martedì 24 settembre 2019

In morte di Edy Salzano


Diario 
24 settembre 2009 

Con Edy abbiamo condiviso per molti anni lo stesso palazzo (Ca' Tron) e l'esperienza della facoltà di urbanistica,  è stato un compagno e un collega con il quale è stato  possibile sempre discutere e anche  dissentire, non poche volte, ma senza strascichi.
La sua curiosità  l'ha portato ad esplorare aspetti controversi della nostra disciplina, fornendo dei contributi illuminanti.  Il suo primo lavoro su Urbanistica e società opulenta, per la rivista Trimestrale ha mostrato fin dall’origine la sua concezione politica della città.
Edy pensava ed era impegnato affinché gli interventi di trasformazione urbana fossero caratterizzati non tanto da un generico interesse comune, quanto per migliorare la vita degli uomini e donne che la città vivevano e tra questi quelli meno fortunati.  
Da amministratore (Assessore all’Urbanistica del comune di Venezia) ha dato alla città un piano per il Centro Storico importante nella sua impostazione e nei suoi esiti, per altro abbandonato dalle giunte successive.
Dal DAEST e dalla Presidenza del corso di laurea in Urbanistica si è cercato di convogliare le forze per una qualificazione concreta e politica del governo della città.
Gli ultimi anni li ha dedicato alla gestione del suo blog, strumento non solo di informazione ma soprattutto di formazione, con questo ha continuato a “formare” giovani e ad esplorare gli aspetti sempre nuovi e non sempre felici  della vicenda urbana.
Gli ultimi anni ci hanno visto distanti per ragioni oggettive,  lo seguivo attraverso il suo  blog e qualche volta mi arrabbiavo;  ma la verità è che le nostre vite si allungano forse troppo, non siamo attrezzati e ciò ci  fa perdere. 
Non svelo un segreto dicendo che era un buongustaio e buon cuoco (per la festa del mio 70ntesimo compleanno ha preparato una sacher deliziosa)  ci scambiavamo ricette e se ne discuteva con serietà.   
E' la perdita di un collega, di un amico, di un critico dell’oggi ad occhi aperti e soprattutto di un interlocutore attento e vivace, una perdita che sentiremo, che la cultura urbanistica sentirà. Ma piace ricordare che  ha molto seminato con buoni frutti.


martedì 17 settembre 2019

Si spera che sia l’ultima stupidità di Matteo Renzi




Diario
17/9/2019

Doveva succedere ed è successo. Matteo Renzi ha, in prospettiva, un suo partito, oggi ha un gruppo di pretoriani che lo seguono per amore. È, infatti, quello che spinge i “suoi” deputati e senatori a seguirlo in una scelta senza motivazioni che giustifichino la lacerazione, non può che essere un sentimento di “amore”. Egli, non sa  che l’amore è sentimento caduco,  tanto più quello di deputati e senatori.
Nella lunga intervista rilasciata a La Repubblica, non si riesce a trovare una giustificazione politica a quest’atto, voler combattere il populismo e il salvinismo nella società, sembra un buon proposito, ma perché per fare questo è necessario un partito autonomo? Non credo che all’interno del PD qualcuno volesse e potesse ostacolare questo programma.
Non è per alcuni sgarbi subiti nelle designazioni governative, la motivazione espressa fa riferimento alla mancanza, nel PD, di una “visione sul futuro”. Si può forse convenire che il PD sia carente appunto di una visione di futuro, ma qual è questa visione annunziata da Renzi? Si riporta per intero la parte dell’intervista dedicata a quella che possiamo chiamare”visione sul futuro”  (poca cosa nell’insieme dell’intervista): “Mentre noi litighiamo sul nulla sta cambiando il mondo. L’intelligenza artificiale rivoluziona le aziende, la quotidianità, la vita nelle città: il populismo non conosce l’intelligenza artificiale, il populismo è stupidità naturale. Noi possiamo fare dell’Italia un laboratorio di innovazione spaventoso, mantenendo i valori di umanità e di umanesimo che abbiamo nel dna”.
Certo un’intervista non è il luogo adatto per illustrare un programma per il futuro, ma quanto detto è, per lo meno, generico e  non dice niente (aspettiamo la Leopolda)
Si potrebbero dire e pensare molte cose su questa ennesima manovra di Renzi; sulla sua voglia di stare in prima pagina (che da ora in poi diventa una necessità), sull’ambizione dell’uomo, sulla sua spregiudicatezza,  ecc. ecc. ma non ha senso e non vale la pena.
Quello che importa è capire se questa operazione finirà per colpire il governo, ridando grande spazio a Salvini. Renzi nega che questo possa avvenire, ma com’è noto e come l’esperienza insegna l’uomo non è degno di fiducia. Questo è quello che veramente interessa. Per combattere Salvini sono necessari  tre anni di stabile e operoso governo, si può solo sperare che Renzi non faccia una qualche ennesima stupidità.  Per quanto nobilizzata da parole auree questa della scissione non è altro che un’ennesima stupidità. L’idea di costruire un partito di centro, liberale e innovativo non fa i conti con la realtà del paese e dell’affollamento in questa aria, che comunque non riesce ad emergere (il consenso anche finanziario di imprenditori può far comodo ma non garantisce molto.

