sabato 20 dicembre 2014

Recensione Alberto Magnaghi

Cara Alberto,
la rilettura del tuo libro (Alberto Magnaghi, Un’idea di libertà (DeriveApprodi, 2014, p. 204, 15€) a distanza di quasi trenta anni mi ha fatto un’impressione non solo notevole, come allora, ma molto diversa dalla prima lettura. In quella lo sguardo politico era stato prevalente, del resto il processo contro di te egli altri compagni era concluso da poco, come da pochi anni eri stato liberato dalle catene del carcere.
Non intendo dire che la “politica”, possa essere espunta dal tuo diario dal carcere, ma oggi l’attenzione può essere posta sul travaglio fisico, intellettuale e psicologico che la lunga detenzione ti ha imposto. Le pagine che esplorano le “condizioni” dalla cella d’isolamento, alla camerata passando per la piccola cella mi sono parse testimonianza di un continuo “adattamento” sui modi specifici della resistenza verso non la distruzione ma, come sostiene tu,  la dissoluzione di mura, limitazione di spazio, grate, ritmi imposti e soprattutto dissoluzione dello stato delle cose. Un concetto che costituisce una variazione del tuo precedente pensiero politico.
Mi domando oggi se avere insistito affinché tu scrivessi, durante la detenzione,  un libro (Il sistema di governo delle regioni metropolitane) che contenesse i tuoi ultimi interessi disciplinari, non sia stata un’ingerenza indebita, un “disturbo”. Allora mi sembrava che lavorare al libro potesse in qualche modo ridurre l’oppressione carceraria, come se fosse una distrazione. Oggi ho il sospetto, sebbene ne parli in modo molto sfumato, che abbia costituito un aggravio della tua condizione: un piegarti a vincoli, permessi, spazi specifici.
Nel diario dal carcere trovo emozionante il passaggio dalle questioni che riguardano i bisogni e gli avvenimenti materiali e le tue considerazioni sugli spazi più psicologici che fisici.
Caro Alberto quella che hai dovuto affrontare è stata un’esperienza totalizzante, intendo in negativo totalizzante, che tu ci restituisci con pudore ma completamente, una restituzione che si coglie in tutte le sue sfaccettature e implicazioni a distanza dagli avvenimenti politici che l’anno causata, almeno così è per me. Se a suo tempo il risentimento era politico, oggi stemperato da quello il risentimento mi pare più profondo e implicante.

Alberto Magnaghi è stato arrestato, nell’ambito dell’istruttoria denominata “7 aprile” contro ex-dirigenti e compagni della già disciolta, da molto tempo, organizzazione politica Potere Operaio. Erano accusati di essere i dirigenti occulti delle Brigare Rosse; un accusa infondata, non provata che si fondava su quello che venne definito il “teorema Calogero” (dal nome del giudice istruttore).
Certo che Alberto era stato dirigente di Potere Operaio, ma poco a che fare aveva con l’idea della lotta armata. Quando è stato arrestato, nel dicembre del 1979 (Potere Operaio si era sciolta nel 1973) insegnava al politecnico di Milano, facoltà di Architettura. Il suo impegno culturale, scientifico e politico trovavo coagulo espressivo nella rivista  Quaderni del territorio.
Dal dicembre del 1979 fino a settembre del 1982 resta in carcere. Quasi tre anni.
Fino al settembre 1980 a San Vittore (Milano), poi a Roma Rebibbia e Regina Coeli. Il libro di cui si parla è il diario di questa lunga carcerazione.

Io credo che tutti dovrebbero leggere o rileggere questo testo, non ponendo molta attenzione alle questioni politiche, alle ragioni di questa lunga e inutile carcerazione, non perché non siano importanti ma perché ormai è storia e solo per accenni se ne parla nel libro con riferimento all’impegno per stendere memorie o studiare gli atti processuali, ma avendo cura di scrutare le riflessioni di Alberto sulla condizione di recluso, le inflessioni del pensiero ed anche le sue trasformazioni. Un ansia di libertà, anche minuta, intorno alle piccole cose, che porta ad un’idea di libertà.     

giovedì 18 dicembre 2014

Renzi: variegato

Diario n. 275

  • Renzi e il PD
  • Renzi, la fine propulsiva
  • Renzi: il nuovo futuro presidente della repubblica    


