rivoluzione concentrata, e appunto per questo di difficile realizzazione.
Molti amici, nei discorsi da caffè, si lamentano del fatto che lasceremo ai nostri figli e nipoti una situazione ambientale disastrosa, sono d’accordo ma personalmente mi fa specie che lasceremo loro
anche un sistema sociale senza vie d’uscite. Si parla di evoluzione del “capitalismo”, ma il capitalismo è per sua natura un sistema in continua trasformazione o, se si vuole, in evoluzione, ma queste non incidono sui suoi capisaldi.
Buttiamo un occhio, molto rapido e sintetico, sulle questioni di casa nostra. È manifesto che esiste un problema di diseguaglianze (economiche, culturali, sociali, geografiche, ecc.), diciamo che esiste, per usare una modalità descrittiva ormai nota, che l’1% della popolazione concentra una quota rilevantissima della ricchezza e del reddito, mentre il restante 99% si divide il resto, con all’interno ulteriori forme di diseguaglianza. In questa situazione il senso comune dei partiti, anche di quelli che hanno formato il nuovo governo, è la diminuzione delle tasse, l’accusa più rovente che l’opposizione fa al governo e che ha aumentato le tasse ed esso da questa accusa si difende non affermando il principio che “tassare sia giusto”, ma che non ha aumentato il carico fiscale. È evidente che esiste una diseguaglianza anche nel sistema fiscale, ma questa è altra faccenda.
Il governo ha lanciato una campagna, si spera seria, contro l’evasione fiscale, arrivando fino alle pene detentive per i maggiori evasori (considerati dei “ladri”  e come tali punibili). Bene, ma il governo ha fatto finta di non vedere la ricchezza di quel famoso 1% (che si ingrassa in parte anche attraverso l’evasione fiscale), una imposta sui maggiori patrimoni sembra un’eresia del “buon governo”. Ma è chiaro che quello della patrimoniale, della fiscalità sulle successioni, ecc. costituiscono un piccolo passo nella direzione giusta. Esse, infatti, danno una indicazione antropologica di vita: non dannatevi per accumulare, mettete le vostre energie nel godersi la vita, la gioia degli amori, i paesaggi, la lettura, l’arte, il mare, ecc., perché se accumulate oltre un certo limite lo Stato ve lo toglie, e ve lo toglie per il bene di tutti ma anche per il vostro bene.        

        

sabato 5 ottobre 2019

Meno parole in libertà e più consapevolezza



Diario
5 ottobre 2019

Se non stanno attenti finisce che questo governo si sfracella su un mucchio di parole in libertà e prive di connessione logica tra di loro. E se il capofila è Matteo Renzi, i ministri non sono da meno; ciascuno nella propria individualità propone cose più o meno giuste e significative, il problema è che nessuno prima si premura di cercare l’accordo nella compagine di governo, per cui poi bisogna fare ignominiosamente marcia indietro. Mentre ciascuna parte tenta di attribuirsi i meriti di qualche provvedimento, a memoria delle prossime elezioni (che se non si correggesse questo stile di governo arriverebbero  molto presto). L’impegno speso per formare questo governo risulterà inutile, con grave danno di tutti i cittadini.
Per esempio alcuni capi delegazione (una nuova terminologia di questo governo) si dichiarano contrari ad ogni aumento fiscale ma pretendono maggiori investimenti, non è chiaro come finanziarli. Ci sarebbe la riduzione delle spese militari, ma ... Il prelievo fiscale appare in questa versione una vessazione, non il necessario contributo di ciascuno per le spese collettive. Si può dire che il prelievo non è equilibrato e che il principio della progressività non è applicato con coerenza, si potrebbe correggere questo, ma non si vuole. L’assoluta opposizione verso una qualche imposta patrimoniale è il ritornello  di tutti a cominciare dal presidente del consiglio e giù per i rami di tutti gli altri. Capisco Berlusconi, ma perché ministri e capi delegazione del governo garantiscono che non ci sarà e non si pensa ad una tassazione del genere. Cosa ci sia di scandaloso in una tassa patrimoniale non è chiaro. Studi, analisi, libri, ecc. ci raccontano di una spaventosa concentrazione e aumentata anno per anno di ricchezza in poche mani (l’emblematico 1% della popolazione). Non bisogna essere comunisti, né avere in odio il capitale per pensare che sarebbe normale che la fascia di popolazione che ha accumulato maggiori ricchezze contribuisse in misura maggiore, eccezionale e duratura, alle spese della collettività. Non sarebbe scandaloso un loro contributo “eccezionale” di una certa consistenza nel momento di difficoltà, e poi un contributo normale che rispettare il criterio della progressività.

