martedì 30 settembre 2014

Renzi: gli atteggiamenti, le prospettive, gli errori, la debolezza e la … forza

Diario 270

Renzi: gli atteggiamenti, le prospettive, gli errori, la debolezza e la … forza

La questione del “lavoro” ha messo in luce molte cose, si tratta di un velo che sollevato ha mostrato questioni di merito, di metodo e di prospettiva. Ma quanto è alta l’erba sotto i piedi di Renzi? Questa è una domanda da farsi.
Intanto i distinguo (per non dire gli attacchi) della grande stampa (meraviglia soprattutto La Repubblica che aveva assunto il ruolo di “organo di Renzi”), dei Vescovi, certo poi ci sono i distinguo e le precisazione, ci mancherebbe altro la Chiesa è maestra in questo, del Sindacato (dei “sindacati” anche se non uniti nelle modalità della protesta), della Confindustria che si spende in richiami e distingui, ecc.,  tutto questo sembra indebolire Renzi e il Governo.
C’è qualcuno che pensa di fare le scarpe al nostro giovane presidente, e in termini di “fare le scarpe” chi meglio di Della Valle? L’iniziativa, velleitaria, di Della Valle, mette in luce un’altra questione che attiene alla percezione delle cose politiche che si ha: si è diffusa l’opinione, ma non è solo un’opinione, che ha fare e disfare i governi non sia il Parlamento ma il Presidente della repubblica (Monti, Letta, lo stesso Renzi, insegnano), è per questo che Della Valle con la lista dei suoi ministri vuole salire al Quirinale.
Non credo che ci sia la volontà e la possibilità di scaricare Renzi, ma, ognuno per la sua parte, vuole fargli sentire la propria voce, ma non sanno che Renzi è sordo.
Se non fosse sordo avrebbe ascoltato quanti, con diverse argomentazioni e in diverse salse, hanno sottolineato che il problema dell’occupazione (o se si preferisse della disoccupazione) non è la legislazione sul mercato del lavoro ma gli investimenti. Si può convenire che il funzionamento del mercato del lavoro vada migliorato e migliorato molto (art. 18 a parte) o come si dice  “riformato” (oggi qualsiasi cosa si faccia e proponga è una “riforma”), ma l’avere sottolineato e sostenuto da parte del governo che questa modifica fosse necessaria per uscire dalla crisi, sembra una vera sciocchezza, ma non solo una sciocchezza di fatto, ma soprattutto una sciocchezza politica (cosa succederebbe se il meccanismo non funzionasse, come già gli 80 euro?).
Degli atteggiamenti di Renzi non voglio scrivere niente, l’ho fatto tante volte, ma voglio segnalare quando l’atteggiamento sbocca in un vero errore. È questo il caso dell’accordo del Nazzareno con Berlusconi. Il ragionamento spiattellato da Renzi è stato il seguente: Berlusconi è il capo dell’opposizione, non mi importa che si tratta di una persona condannato in via definitiva per reati contro la Pubblica amministrazione, per le riforme Costituzionali ho necessità di allargare il consenso e quindi devo trattare con il capo dell’opposizione. Io sono capace, lasciate fare a me che Berlusconi me lo mangio.Il relativismo etico non mi pare possa essere messo tra parentesi, è uno strumento di corruzione della società perché mette in crisi alcuni valori a favore di un opportunismo