Renzi e il PD
Dell’ultima assemblea del PD si potrebbero scrivere molte cose: della finta cautela di Renzi, delle preoccupazione per la prossima scadenza dell’elezione del Presidente della repubblica, della preoccupazione per le manovre di Berlusconi, della timidezza dell’opposizione interna, ecc.
Ma soprattutto si potrebbe scrivere degl’ignavia politica di tutti, ma forse piuttosto che scrivere si può riportare quello che Shakespeare mette in bocca a Cassio a proposito dello strapotere di Cesare (senza che questo induca nessun paragone tra Matteo e Cesare):

Perché, amico, lui sta a cavalcioni di questo stretto mondo
come un Colosso, e noi, uomini meschini,
ci muoviamo sotto le sue gambe immense e sbirciamo
di qua e di là per trovarci disonorate tombe.
Gli uomini in certi momenti, sioo padroni del loro destino.
La colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle,
ma di noi stessi che siamo schiavi.
[…]
Ora, nel nome di tutti gli dei di una volta,
di quale cibo si nutre questo nostro Cesare
da diventare così grande? Oh epoca svergognata!
Roma, tu hai perso la stirpe del nobile sangue!
Quando mai è passata un’epoca, dopo il grande diluvio,
che non andasse famosa per più di un sol uomo?
Quando mai si è potuto dire, finora, parlando di Roma,
che le sue ampie strade non contenevano che un uomo?
Ora è Roma davvero un piccolo romitaggio,
se in essa non c’è che un uomo soltanto.
  
Renzi, la fine propulsiva
Comunque lo si giudichi, Rezzi è sembrato potesse essere una forza “propulsiva” per il paese (rotamare, rinnovare, riformare, decidere, ecc.), ma difetti caratteriali gravi per un politico, una sicurezza in se stesso che rasenta l’assurdità, la tendenza a circondarsi solo di persone, donne e uomini, che lo assecondano, l’ignoranza sostanziale della crisi economica e il considerarsi l’uomo che poteva aggiustare tutto (la crisi economica, la crisi sociale, la crisi culturale e la crisi della rappresentanza) con la forza del suo attivismo, ne ha depotenziato qualsiasi possibilità. Si può dire che Renzi abbia fallito. Questo non vuol dire che scomparirà dalla scena politica, ce lo potremmo tenere per un decennio e forse più. La sua forza sta nella debolezza degli antagonisti (sic!).
Il teatrino della politica che ha costruito, essendo un giovane post-moderno, quello dei messaggini, dell’accattivarsi, con il sorriso, mamme e figli, resisterà ma non produrrà niente di buono.
Le sue trovate, ieri gli ottanti euro, oggi le olimpiadi, fanno scena, ma la commedia non si avvia verso il lieto fine.
La tentazione forte che ha di andare alle elezioni presto, per liberarsi di infedeli (dentro e fuori dal suo partito) non è affatto tramontata, del resto quanto più categorici sono i suoi dinieghi tanto falsa essi appaiono alle orecchie sensibili (fidati, dice, mentre ti avvelena).
E poi non è sicuro che le elezioni andranno come vorrebbe; non parlo di sconfitta ma forse il coagulo di forze diverse e l’affermarsi di vecchie sigle, prospettano un risultato inutile ai suoi fini: un Parlamento ancor meno governabile.   


Renzi: il nuovo futuro presidente della repubblica    
Il rosario di nomi che l’informazione (si fa per dire) snocciola ogni giorno sui possibili candidati alla presidenza della repubblica (nomi sussurrati, che i politici si lasciano … sfuggire di bocca) appare drammaticamente deludente. Giorgio Napolitano è stato un presidente criticabile per molti versi, ma il pericolo è che forse lo rimpiangeremo.
Alcuni dei nomi che si fanno non c’entrano niente con il ruolo (non basta certo essere famosi); altri da anni brigano per questa elezione; altri come unica caratteristica hanno dalla loro il sesso (donne); altri rappresentano dei campioni di “occupazione” di poltrone; ecc.

Non speriamo in niente;  il paese fornisce  nomi adatti, dignitosi e di  valore, ma questi saranno scartati come pericolosi eversori (dei disegni di Renzi). Sarà quel che sceglierà Renzi con qualche suo alleato impresentabile (al netto delle schede nulle). Sarà una soluzione insoddisfacente, di cui non abbiamo bisogno: un ferro vecchio lucidato o un  ferro nuovo già maculato. Ma che possiamo volere di più?

martedì 25 novembre 2014

Elezioni regionali. Deserto politico, o no?