lunedì 16 settembre 2019

Ennesimo errore di Matteo Renzi


Diario
30 maggio 2018

Matteo Renzi commette l’ennesimo errore di personalismo.
È vero che nel momento in cui dopo l’elezione del  4 marzo Renzi ha decretato il confinamento del PD nell’astensione e la sua sistemazione ai bordi del fiume in attesa dei cadaveri dei suoi nemici (i vincitori: Salvini e Di Maio, soprattutto) per il  PD si prospettava un futuro tra l’incudine e il martello. Se si fosse realizzata l’alleanza Salvini-Di Maio, una prospettiva nera per il paese, il non avere saputo contrastare la realizzazione di questa alleanza sarebbe tutta ricaduta sul PD; così pure se si fosse realizzata una alleanza (difficile) tra il PD e Di Maio, dall’elettorato del PD sarebbe stata vissuta, giusta la propaganda renziana,  come una schifezza (a meno di risultati straordinari di un tale governo ed allora il PD invece di pagare un prezzo guadagnerebbe un premio).
Il PD renziano appare insignificante: non in grado di contrastare la deriva a destra del paese, non in grado di costruire un’alternativa. Disattento agli interessi del paese e attento, non già all’interesse del partito ma piuttosto ad una farneticante rivincita dell’ex suo segretario. L’unica soddisfazione di Renzi e che insieme a lui affonda Di Maio (non 5*).
E se ora si andasse alle elezioni, questo evento non gradito sarebbe tutto caricato sulle spalle del PD. Ma anche se si andasse al Governo di tutti,  ipotesi gradita e avanzata da Renzi, il PD sarebbe e risulterebbe marginale (di fronte a Salvini, Berlusconi, Di Maio, la stessa Meloni, per non parlare di verdini,mentre a presiederlo non sarebbe un “uomo terzo”, ma un uomo indicato dalla destra); se poi da questo governo di tutti fossero esclusi  i 5* per l’odio di Berlusconi e Renzi, questo sarebbe un grande ricostituente per 5*, oggi in apparente declino.
Alla fine il PD si avvia ad essere schiacciato  tra l’incudine e il martello,  mentre Renzi a quel punto si farà il “suo” partito, sognando il successo di Macron, ma sarebbe  l’ennesimo e si spera ultimo suo errore, mentre la sinistra si dovrebbe acconciare a tanti anni di governo della destra.
L’evoluzione di questa fase non è perfettamente prevedibile, le mie possono sembrare farneticazione, un cosa appare chiaro il declino del PD e lo spazio risicato per la costruzione di una sinistra, ma anche qui mancano idee, pensieri, narrazioni, come si dice, ma ci sono troppi leader.