politico (non importa se a fin di bene, come è noto la via dell’inferno è lastricata …”) ma si tratta anche di un errore. Intanto il tema delle riforme costituzionali non è materia governativa ma parlamentare, l’allargamento del consenso, auspice il ministro delle riforme, doveva essere fatta in Parlamento dove c’è il patrito di opposizione ma non  il suo capo, non al Nazareno con Berlusconi. Ma c’è do più: Forza Italia  usciva da una scissione (Alfano) che aveva permesso a Renzi di formare il governo, con il patto del Nazzareno, come poi si è visto, si forniva a Berlusconi  uno strumento per bloccare ogni altro indebolimento di FI. Il patto del Nazzareno, semplificando molto, è un patto contro Alfano.
Da qui discendono tutta una serie di compromissioni con Berlusconi, interlocutore privilegiato (dispiace dirlo, ma in questo D’Alema ha ragione), non solo sulle riforme istituzionali ma anche sul resto.
Come ho scritto un’altra volta, mentre Berlusconi aveva offerto un modello da seguire, se uno non riusciva ad arricchirsi era colpa sua non di Berlusconi o del governo; Renzi, in questo molto diverso da Berlusconi, ha promesso di risolvere i problemi del paese. Con la sua azione, il suo governo, la sua semestrale presidenza dell’Europa, la sua trattativa con la germania, la sua azione nei riguardi della Commissione della UE avrebbe rilanciato l’economia, il paese, l’orgoglio degli italiani, e chi più ne ha più ne metta.
Ma i problemi non solo non sono stati risolti ma neanche individuati, annunzi di riforme a tappeto, senza nesso e senza un obiettivo generale se non quello di “modernizzare” il paese (che vorrà dire mai?). L’economia langue, la disoccupazione è fissa, gli investimenti latitano. Gli investimenti pubblici decisi rinvangano in larga parte vecchie decisioni, le promesse di rimettere a posto le scuole ancora sono ferme al palo, pensiamo solo a vendere quote di imprese e il patrimonio immobiliare,  mentre la retorica sulla ricchezza di questo paese (storia, cultura, arte, paesaggio ecc.) riempie i nostri giorni.
Nessuno pensa che tutto sia facile, il problema è che non si vede uno straccio di progetto sensato, una decisione che muova la situazione, una cosa che possa illuminare lo sguardo dei giovani emarginati. Tutti felice della cancellazione dei cococo e di altri contratti, ma quali contratti si devono aspettare i disoccupati e quelli in cerca di occupazione?
Detto tutto questo bisogna riconoscere che Renzi, nonostante le critiche della stampa, delle gerarchie ecclesiastiche, di settori imprenditoriali, ecc., non è debole, ma al contrario è fortissimo.
La forza gli deriva da una mancanza di alternativa (mica crediamo all’iniziativa fumosa di Della Valle né a quella più strutturata ma più velleitari,se fosse possibile, di Passera): a sinistra del PD praticamente non c’è niente, quello che si era faticosamente costruito è stato scaraventato in una sorta di pozzo senza fine, ma soprattutto il PD non può fare nulla. Non può appoggiare entusiasticamente Renzi, ma non ci si può opporre frontalmente, non solo per i numeri, ma per il pericolo della spaccatura che scioglierebbe lo stesso partito.