Diario 274 
Elezioni regionali. Deserto politico, o no?
L’astensione dal voto nelle elezioni regionali di Emilia e Calabria disegnano un panorama politico che non può non preoccupare. Solo i miei amici anarchici potrebbero essere contenti, ma forse neanche loro. Si tratta di un’astensione di protesta, così ottimisticamente ci piace interpretarlo, o piuttosto il motivo che la caratterizza è quello del disinteresse, giudizio fortemente pessimistico, e foriero di previsioni future molto preoccupanti.
La prima impressione è quella del deserto politico: in Emilia il 62,3% degli aventi diritto non si è presentato ai seggi, dato mai raggiunto non solo in Emilia ma neanche in Italia; in Calabria è andata un po’ meglio gli assenteisti sono stati il 55,9%.
Un popolo schifato dai continui scandali, un popolo arrabbiato per l’incapacità del governo di dare soluzione alle drammatiche situazioni sociali, un popolo stanco delle continue dichiarazioni della “luce in fondo al tunnel”,  un popolo che non ne può più, piglia cappello e non va a votare. Fosse tutto così, come dire, si potrebbe dare un significato positivo a questa fuga dalle urne. Ma c’è anche un popolo che reputa inutile votare, votare in generale, non solo per questo o per quello, una disaffezione alla politica che in generale non ha portato niente di buono, se non autoritarismo. Inoltre una democrazia, per quanto in disagio non vive senza istituzioni, e se queste sono malate la soluzione non è lasciarle a se stesse.
A me pare che il commento di “indifferenza” per questa scarsa affluenza alle urne di Matteo Renzi,
indichi non solo la solita arroganza del personaggio ma la sua assoluta inadeguatezza a svolgere il ruolo al quale il popolo delle primarie, prima, e il Presidente della repubblica, dopo, lo hanno chiamato.
Tuttavia non siamo al cospetto di un deserto politico, e questo non elucubrando sui motivi dell’astensione, ma tenendo conto della grande partecipazione nei giorni scorsi alle manifestazioni sindacali dei metalmeccanici, del mondo della scuola, della CGIL, ecc.. C’è un popolo vivo, vitale e reattivo. Si potrebbe far riferimento a questa combattività in modo consolatorio. Credo che non sia una mera consolazione porre attenzione a questa combattività, ma contemporaneamente queste manifestazioni non risolvono il problema politico del governo (regionale e nazionale). Anche perché come si ricorderà l’inadeguato Renzi ha dischiarato “è finito il tempo quando uno sciopero faceva cadere il governo”, che non è una dichiarazione di autonomia, né soltanto di arroganza, ma indice di assoluta indifferenza per la società, i suoi problemi, le sue crisi. Renzi è convinto che la sua guida porterà il paese fuori dalla crisi, che i suoi provvedimenti saranno un toccasana per la disoccupazione, che la sua visione del futuro sia il sole dell’avvenire, in più crede di essere di sinistra e socialista. Non si sono mai viste tante favole insieme, anche il libro delle favole dei fratelli Grimm ne conteneva meno. Ormai si ha l’impressione che Renzi viva in una proprio mondo immaginato, un castello di cioccolata, non si affaccia neanche ai bastioni per vedere cosa succede nel mondo. Tipica è la reazione ai risultati delle recenti elezioni, invece di essere preoccupato come un pastore che perde le sue pecorelle, dichiara che quello che gli importa è il 2 zero (ma contro chi?).
Non voglio attribuire la responsabilità del disamore dell’elettorato verso le regioni a Renzi, egli con gli scandali non c’entra, ma quello che mi sento di addebitare a Renzi è la sua incapacità di mobilizzazione del “suo” popolo, il fatto che ai disastri regionali si accomuna l’incredulità verso le azioni di questo governo. Questo è tutta colta del Presidente del Consiglio, del Segretario del PD e della sua corte.


Ma vale la pena di vedere cosa veramente è successo in Emilia, regione emblematica per la sinistra, lo faremo riferendoci ai voti effettivi  non già alle percentuali che nella situazione sarebbero forvianti e non metterebbero in luce le effettive dinamiche.