Cancellare la povertà


Diario
29/9/2018

Cancellare la povertà

Volere abolire la povertà mi pare un obiettivo degno di sostegno, chi potrebbe essere tanto malvagio  che da una propria posizione di non povertà possa volere che quella condizione possa permanere per gli altri.
Eppure le dichiarazioni roboanti di Di Maio, dei suoi colleghi del movimento 5* e dei  suoi conviventi nel governo non paiono convincenti, anzi sembrano  falsi; o forse quando urlano, ridono e cantano vittoria annunziando di cancellare la povertà mostrano  la loro ignoranza circa le cause che generano la povertà.
Storicamente tutti i sistemi sociali che si sono avvicendati nella storia hanno prodotto povertà e poveri, cosa che forse spinge a collocare la povertà nell’inevitabilità. Si tratta di un convincimento molto generalizzato, tanto da dar luogo in certi casi a delle politiche pubbliche (come quelle annunziate dal governo Verde-Giallo) finalizzate ad attenuare le condizioni di povertà (i sistemi di Sicurezza Sociale) e non a cancellarla.
Tutti i sistemi sociali mostrano chiaramente che essi sono costituiti da delle forze sociali che si muovo allo scopo di accumulare ricchezza a scapito di altri. Il sistema capitalista da questa spinta è sostanzialmente generato e condizionato.  Quando diciamo che c’è una fortissima diseguaglianza nella distribuzione del reddito (tra l’1% della popolazione più ricca e il resto) diciamo che quel meccanismo di cumulazione funziona, ha funzionato e continua a funzionare.    
Un qualsiasi progetto per cancellare, o anche solo per diminuire la povertà non può non partire da un’analisi attenta e puntuale delle cause e quindi cercare di incidere su queste.  Mi pare di capire che il governo e le forze che lo compongano individuano nell’assenza di lavoro la causa della povertà, ma quale è la causa dell’assenza del lavoro? Una domanda languente, certo anche questo, ma non solo, per questo  ritengono che i provvedimenti previsti (reddito e pensione di cittadinanza)  potrà mettere in moto la base produttiva e per questa strada eliminare o ridurre la povertà. Nessun provvedimento che riguardi il sistema sociale, nessun approccio che guardi ai meccanismi del sistema di produzione sociale capitalista. 
Certo a questo punto capisco che mi si potrebbe attribuire il richiamo alla necessità della “rivoluzione”. Si, è così, ma non di questo voglio parlare,di qualcosa che si può fare senza ancora fare la rivoluzione.
 Mi pare di aver sentito o letto che i soldi ci sono e vanno prese dove sono, ma non mi pare che i provvedimenti annunziati attingono ai forzieri dove la ricchezza si accumula.
Il reddito di cittadinanza, o come si chiamerà, la pensione di cittadinanza, o come si chiamerà, possono essere provvedimenti giusti che colgono, diciamo cosi, una emergenza (permanente), ma la loro significatività si misura non con le motivazioni politiche ma con i meccanismi che sono individuati perché questi provvedimenti senza essere risolutivi appaiono muoversi in un campo di trasformazione (non siamo a fronte di un governo dei cambiamento?).
Per realizzare i provvedimenti annunziati il governo ha bisogno di risorse finanziarie, dove le prende?
Intanto dalle pensione d’oro, che possono essere uno scandalo, almeno alcune, ma sicuramente non sono una fonte di risorse adeguate agli obiettivi.
Il secondo fondo è quello dell’evasione fiscale, tema ricorrente, ma contraddittoriamente si vara anche un  condono per i casi “pendenti”.
La ricchezza mal distribuita si tocca? assolutamente no! anzi il governo si appresta  ad un bel regalo ai più ricchi con la cancellazione della progressività dell’imposizione fiscale.  Non solo ma a questi si offriranno titoli di stato con rendimento aumentato.
La retorica della riforma del popolo, di un DEF del popolo, sta tutta qui. Se uno  ha un tumore alla testa e come cura si offre un cachet, lo si prende in giro, così il popolo sta per essere preso in giro. Avrà un lieve sollievo ma poi i dolori torneranno più forti di prima.
Le risorse sono state prese la dove si sono accumulati, certo, ma non prelevati con le forme fscali previste, ma piuttosto presi in prestito e pagati più cari.
Secondo la filosofia di questo governo non mi meraviglierei se alla fine per ridurre il debito pubblico non facciano con il canone televisivo, una qualche quota del debito verrà attribuita ad ogni famiglia e riscossa con la bolletta energetica.