La forza di Renzi è la debolezza degli altri (5* e FI comprese). Al posto del giovane presidente del consiglio tuttavia starei attento, il futuro potrebbe non essergli amico e potrebbe anche non essere amico del paese. La sua responsabilità è enorme, sembra avere consapevolezza di questo ma in realtà dà l’idea di giocare alla battaglia navale.

mercoledì 24 settembre 2014

La grande attesa

Diario 269

La grande attesa

In tutte le sedi delle maggiore industrie, società per azioni, imprese di servizio qualsiasi cosa producano (auto, dentifricio, bicchieri, occhiali, vagoni ferroviarie, cemento, medicinali, servizi di trasporto, ecc.), i consigli di amministrazione sono in riunione permanente da diversi giorni. Le segretarie impazziscono a portare continuamente panini e bottiglie d’acqua, a mettere in contatto i singoli consiglieri con le loro famiglie, ad aggiornare le informazioni. Lo straordinario è diventato l’orario corrente.
Nella sala di riunione si avvicendano tecnici e progettisti che espongono carte e modelli con progetti, mentre gli economisti delle stesse  imprese sfornano continui tabulati che forniscono il “tessuto economico” dei diversi progetti. Esperti di localizzazione piantati davanti ai pc valutano le convenienze dei diversi siti (il sistema delle reti stradali e ferroviarie, il prezzo delle aree, ecc.). I servizi di sicurezza garantiscano la segretezza di queste riunioni, infatti lo spionaggio industriale ed economico è molto attivo.
Insomma un grande fermento, una esplosione di iniziative, che promette un rilancio economico e produttivo. Un fermento che ha messo anche sul chi vive gli istituti bancari, le banche d’investimento, i fondi; mentre gli operatori di borsa sono con il fiato sospeso tutto può accadere.
Un fermento che non investe solo i paesi europei (anzi in quest’area  sono le imprese tedesche sembrano maggiormente interessati a quello che sta avvenendo e che potrebbe avvenire); negli Stati Uniti e in Canada c’è agitazione anche se con un tasso di mobilizzazione modesto; è soprattutto la Cina che sente forte la pressione. Non si esclude una riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese sul tema specifico. Qualcosa si muove anche in Brasile e India, non solo ma anche, e non si riesce a crederci, anche in Russia, nonostante le ultime decisioni dei paesi occidentali, le grandi società statali e private sono all’erta.
I grandi quotidiani e le più importanti rete radio televisive hanno allertato i loro migliori commentatori, i migliori segugi di informazioni sono stati lanciati nella raccolta di notizie. Nessuno vuole fallire la notizia e gli effetti dirompenti che la notizia stessa avrà.
Tutti sono in attesa dell’approvazione del Job Act da parte del Parlamento Italiano, soprattutto l’attenzione è spasmodica su cosa ne sarà del famigerato articolo 18. Il futuro del rilancio, non solo dell’economia italiana (tutti i progetti di cui si è detto sopra, infatti, riguardano possibili investimenti nel nostro paese) e di quella mondiale.
Liberarsi del ristagno, della recessione è tutto legato a questo atto del nostro Parlamento e a gli effetti che produrrà non solo per gli investimenti nel nostro paese, ma anche, data la globalizzazione, per tutto il mondo.
Mai il nostro paese era stato al centro dell’interesse mondiale come adesso. Il Parlamento è investito da una grande responsabilità per l’oggi e per il domani.

  