Emilia
                      A) Reg. 2010     B) Europ. 2014     C)Regionali 2014     differ C-A       C-B
PD                    857.613            1.212.392                  535.109              - 322.504          -    677.283
FI                      518.108               271.951                  100.478              - 417.630          -   171.473
Lega                 288.601               116.394                   233.439              -  55.162          +   117.045
M5*                 126.619                443.936                   159.456             +  32. 837         -    284.480  

Il patto del Nazareno, da qualsiasi punto lo si guarda mostra di non essere stato assolutamente premiato dagli elettori. Il PD anche se risulta ancora il primo partito ha perso centinai di migliaia di voti sia rispetto alle europee che alle regionali precedenti. Forza Italia è ridotta la lumicino. Meno chiara è la situazione della Lega e del M5*, il primo guadagna rispetto alle europee ma perde voti rispetto alle precedenti regionali; M5* al contrario guadagna pochi voti rispetto alle regionali ma perde  molto più della metà dei consensi rispetto alle europee. Se si guardasse ad elezioni omogenee, regionali, allora la palma della perdita dei voti in valore assoluto e in percentuale (-80%) spetta a Forza Italia, seguita dal PD, che in percentuale perde il 38%. Segue la Lega (-19%), mentre a guadagnare è solo il M5* (+ 25%, per il quale va anche considerato la perdita del 64% del proprio elettorato rispetto alle europee).

Al posto di Renzi piuttosto che esaltarmi per il 2 a zero, sarei molto, molto preoccupato, soprattutto sarei preoccupato che sia andato in fumo  il capitale di energie e di partecipazione come si erano manifestate  alle primarie. E rifletterei ancora che forse non sono le Leopoldo o le primarie la strada per riportare la politica tra la gente. Ma come sappiamo Renzi riflette poco; è tutto … azione.

lunedì 17 novembre 2014

La tecnica di potere di Matteo Renzi e i possibili esiti

La tecnica di potere di Matteo Renzi e i possibili esiti

Diario 273
Matteo Renzi ci (mia) ha stupito: ha messo in campo una tecnica di governo, o meglio di potere, abile, efficiente, spregiudicata e spiazzante. Il suo capolavoro è la questione dell’art. 18; è sembrato, ha fatto credere, ha testimoniato, che non c’era niente da fare, doveva essere cancellato o almeno reso inoperativo. Contro questa ipotesi ha  fatto schierare l’opposizione interna al PD, che ne ha fatto una questione di principio e sulla quale Renzi non poteva passare,  ha dichiarato che era pronta a morire (si fa per dire). Poi cosa fa il nostro, va in direzione del PD e fa sua la proposta dell’opposizione, lasciandola in brache di tela e con forti fermenti di spaccatura. Inoltre acquista il “merito” di un cedimento a sinistra. Un capolavoro.  
Il prossimo passo sarà quello di scaricare sull’opposizione interna il calo di consenso al partito, al governo e a lui stesso. Il discorso che articolerà avrà grosso modo questo contenuto: è la divisione interna al PD che determina il calo di fiducia, una divisione che fa apparire il governo impossibilitato ad agire. Corollario: se non si vuole perdere il consenso al partito e se si volessero vincere le prossime elezioni, tutti compatti e decisi dietro il segretario (certo che si potrà discutere, ma in modo sincopato e senza echi esterni!).  
Abile, efficiente e spregiudicato, ma forse i dati del sondaggio della Demos devono essere analizzati con attenzione. È vero i sondaggi valgono per quello che valgono, ma essendo ripetuti nel tempo quello che interessa è la tendenza.
Così possiamo notare che il giudizio positivo sul governo tra settembre e novembre (tre mesi) tra gli operai perde 21 punti; tra impiegati e dirigenti, la perdita è di 15 punti; tra gli studenti di 6 punti; tra le casalinghe di 12 punti; tra i disoccupati è di 14 punti e 13 tra i pensionati. Guadagna invece 2 punti tra i liberi professionisti e 1 punto trai lavoratori autonomi e imprenditori. Be! non direi che ci sia da stare contenti soprattutto se si osserva che  a settembre l’apprezzamento complessivo si attestava al 54% e a novembre scende al 43%. Inoltre se il premio di maggioranza alle prossime elezioni dovesse scattare per la sola lista solo e solo se superasse il 40%, allora a novembre saremmo ben lontani da questo dato:  il PD risulta al 36% (essendo contrario ad ogni maggioritario questo dato un po’, molto poco, mi conforta).
Gli annunzi senza realizzazione non pagano, inoltre le speranze che dalla crisi si possa uscire con una nuova legge suo mercato del lavoro pare fondata sul nulla. Neanche gli investimenti pubblici, di cui si sente parlare, a prescindere dalla loro reale consistenza, potranno essere un sollievo passeggero ma non ci faranno uscire dal tunnel, come si dice.
La stessa tecnica adottata con il suo partito Renzi l’ha adopera con Berlusconi. Ma qui le cose si complicano, per due semplici motivi: Berlusconi, di suo, è politicamente inaffidabile (è noto che fine hanno fatto tutti quelli che di Berlusconi si sono fidati a cominciare di D’Alema) ed inoltre dentro Forza Italia sti sta combattendo una battaglia di potere che non esclude nessun colpo basso, anzi  li prevede tutti in modo irresponsabile  (vedi elezione dei giudici costituzionali), né Berlusconi ha grande potere sui suoi senatori e deputati, anzi dietro l’indisciplina di questi si schiererà quando sgambetterà Renzi (e lo farà).
Inoltre il rinsaldato accordo del Nazareno, per Renzi è tutto in perdita, questo infatti gli alienerà qualsiasi possibilità di ricorrere ad altre forse politiche (M5*) come ha fatto ultimamente per i giudici della Corte costituzionale e per il Consiglio superare della magistratura. Le simpatie per FI sono infatti incompatibili con 5*.

