mercoledì 25 maggio 2016

La carcassa dell'auto dell'attentato a Falcone

Ciao Francesco, 
24 anni fa, il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone veniva assassinato con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta nella strage di Capaci per opera di Cosa Nostra. In questi giorni la carcassa della Fiat Croma dell'attentato al giudice antimafia viene esposta in Puglia. Ma normalmente si trova nella Scuola di Polizia Penitenziaria a Roma: l'accesso, però, è riservato solo a pochi. "È importante custodire la memoria", dice in questo appello il giornalista Sandro Ruotolo. "Perché questa teca con l'auto di Giovanni Falcone non può essere visitata da tutti?".

sabato 7 maggio 2016

Una idea utile ma aspettative irreali

Diario n. 314
7 maggio 2016


Il nostro presidente del consiglio, Matteo Renzi , pare si stia facendo promotore per impegnare l’Europa ha sostenere lo sviluppo dei paesi del medio oriente e dell’Africa. Mi pare una cosa saggia e, come dire, riparatoria, dato che i paesi europei sono storicamente responsabili  del dramma economico e sociale che investe tutto il continente. Dalle conquiste religiose a quelle  imperialiste e neo-coloniali, all’invenzione di stati e statarelli, dallo sfruttamento  delle risorse (senza parlare dello schiavismo), all’alleanza politica con regimi reazionari e conservatori, alle azioni contro i regimi progressisti , la politica europea ha dato il peggio di sé.
Gli stati europei, Italia compresa, e poi con l’aggiunta degli Usa ed ora della Russia e della Cina, non hanno fatto altro che una politica di desertificazione, di distruzione e sfruttamento senza nessuna capacità (e volontà) di ammodernare questi paesi e di promuovere forme di sviluppo economico adeguate.
Sebbene la proposta di Renzi sia un po’ “pelosa” (come si dice) perché finalizzata a cercare di frenare e ridurre i flussi migratori, è da sostenere.
La proposta presenta, tuttavia, un punto debole e accarezza un’illusione.
Non è chiaro come sarà organizzata e gestita questa promozione allo sviluppo. In moltissimi di questi paesi non esiste una “società civile” o “corpi intermedi”  che possano essere il perno di questo nuovo sviluppo. In questa situazione  non si potrà che investire le “autorità”, i singoli “poteri” che, democratici o meno, sono tutti fortemente corrotti (le nostre imprese i nostri governi non hanno fatto altro che trasferire questo virus, che ha trovato subito corpi molto disponibili all’infezione). Sarà un vero problema politico evitare che le eventuali risorse più che allo sviluppo finiscano per ingrassare ceti emergenti.  Lo “sviluppo” qualsiasi cosa si intende con questo termine, ha bisogno di infrastrutture fisiche, sociali e culturali, che non si inventano dall’oggi al domani, e che bisognano di un coordinato processo di investimento in campi diversi.
È una cosa da fare, non è una cosa facile, né i risultati saranno immediati.
Ecco allora l’illusione: una politica di questo tipo dovrebbe frenare i flussi di emigrazione (o forse dovrebbe sollecitare i governi a proibirli con la repressione?).
È certo che molti degli immigrati che a diecine di miglia premono sulle frontiere europee  (sempre più restie ad aprire le porte)fuggono alla miseria, alla fame alla violenza o alla guerra, ma sarebbe un errore di riduzionismo non considerare l’attrazione che esercita non solo sul piano economico ma anche sociale e culturale l’Europa. Vista da qualsiasi metropoli africana o da un villaggio l’Europa rappresenta una meta desiderata, una meta spesso conosciuta attraverso la televisione e l’immagine che ne  proiettano  i viaggiatori (turisti e no) che attraversano quei paesi. Berlino, Londra, Parigi e anche Milano, Roma e Napoli, non sono luoghi che promettono, si fa per dire, solo pane, esse sono l’immagine della luce, di un futuro che appare denso di promesse di una vita migliore in quantità e qualità. Negarlo sarebbe un errore e una stupidità, né possiamo farci forte dal fatto che poi si ricreano comunità etniche e religiose nelle nostre città, né che in qualche caso le culture (per esempio di sopraffazione delle donne) permangono. Convivere e necessario ma non sempre facile.
Se così fosse non pensiamo seriamente che l’ipotesi di uno sviluppo locale possa frenare l’emigrazione: siamo attrattivi, come in epoche diverse lo sono stati altri paesi e altri continenti. L’emigrazione dei nostri “laureati” o “dottorati”, non è solo questione di assegni, di borse, di contratti, ma di qualità della vita e della ricerca, certo una migliore dotazione di risorse può essere un freno, ma l’attrazione di Oxford o del Mit, va oltre.  Su un piano diverso l’umanità che viaggia in barche sgangherate o in gommoni  flosci sono spinte da uguali speranze, dal desiderio di esplorare, da una rincorsa alla vita e spesso senza la volontà e il desiderio di una rottura netta con la loro terra.