venerdì 12 settembre 2014

Il Pil e l’etica statistica


Il Pil e l’etica statistica

di Giuseppe Amari

da: sbilanciamoci
11/09/2014
Abbiamo appreso che anche l’Italia si adeguerà all’Europa, secondo l’indicazione dell’Eurostat, nel considerare nel computo del Prodotto Nazionale Lordo (PIL) le attività illegali come il traffico della droga, il contrabbando, la corruzione e la prostituzione.
Dopo aver già inserito, a suo tempo, la stima dell’attività in nero (sommerso). Il “drogaggio” (è il termine giusto) del PIL ci permetterà di rispettare con meno difficoltà gli impegni presi in Europa. Tanto che la presentazione del DEF (Documento di Economia e Finanzia) è stata spostata ad ottobre, dopo il suddetto ricalcolo.
Naturalmente, anche la scelta europea (come se antecedentemente non esistesse la criminalità e avendo sinora imposto politiche restrittive che si sarebbero evitate se quel riconoscimento fosse avvenuto prima) è probabilmente dettata dalla ipocrisia tecnocratica di concedere una maggiore elasticità rispetto a quei parametri e non ammettere la loro impraticabilità e inconsistenza scientifica, come ormai assodato. Un “pitagorismo” economico politicamente molto utile per pretendere riforme di stampo liberistico e antipopolare imposte dai circoli finanziari e dai politici europei a loro subalterni, responsabili della stagnazione decennale e della recessione in tutta Europa.
Oltre a distrarre l’attenzione dalla causa più profonda dell’attuale crisi, non solo economica, da ricondurre innanzitutto alla “iniqua e arbitraria distribuzione del reddito e della ricchezza” (Cfr. J.M. Keynes).
A suo tempo Bruno De Finetti, un grande matematico che si intendeva anche di economia, parlava di Prodotto Interno Lordo nel senso di “sporco”. Si riferiva al fatto che nel suo computo vengono considerate in modo positivo transazioni socialmente e umanamente dannose per la comunità come le spese in armamenti, quelle causanti l’inquinamento ambientale e territoriale (a cui andrebbe aggiunto quello finanziario, non meno pericoloso, come ricordava il suo amico Federico Caffè).
Ma neppure De Finetti avrebbe immaginato che il “lordo” sarebbe diventato “lordissimo”! E tanto meno il povero Adamo Smith che era, prima che economista, docente di diritto e filosofia morale. Il PIL – come è noto – deve dar conto del valore del flusso annuale di beni e servizi prodotti che vanno ai consumi ed eventualmente ad accrescere la ricchezza di un paese (per la cui definizione non si può evadere da giudizi di valore espressi democraticamente). Ma se si considerasse il degrado ambientale, territoriale e del patrimonio artistico grazie proprio agli speculatori e alle mafie, un conto patrimoniale (che non viene effettuato) constaterebbe che la ricchezza del Paese sarebbe da molti anni in declino.
Non tutti sanno (o ricordano) i limiti di contabilizzazione del Prodotto lordo (che diventa “netto” per gli economisti quando dal “lordo” si sottraggono gli ammortamenti, cioè il consumo del capitale). In realtà questo considera soprattutto le transazioni ufficiali sul mercato, e procede a imputazioni (come nei servizi pubblici imputati al costo e cioè sostanzialmente in base alle retribuzioni dei dipendenti pubblici a prescindere dall’effettiva produttività) e con non semplici stime per le altre (come il “sommerso” e oggi con le attività illegali). Scherzosamente è stato detto che se un economista sposa la sua governante il PIL diminuisce (della sua paga). Ma anche le transazioni ai prezzi di mercato non considerano la loro scarsa significatività per la società considerata come un tutto. A seguito del crescente grado di monopolizzazione, dei fenomeni indotti di psicologia di massa, della già ricordata presenza delle molte esternalità negative. Né vanno dimenticati gli effetti distorsivi dovuti alla stessa iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza.