Abile, spregiudicato ma efficiente solo se mi sbagliassi.     

martedì 11 novembre 2014

Presidente della Repubblica: la falsa notizia e il finto dibattito


Presidente della Repubblica: la falsa notizia e il finto dibattito

Diario 273

Un finto scoop giornalistico (mi pare de La Repubblica) ha promosso due giorni di dibattito sul nulla. Lo scoop riguarda la possibilità che entro l’anno il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avrebbe abbandonato la sua carica. Una cosa che era nota dal discorso di insediamento per il secondo mandato e che  lo stesso presidente aveva ribadito in altre occasioni.
Ma su questa finta novità si è scatenato il dibattito giornalistico, sia della carta stampata che della TV; attenzione spasmodica sull’interpretazione del “perché”, del “perché ora”, del “senso” da attribuire a quella che veniva presentata come una decisione improvvisa. Dal richiamo all’età, agli acciacchi della stessa, alla indisponibilità a sciogliere eventualmente le Camere, ecc.
Un’altra ridda di interpretazione sul comunicato del Colle, le virgole, le parole, ecc. Tutta aria fritta su un problema previsto, prevedibile e serio.
Renzi ha goduto, in tutti questi mesi dell’appoggio autorevole del Presidente della repubblica (comunque  si valuti questa presidenza). Le dimissioni di Napolitano indebolisce Renzi a meno che al colle non ascenda qualcuno dei fedelissimi, ma fedelissimi e autorevoli non vanno molto d’accordo.
Collateralmente è iniziata la discussione sui “nomi” dei possibili candidati. Categorie: donne; leader; politici di lungo corso; imprevedibili, ecc.
La carica del Presidente della repubblica, nel nostro ordinamento, non ha  caratteristiche pari a quelle di un repubblica presidenziale, ma riveste un’importanza molto notevole, che è possibile definire di “equilibrio” e di “vigilanza”. È inutile fissarsi sulla natura “neutra” e non di parte, tutti si è di parte, dipende come si fa valere e pesa questa parte. Per questo il riferimento all’equilibrio e all’autorevolezza, non possono che essere riferimenti pesanti. Equilibrio e autorevolezza devono anche corrispondere ad apertura politica, nel senso di saper assecondare i punti di innovazione sociale e politica che il paese esprime.
Una cosa mi sembra certa, la scelta del nuovo capo dello stato non sta in mano a Renzi. Camere riuniti, senatori a vita, rappresentati regionali, non sono un insieme manipolabile molto facilmente. Mi pare che si tratta di un elettorato forse poco sensibile ai giochi ma disponibile a considerare la qualità richieste alla carica, senza mitologie.
Si può essere critici verso la “carica”, ma va detto che non tutti i Presidenti del passato sono assimilabili. Mettendo in fila gli undici presidenti della nostra Repubblica e rinvigorendo la nostra memoria, sono evidenti differenze, capacità, significatività e fede repubblicana: De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano.