 Quello che credo la maggior parte della popolazione considererebbe ragionevole, per i nostri uomini di centro sinistra (?) non lo è, peggio sarebbe un errore, ma forse, questo non è chiaro,  si considererebbe una ingiustizia.
Fossero dei lacchè del capitale lo si potrebbe capire, ma si tratta solo di ignoranza e viltà, e di essere vittime di luoghi comuni (come la vendetta del capitale se fosse toccato). Si tratta di un passaggio fondamentale per misurare il tasso di progressismo (non di rivoluzianismo) di questo governo.

martedì 1 ottobre 2019

Urbanistica: il coraggio di andare oltre

La scomparsa di Bubi Campos  Venuti costituisce un ennesimo impoverimento della cultura Urbanistica del nostro paese. In breve periodo Bernardo Secchi, Edy Salzano e Bubi Campos Venuti se ne sono andati, tre personalità di grande rilievo in permanente contrasto tra di loro e più ancora  con establishment dell’urbanistica e della politica, ma tutte tre con una comune visione: fare Urbanistica è fare politica, o al contrario fare politica per la città significava fare Urbanistica.
Tutti perdiamo dei colleghi, alcuni degli amici e dei interlocutori, magari con cui si è polemizzato e talvolta litigato, ma certo ad alcuni mancheranno. Non vorrei essere frainteso aver messo questi amici (con livelli diversi di amicizia) insieme non significa omologarli. Erano molto diversi tra di loro, diverso era il loro atteggiamento  nei riguardi della disciplina ed anche  rispetto alla politica secondo le vicissitudini del nostro paese e non solo, ma tutte tre hanno rappresentato, pur nei diversi approcci, “scuole” di urbanistica  tra le migliori, così riconosciute  anche a livello internazionale.
Il loro lavoro è sempre stato ineccepibile? le loro elaborazioni incriticabili? Ma perché mai! i tre appartenevano ad una fase del pensiero urbanistico che si faceva forte, e su questo cresceva, della reciproca critica, niente veniva risparmiato, talvolta usando la diplomazia, ma molto spesso neanche quella.
E se Campos è stato il più esposto alle critiche, ciò dipendeva dall’essere stato assessore all’Urbanistica della giunta Dozza di Bologna e di aver delineato  una prospettiva futura per la città. Ma il suo riformismo non piaceva a “sinistra” ma non piaceva neanche al settore immobiliare. Lui che paziente non era, promuoveva la pazienza riformista. È  stato un buon assessore-urbanista, e Bologna gli deve molto. Non si tratta di un riconoscimento postumo quanto piuttosto dell’esito di un lavoro di “concerto” di cui si costatano i risultati.  Anche Edy  Salzano, in tempi diversi,  ha fatto l’assessore all’Urbanistica di Venezia, con non meno critiche e con molto meno successo (la Venezia di oggi né è testimone).  A  Bernardo nessuno ha “offerto” un assessorato (e son sicuro gli sarebbe piaciuto).
Ma bisogna stare attenti, il giudizio sull’esito, non coinvolge solamente l’opera dei singoli, i loro piani, le loro politiche, ma in misura determinante esso dipende dalla politica che ha o non ha accompagnato la loro pianificazione. In questo campo Bubi Campos è stato il più fortunato, la sua elaborazione ha goduto di essere inserita come parte fondamentale del “riformismo emiliano”.
Il contrasto alla  rendita prima e il consumo del suolo più recentemente hanno costituito dei capisaldi del loro pensiero, e se i due fattori possono risultare in contrasto tra di loro, sicuramente si configurano come fattori determinati di contrasto all’urbanistica.   
Il loro lascito disciplinare è codificato in molte opere e molti testi, ma compito dei giovani urbanisti non è quello dell’applicazione di questo lascito, quanto piuttosto di andare avanti, più avanti, con coraggio e sapienza a partire dall’antinomia esistente tra il capitalismo  e ambiente e giustizia sociale e … città.