Così che la valutazione del PIL è da effettuare più sull’ordine di grandezza e dei suoi andamenti tendenziali, compresi i suoi principali componenti, che nei decimali di punto. Sono cose note agli esperti ma solitamente dimenticati anche dagli stessi quando (dis)informano il pubblico.
Ma dopo le sofisticate, recenti elaborazioni di Stiglitz, Sen, Fitoussi (nel rapporto Sarkozy) per rendere più significativo il PIL, da implementare anche con altri indicatori sociali, la scelta di cui parliamo è veramente paradossale. Mai come questa volta l’economia si è dissociata ufficialmente dalla morale e dal diritto.
Vale dunque ancora l’avvertimento di Federico Caffè, nel commentare il premio Nobel a Richard Stone, uno dei pionieri moderni della contabilità nazionale, sul “lavoro da compiere per ridurre i divari tra le pluralità (o schizofrenie) delle etiche statistiche” [1].
Ma c’è inoltre ancora un grave danno: quello di gettare discredito nei confronti di un’attività come quella delle rilevazioni statistiche e dei conti nazionali che sono indispensabili per azioni di consapevole politica economica e per una corretta informazione necessaria per l’esercizio democratico del cittadino. Per non parlare ovviamente dell’offesa ai tanti che hanno sacrificato la vita e tuttora la mettono in pericolo per combattere quelle attività e dalla cui sconfitta ci dovremmo avvalere per accreditarci false ricchezze e povertà morali.
Non si era detto che le attività illegali e criminali rappresentano un danno e un inquinamento per l’economia e lo sviluppo (civile)? Ecco perché dovrebbero essere innanzitutto gli economisti e l’ISTAT stesso, che ha una ben diversa tradizione, ad elevare la protesta in sede europea [2].
Sulla stima quantitativa della criminalità c’è già chi si lamenta per un non adeguato riconoscimento della “virtù” patria, che meriterebbe ben più del 2% del PIL che sembra vogliano riconoscerci: solo circa 30 miliardi, un vero affronto alle nostre organizzazioni criminali e quindi benemerite che sono anche – non dimentichiamolo – esportatrici nette (in questo caso al netto delle importazioni di reato) e quindi creatrici di “valore criminale” in Europa e ben oltre.
Questa, dunque, “èlavoltabuona” per “battere i pugni” in Europa!
Tra le condizioni richieste per “contabilizzare” il reato, ci sarebbe però quello della consensualità tra i rei, rimanendo quindi escluse le forme estorsive. Poco male, perché comunque saranno ricomprese le forme di associazione a delinquere (che moltiplicano il business e il PIL), anche se per il diritto penale rappresentano un aggravante.
Spetterà comunque al Presidente del Consiglio risolvere i conflitti di interesse (si spera) tra i suoi ministri dell’Economia dell’Interno e della Giustizia.
Ma, per riprendere il caso dell’economista e della sua governante, perché non considerare allora, in alternativa, le prestazioni delle casalinghe (e dei casalinghi) in aumento anche grazie alla recessione e al declino del lavoro (di mercato) in assenza di proposte più intelligenti?
Sarebbe “lavoltabuona” per cacciare la Troika di torno!