Si può solo sperare che il prossimo presidente corrisponda alle nostre migliori scelte. Nel clima attuale sarebbe un miracolo.   

sabato 8 novembre 2014

Occupazione: baggianate, tragedie … inettitudine

Occupazione: baggianate, tragedie … inettitudine
Diario 272 

Ormai è di moda “addio al posto fisso”, e il refrain che ministri e presidente del consiglio ripetono quotidianamente. Non sostengo che niente è cambiato, ma quello che è cambiato è peggio e viene descritto come un sogno realizzato (l’autogestione del tempo, la scelta delle opportunità a mano a mano che si presentano, l’indipendenza, ecc.).
Intanto cosa significa posto fisso?
-          la stabilità del lavoro, del reddito, della pensione, del TFR, dell’orario, dei turni (ove necessario), di un eventuale straordinario (altro reddito), ferie, lavoro a tempo parziale secondo necessità e possibilità … tutto contrattato collettivamente attraverso il sindacato;
-          secondo contratto, situazioni di malattia garantite;
-          mansioni, compiti, tipi di lavorazione fissati e programmati;
-          la possibilità di avanzamento nella gerarchia della fabbrica o dell’ufficio;
-          l’inutilità di tormentarsi sul cercare lavoro;
-          l’orgoglio, si anche quello, di essere membro di una collettività che produce certe cose, che realizza certe opere, che fa andare avanti certe istituzioni (pubbliche o private).
Tute blu e colletti bianchi, nonostante quello che si favoleggia, rappresentano più dei  2/3 della forza lavoro che risulta occupata, che cioè ha un posto fisso. Certo questo posto fisso è fisso fino ad un certo punto, le crisi generali e aziendali possono metterlo in discussione. Ma di questo diremo più avanti.
Si ha l’impressione che i “nostri” quando straparlano della massa felice priva del  posto fisso pensano alle professioni liberali di un tempo: avvocati, medici, dentisti, architetti, notai ecc. (alcuni di questi, già oggi, ove non difesi da norme corporative, come i notai, sono in situazioni molto peggiori dei loro genitori e nonni). La massa senza posto fisso e fatta di marginali, di contratti mensili o anche quotidiani, di “lavoretti” (come si dice) e che questi siano felici di non avere il posto fisso lo pensano alcuni insigni studiosi e politici (detentori spesso di un posto fisso non privo di privilegi).
Tra chi non ha il posto fisso ci stanno le forme di lavoro para-schiavista in molte campagne meridionali, o lavori a quelli assimilabili, quelli di alcuni call-center, centri di angherie e soprusi. Tutti felici di non sapere se potranno mangiare fino alla fine del mese? tutti felici di essere a carico dei genitori o nonni pensionati? tutti felici di cambiare lavoro continuamente? tutti felici di vivere facendo le babysitter o le babydog? Tutti felici di non aver una “carriera”? ma non scherziamo. Ma questa situazione è un danno per i lavoratori, un loro degradare, la perdita di personalità, l’inutilità degli studi, ecc. ma pone anche qualche problema alle  imprese e alle istituzioni, questione che viene rubricata, contraddittoriamente,  sotto la voce “produttività” (cosa direbbe il presidente del Consiglio se il personale di Palazzo Chigi cambiasse ogni mese? Di quanto diminuirebbe la produttività del palazzo?).
Non voglio dire, come potrei osare, che tutti dovrebbero avere un posto fisso, ma posso sostenere, e mi sembrerebbe giusto farlo, che in un mercato del lavoro così articolato, come si narra, così libero, affinché tutti possano sentirsi soddisfatti, anche chi non disponesse di un posto fisso dovrebbe godere delle prerogative e dei vantaggi di chi ha un posto fisso: salario, ferie, pensione, TFR, ecc. Trovo che sia indecente che un governo dei centro sinistra (sic!), che si appoggia su un partito di sinistra-democratica (sic!), lavori apertamente e nascostamente per ridurre, per quanto possibile i lavoratori con posto fisso alle stese condizioni di quelli che non lo hanno. Si può anche sostenere che il governo opera affinché siano garantite anche ai lavoratori senza posto fisso le condizioni di chi invece lo ha (mi pare si chiamino la messa in campo di nuovi e più moderni ammortizzatori sociali, sic!). Ma sembra prevaricante che questa possibilità possa essere realizzata riducendo immediatamente i diritti di chi gode del privilegio (sic!) del posto fisso.