Dopo il 4 marzo



 Diario 10/marzo/2019
Ci sono degli avvenimenti che lacerano la rete dei nostri riferimenti e che ci spiattellano   l’inconsistenza della nostra conoscenza della realtà. Avevamo una idea del mondo che non corrisponde completamente alle trasformazioni avvenute. Una ignoranza dettata da pigrizia, dall’essere affezionati ai nostri idoli, di cui si era in parte consapevoli ma che, in un certo senso, l'allontanavamo per paura. La trasformazione dell’essenza dei rapporti sociali di produzione, gli effetti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia, l’aumento delle diseguaglianze  sociali, l’emarginazione di molto lavoro, la modifica dei riferimenti culturali, la trasformazione delle relazioni sociali, l’individualismo esasperato, l’egoismo, la violenza come essenza dell’individuo, l’incapacità di riconoscersi in altri, la diversità, di qualsiasi tipo, assunta come “vezzosa” conquista ma anche come insopportabile…di tutto questo si aveva cognizione ma contemporaneamente i nostri occhi erano opachi e non riuscivano a distinguere forme e colori del quadro complessivo.
Sentivamo che molti dei valori ai quali eravamo legati, come libertà, uguaglianza, solidarietà, accoglienza, giustizia sociale non vivevano più come sistema nervoso della nostra società, ma ci sembrava di dover attribuire, questo nostro sentire,  al pessimismo.
Ma ecco che il 5 di marzo questa società e le sue trasformazioni si materializza sotto forma politica. Una società che molti di noi non riconoscono e nella quale non vogliono riconoscersi diventa evidente. Ma mettere la testa sotto la sabbia non serve a niente. Credo che anche in questa situazione si può essere comunisti o progressisti o anticapitalisti,  forse questa società più di ogni altra ha bisogno dei contenuti della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello spirito di accoglienza. Ma essere comunisti significa fare i conti con la società reale, non con una immagine di essa. Non intendo dire che la politica, in particolare la politica progressista e riformatrice possa essere un semplice adagiarsi sulle pieghe della società, deve influire, determinare, contenuti e senso di questa società a partire dalla precisa conoscenza della realtà e da un disegno di futuro. Chi ci dice che non sia più possibile fare progetti di futuro,  in realtà ci vuole convincere , con successo, che non siamo padroni del nostro destino, altri penseranno e si adopereranno per noi.

Se il “populismo” è l’adesione alla pancia, come si suole dire, della gente, non occuparsi della pancia è sintomo di insufficienza politica. Una politica di progresso è una politica di ragioni, è una politica che fa ragionare, ma non basta avere ragione, questa deve diventare senso comune, deve essere patrimonio della maggioranza delle persone: è questo è il lavoro politico. È chiaro che in una società che cambia, mostrare le proprie ragioni è più difficile, ci vuole più impegno e intelligenza politica. Per andare contro corrente i vogatori devono non solo avere ragione, non solo cogliere la realtà, ma avere anche muscoli formidabili.