[1] F. Caffè, “Richard Stone, l’economia e l’etica statistica”, il manifesto, 19 ottobre 1984.
[2] Come ad esempio sollecita Luigino Bruni: “Pil ‘nero’, fuori dal bene comune” , Avvenire, 29 maggio 2014 .

lunedì 8 settembre 2014

Matteo Renzi: senza naso, senza bocca, senza orecchie e senza … partito

Diario 268

Matteo Renzi: senza naso, senza bocca, senza orecchie e senza … partito

“Io ci metto la faccia”, così si è declinato il progetto politico del Presidente del consiglio a proposito delle riforme. La sua faccia dovrebbe essere già ampiamente affettata, infatti le riforme annunziate: entro un mese, entro giugno, ecc. non sono state realizzate.
Questo modo di porsi politicamente mette in discussione non solo la credibilità del Presidente ma anche la tenuta del suo consenso.
Certo si può ragionare pensando che se l’elettorato italiano si è sopportato per decenni Silvio Berlusconi, che in fatto di mantenimento delle promesse non è stato secondo a nessuno, si può stare tranquilli che anche per Renzi il consenso elettorale non potrà mancare. Ma forse non è così.
Berlusconi al di là di qualche sporadica promessa (“un milione di posti di lavoro”) quello che offriva era un modello: un uomo fattosi da sé, ricco, in quanto ricco potente, in quanto ricco e potente è circondato da belle donne, un uomo di successo, in tutti i suoi aspetti (desiderati dai più). Un modello al quale tutti poteva aspirare, le proprie caratteristiche, il proprio impegno, le proprie capacità, solo queste avrebbero permesso a ciascuno di conformarsi al modello. Se non ci si fosse riusciti non era colpa di nessuno ma solo di se stessi. Il messaggio di Berlusconi, al di là di sbavature di tipo politico, era un “modello” che caricava su ciascuno la possibilità di emularlo.
Il messaggio politico di Renzi è molto diverso: non un modello ma un processo di riforma del paese (“cambiare verso”), Renzi scarica su se stesso (neanche sul suo governo) la capacità e responsabilità del cambiamento. Il paese è in attesa che questo cambiamento avvenga, Non si fa carico a ciascun cittadino del cambiamento, se non per le conseguenze che possono capitare tra capo e collo a ciascuno date le scelte governative (conseguenze quasi tutte negative). Il consenso a Renzi è legato alla fiducia che l’uomo riesca nel suo intento.
Due messaggi completamente diversi, due conseguenze completamente diverse.
Renzi è inconsciamente cosciente di questo: quando all’inizio del suo mandato ha dichiarato che in un mese avrebbe riformato il lavoro, in due la pubblica amministrazione, in tre …. era, non solo baldanzoso e presuntuoso, ma capiva (forse a pelle) che queste erano le attese. Da qui “ci metto la faccia” (ormai una faccia fregiata).
Resosi conto che i problemi erano molto più complicati, le soluzioni difficili da trovare, gli interessi coinvolti molti e discordanti, ha allungato la sua traiettoria riformista: 1000 giorni. Ma mille giorni sono tanti e lunghi da passare, soprattutto se in questi 1000 giorni si macella la società: blocco della contrattazione e degli aumenti nella pubblica amministrazione, rinvio dell’assunzione dei precari della scuola, protesta di carabinieri poliziotti, ecc. prossima agitazione generale delle tre confederazioni sindacali, ecc. In più le questioni internazionali, la richiesta degli USA di aumento delle spese militari, i pericoli di un coinvolgimento bellico, ecc.  I 1000 giorni rischiano di essere per Renzi un calvario, anche perché ha scelto di essere “solo al comando”.
Non credo che la strada delle riforme che Renzi e la UE fanno intravedere siano appropriate per affrontare la crisi, ma immaginiamo per un momento che sia la strada giusta. Per realizzare questa strada il Presidente del consiglio avrebbe bisogno dell’apporto di un’organizzazione politica (una struttura intermedia) non solo che lo sostenesse ma che soprattutto facesse “lavoro politico e culturale” tra il “popolo” . Che potesse convincere le forse sociali della necessità di pagare dei prezzi, ma che fungesse anche da cinghia di trasmissione tra le forze sociali e il governo. Qualcuno potrebbe giudicare troppo “tradizionale” questo punto di vista, ma in assenza di questa intermediazione cosa potrebbe accadere e cosa accadrà dato che questa struttura intermedia è stata dallo stesso Renzi distrutta. Va detto, a prescindere dal giudizio che ciascuno di noi ha dato e avrebbe potuto dare del PD, che quel partito non esiste più, che uno “nuovo” non è nato. Quello che rimasto si destreggia tra lotte intestine, dichiarazione di amore, e feste dell’Unità.
Il primo obiettivo di Renzi appena eletto segretario è stato non soltanto della rottamazione dei suoi gruppi dirigenti, ma la distruzione del partito e di quel che restava della sua organizzazione, progettandone vagamente uno nuovo. Oggi che di un partito che sostenesse “popolarmente” la sua politica avrebbe bisogno come l’aria, non lo ha più.
Avere pensato che bastasse la “comunicazione”, la trovato del cono gelato, la non partecipazione alla riunione del gotha dell’economia, tanto per citare gli ultimi episodi comunicativi, potessero bastare per tenere legato il consenso popolare a me pare un errore.
Poiché  il progetto politico di Renzi sono le riforme, l’opinione pubblica lo misurerà sulla realizzazione delle riforme e sui benefici che queste riforme porteranno per tutti o per larghi strati della popolazione (ci potranno essere dei momenti di coinvolgimento e di entusiasmo per Renzi, ma poi i nodi del reddito, della disoccupazione, ecc. verranno prepotentemente a galla).
Un progetto di lungo periodo (1000 giorni, per cominciare), l’assenza di una struttura intermedia di sostegno (il Partito), la scarsità dei risultati, il costo delle riforme che graverà sul ceto medio e sugli strati popolari, lasciano presagire un declino non troppo lontano di Renzi.

In questo c’è una tragedia: la mancanza di un’alternativa progressista e di sinistra.           

martedì 2 settembre 2014

Renzi, gli occhi chiusi sul debito

Diario 267
·         Renzi, gli occhi chiusi sul debito
·         Don Luigi Ciotti minacciato dalla mafia