Il capitalismo ha ormai concluso la sua spinta progressiva, i sintomi sono molto evidenti;  sempre più tede a trasformarsi in un regime di vessazioni e di violenza, la sua crisi come regime sociale si proietta negli individui, ne avvelena le relazioni, ne esaspera le aspettative individualistiche, frustra ogni speranza. I medici attenti ci dicono che cambiare si deve e si può, e che solo nel cambiamento sarà possibile utilizzare a beneficio di tutti le grandi risorse della scienza, della tecnologia e della cultura disponibili,  ma che senza una modifica della natura della società questi elementi possono essere (sono) strumento di oppressione e di degrado sociale. La sapienza dell'homo sapiens ha consistito, in questi milioni di occupazione della terra, nella sua capacità di cambiare continuamente l'organizzazione sociale, e se questo non è avvenuto mai in forma egualitaria, per molte ragioni non ultima la dimensione delle risorse disponibili, oggi siamo al paradosso, abbiamo risorse per tutti, ma un’organizzazione sociale e di potere che discrimina e privilegia. Il rinascimento per l'intera umanità può avvenire soltanto abbattendo gli ostacoli individuati.
I risultati delle ultime elezioni sono state una sorpresa? In parte, le tendenze erano evidenti; per molti di noi un’enorme frustrazione, per i partiti di sinistra (sic!) e progressisti un terremoto solo in parte inatteso. Discettare su quale sarebbe stata una sconfitta onorevole, o quale cifra percentuale avrebbe segnato la disfatta sono i sintomi di un ottimismo di facciata che sperava nel miracolo che è mancato.
Cercare gli errori, accusare dei cattivi risultati gli scissionisti o, al contrario, l'incapacità di liberarsi del tasso di pduismo portato nella nuova formazione; cogliere difetti programmatici, carenze propagandistiche, ecc.  pare il segno di una incomprensione: non avere consapevolezza del deficit di conoscenza accumulato circa la natura del sangue che scorre nelle vene della società. Continuare a pensare che poteva essere diverso,  perché i piccoli aggiustamenti avevano garantito e avrebbero garantito di soddisfare la domanda popolare. Può darsi che mi sbaglio, faccio un errore di ottimismo, ma credo che le scelte delle persone sono state dettate dall'assenza di un disegno di futuro. L'assenza di una linea di costruzione tra passato, presente e futuro, la maggioranza ha scelto l'offerta più ricca, quella che sembrava liberarla dalla paura, quella che promuoveva un nuovo che più vecchio non poteva essere. Chi giustifica la sconfitta del PD perché riconosciuto partito della borghesia. Cosa pensa che siano 5* o FI o anche la Lega? E che dire allora del misero risultato di UeL? I giovani, le donne, i votanti aspettavano una narrazione, come si dice oggi o era già ieri, del futuro, ma questa la sinistra non è stata capace di offrirla, allora si lasciano affascinare da una identità meschina più rivolta al passato che al futuro, o un incerto baldanzoso giovanilismo (ormai in giacca e cravatta).
Credo che i problemi più grossi e rilevanti in un prossimo futuro li avranno i vincitori di oggi, le loro offerte sono miserabili e non al livello di quello che la gente sente nel profondo; non parlo della loro capacità di fare o non fare un governo, né della difficoltà di trovare le risorse per quanto promesso, si tratta di qualcosa di più profondo:  del mantenimento di un sistema sociale che tutti sentono decrepito e in agonia (qualsiasi sia l'apparenza che offre). Gli sconfitti di oggi hanno nel loro dna, come si suol dire, ma più correttamente alcuni di loro hanno nella loro cultura i giusti elementi per affrontare la situazione, ma a due condizioni, da una parte avere coscienza e consapevolezza della realtà e dei suoi mutamenti (il che comporta qualcosa di diverso che tornare nel “territorio”), dall'altra parte, rielaborare gli strumenti e i mezzi necessari per trasformare questa realtà sociale, per immaginare e pensare che può esserci un mondo senza il Kapitalismo, ma liberarsene è impresa ardua, lunga e bisognosa di passaggi che non devono sembrare né oscuri né risolutivi. 
A Napoli direbbero "hai detto un prospero" (fiammifero), ma di questo si tratta, di svincolarsi dalla dittatura del presenta per immaginare un futuro attraente e desiderabile, sciogliere i nodi che ci legano a meccanismi di trasformazione ormai obsoleti per pensarne e sperimentarne di nuovi.