Renzi, gli occhi chiusi sul debito
Sarebbe una troppo facile ironia affermare che il Consiglio dei ministri che doveva dare inizio a “cambiare verso” al paese,  ha prodotto uno striminzito topolino. È inutile che gli organi di stampa  governativi si spendano per dimostrare il contrario, o che apprezzino che al “passo veloce” (troppo, dicono) Matteo Renzi abbia sostituito un “passo riflessivo” (chiamato in tanti modi), ormai l’orizzonte del governo sono mille giorni, non più tre mesi. Tutto sarebbe da ridere se non fosse tragico per il paese che non può aspettare né 1000 giorni, cioè la fine della legislatura;  né il “richiesto”  bene placido dal governo tedesco (ma poi per fare che?), né il rimpasto di governo, né gli ennesimo annunzi risolutivi, né la positiva (forse) iniziativa della Banca europea, possono modificare il quadro.
La verità semplice quanto tragica e che Renzi, i suoi consulenti (più o meno ufficiali), i suoi ministri non sanno cosa fare, perché non hanno percezione perfetta di  quale sia la situazione.
Ormai è chiaro oltre ogni mistificazione, l’Italia non sarà mai in grado di “onorare” (come si dice) il suo debito sovrano. La vendita di questo o quello pubblico, il taglio di questo o quello spreco, i vantaggi derivanti dalla diminuzione della differenza con i titoli tedeschi, non potranno che contribuire con delle briciole, ma non riuscirebbero ad intaccare significativamente il debito.
Sempre più si fa strada la necessità di una ristrutturazione del debito (svalutazione dei titoli, durata più lunga, ecc.), anche economisti di prestigio e non rivoluzionari cominciano a considerare la cosa come necessaria. Lucrezia Reichlin, non un’estremista, si sta spendendo molto per una soluzione di ristrutturazione del debito e ha argomentato, in una intervista, che l’investimento in titoli di stato sono come qualsiasi altro investimento, non sono investimenti “garantiti” e quindi intoccabili (quante volte abbiamo sostenuto lo stesso concetto). Accettare questo stato di fatto ci farebbe fare un salto su che cosa fare molto importante.  
Ma il governo di tutto fa finta di occuparsi (giustizia, scuola, opere pubbliche, lavoro, ecc.) tranne che del debito. E come se non esistesse, una cosa estranea che è rilevante solo per i vincoli imposti dalla UE.
Non credo che sia una stravaganza sostenere che fino a quando non si prenda questo toro per le corna, non usciremo da questa crisi, che mese per mese cambia fisionomia, che potrebbe anche trovare un lieve e temporaneo sollievo da una politica di investimenti pubblici (il governo tedesco permettendolo),  che comunque non sarebbe risolutiva (non va alla radice).
Certo sarebbe un episodio da scrivere a gloria della UE (dimenticando tutto il peggio fatto) se la ristrutturazione dei debiti fosse una iniziativa Europea, ma non è detto che non possa farlo uno Stato singolo (senza che sia imposta  da una “troika”, che ha in odio i popoli ed è indifferente agli esiti sociali; ricordare la Grecia).  


Don Luigi Ciotti minacciato dalla mafia
Il capo della mafia, che sembra (o crede di essere) ancora potente sebbene all’ergastolo, ha minacciato di morte, come riportato dalla stampa Don Luigi Ciotti, l’animatore di Libera e di tante iniziative contro la mafia.
La fede ci divide, ma la mia ammirazione e stima per don Ciotti è molto grande, non solo per questa meritevole battaglia che conduce contro la mafia, non solo per aver assunto l’iniziativa di utilizzare, per una produzione “liberata”, le terre e le proprietà confiscate alla mafia, ma per il impegno politico complessivo. Per farmi capire voglio ricordare una frase che ha pronunziato ad una grande assemblea del suo movimento a Cagliari, qualche anno fa: “basta con la solidarietà, pretendiamo diritti”. Come dire un estremista che va oltre, molto oltre, lo spirito tradizionale del suo sacerdozio e lo interpreta in forma politica democratica e di sinistra.
Bisogna evitare che don Ciotti resti isolato, perché questo vuole la mafia ed è allora che colpisce.

La minaccia mafiosa si contrasta appoggiando e sostenendo concretamente le iniziativa di don Ciotti. Per esempio comprando i prodotti di “libera”, sostenendo economicamente l’associazione acquistando i buoni a questo scopo dedicati, si trovano per esempio nei negozi COOP, manifestando a suo favore e chiedendo un atto di sostegno del governo e del parlamento.