mercoledì 4 settembre 2019

Vincitori e ... pardenti



Diario 10/marzo/ 2019

Mi pare sia opportuno, a questo punto,  fare un bilancio di chi, tra i principali protagonisti della politica che si sono impegnati in questa fase, possa essere considerato vincitore o perdente. Non dico “sconfitto”  perché lo sconfitto presuppone una battaglia che non c’è stata.  Può sembrare un gioco, forse lo è, ma permette anche di considerare lo spessore dei singoli (in termini di intelligenza politica) protagonisti che resteranno sulla scena (almeno alcuni) per diversi anni.
Il primo dei perdenti è sicuramente Matteo Salvini, che ha scelto l’eutanasia.  La mossa di Salvini di sfiduciare il “suo” governo non è assolutamente comprensibile. Poteva continuare a governare, così come aveva fatto nei mesi precedenti, è arrivare alla fine della legislatura, avendo nel frattempo ridotta drasticamente la forza del movimento 5* e prosciugata Forza Italia. In più avrebbe potuto fortemente condizionare l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Vi pare poco? A tutto questo Salvini ha rinunziato suicidandosi politicamente. La sua mossa è inspiegabile se non con una ottenebrazione della sua mente, non poteva infatti pensare di trovare appoggi fuori dal centro destra per le elezioni. Sperare in Renzi, come sembra pensasse, era fuori da ogni possibilità razionale (non poteva sperare che anche Renzi di suicidasse). Forse la spiegazione sta nel fatto che Dio fa impazzire chi vuole perdere.
Il primo dei vincitori è sicuramente Giuseppe Conte.  Si può dire abile, si può dire opportunista, si può dire trasformista, si può dire impegnato per il bene dell’Italia, ecc. Una cosa va detta: il suo discorso al Senato di “distacco”, si fa per dire, da Matteo Salvini, a molti è piaciuto per quello che ha detto del suo ministro degli Interni, lo si è sentito con molto piacere,  ma sicuramente non è stato il discorso di uno statista, piuttosto una specie baruffa chiozzotta. Detto questo è sicuramente uno dei vincitori, si è proposto come il presidente dell’accordo tra M5* e PD ed ora siede su quel trono. Ma anche in questa vicenda non sono state poche le giravolte: prima ha fatto in modo perché lo si accreditasse come leader del M5*,  poi ha preteso di essere considerato super parter. Si può sperare che questa sua “duttilità” sia messa al servizio della nuova maggioranza e del bene del paese, anche perché la durata del governo farà il bene di Giuseppe Conte (non è disdicevole puntare su questo).
Il pessimo Matteo Renzi è un altro dei vincitori: si è subito speso per la nuova alleanza, sia per ragioni politiche sia per evitare le elezioni che avrebbero visto il suo gruppo decimato.  È  pensabile che nel prossimo futuro non faccia stupidaggini? È sperabile ma non c’è sicurezza. Ricordiamoci sempre che Dio fa impazzire chi vuol perdere. La sua promozione della nuova alleanza può essere stata dettata da scelte opportunistiche, ma anche, è sperabile, da una riflessione politica e dal considerare necessario di un periodo di decantazione per la società italiana.
Nicola Zingaretti è stato molto abile, non ha sbracato subito per l’alleanza, anzi ha tenuto il M5* sulla graticola delle possibili elezioni. Quando ha ceduto non si è fatto incantare dalla lusinga di una Vice presidenza, costringendo alla fine anche Di Maio ad arretrare. Tutta la trattativa governativa, sia per il programma che per la composizione ministeriale, è stata condotta con abilità e fermezza, e non era semplice data la sperequazione delle forze parlamentari tra i due.  Il segretario del PD è stato abile, intelligente e non furbo. È sicuramente un vincitore.    
Non facciamoci illudere dalle luci del Ministero degli Esteri, Luigi di Maio è uno che ha perso. Sul finale della trattativa ha preso un sacco di schiaffi, ha le guance dolenti. La sua egemonia all’interno del movimento si è fortemente ridotta (i risultati della consultazione non sono stati a lui favorevole, egli sperava in una maggioranza di “si” ma non così massiccia).  Il Ministero degli Esteri (che è da considerarsi un regalo) è bestia difficile, bisognerebbe essere “provveduto”, mentre il nostro brilla per essere uno sprovveduto. Speriamo che per il bene del paese lo controllino e lo supportino con attenzione e continuità.

Oggi  il governo c’è, bisogna essere soddisfatti. Non si possono fare valutazioni sulla base dei nomi. Piace che il PD abbia completamente rinnovato (meno 1) la sua delegazione. Il giudizio sul governo e come quello sul budino, bisogna mangiarlo. Aspettiamo, né ci incantano i programmi (20 o 39 punti che siano), lo vogliamo vedere all’opera, soprattutto sui punti caldi.