Allora diciamo che allo stato dei fatti la questione  non è tanto di posto fisso o non fisso, ma il  mancato impiego della “manodopera” disponibile (non voglio annoiare con le percentuali della disoccupazione giovanile, tanto per fare un esempio). Si tratta di una situazione comune a tutte le economie occidentali (sul modello asiatico non mi pronunzio).
Dove sta la causa di questa situazione strutturale? Ma è ovvio nelle politiche restrittive della UE. Le politiche di austerità stanno uccidendo le economie di quasi tutti i paesi europei, o almeno dei più grandi. Questo si afferma, ma siamo sicuri che sia così? Quello che appare e di cui non si vuole tenere conto è che anche in quei paesi dove il PIL non va così male come da noi, l’occupazione non cresce (o cresce molto di meno da come ci si aspetti e da come sarebbe necessario): in tutti i paesi la disoccupazione tende a crescere, qualche balzo in alto del tasso di occupazione non scalfisce il tasso di disoccupazione). Insomma quella che viene chiamata disoccupazione strutturale (cioè una disoccupazione non eliminabile alle condizioni date) non è solo dell’Italia (e in particolare del suo Mezzogiorno) ma tende a diventare una condizione generalizzata (in misura diversa) in tutti i paesi.
Riduzione e modifica dei consumi, innovazione tecnologica, diseguaglianze crescente nella distribuzione della ricchezza e del reddito, obsolescenza di determinate attività, ecc. sono tra le principali cause di questa situazione. Certo che le politiche di austerità peggiorano la situazione, ma bisogna avere chiaro che politiche “espansive” non risolverebbero la situazione. Siamo ad un nodo della struttura sociale. Quello che i “nuovi ordinatori” non capiscono come, nella situazione attuale  sia indispensabile una vera rivoluzione.
Se la situazione fosse quella descritta, allora dovrebbe essere chiaro che i “provvedimenti” da prendere sarebbero ben altri. La “società” deve garantire tutti (Repubblica fondata sul lavoro), non è possibile far affidamento su ciascuno per la soluzione del problema (iniziativa, entusiasmo, ottimismo, capacità innovativa, ecc.). Certo ciascuno deve fare la sua parte, ma, soprattutto, deve fare la sua parte chi “governa”. Ciascuno nella propria individualità dovrebbe  essere messo in condizione di svolgere un qualche ruolo e questo ruolo non deve essere sociologicamente e psicologicamente stracciato da discorsi senza senso o da invettive mal indirizzate.
Appare chiaro, tuttavia, che matrice, riferimenti sociali e teorici rendono incapace questo governo (e quello della UE) di fare quello che sarebbe necessario. Ma non si tratta di cambiare uomini e donne, ma di costruire domande e soluzioni adeguate a partire dai movimenti sociali e politici. Ma fino a quando il paese resta affascinato dal populismo (progressista, sic!) di Renzi, dalle sue mirabolanti proposte, non resta che un lavoro politico di lunga lena.   

    

lunedì 13 ottobre 2014

Degrado politico: una lettera e una risposta



Diario 271

Caro Ciccio
malgrado non abbia, per ora molta voglia di occuparmi di cose inutili quali ciò che gli italiani si aspettano dalla politica, quello che ho sentito or ora alla radio, anzi quello che non ho sentito, è qualcosa di veramente disgustoso.
Due deputati del PD hanno invitato il padrone Sky,  che dà lavoro ad un certo Rapper che ha detto due parole sulla opportunità della testimonianza (inutile per quanto riguarda la verità) di Napolitano al noto processo (inutile per quanto riguarda la verità) sulla trattativa, a licenziarlo o a non fargli fare quello per cui lo pagano.
Nessuno ha notato ed esecrato che due deputati che sono portati, tra l’altro, in Parlamento per votare leggi quale quella che dovrebbe decidere sull’art. 18 che dovrebbe garantire (sic) i lavoratori dalle discriminazioni anche politiche, invocano essi stessi che il padrone Sky, per motivi politici, licenzi il Rapper.
Naturalmente, per non cadere io stesso in contraddizione, non auspicherò che il nobilissimo partito diretto dall’altrettanto nobile amico di Marchionne, licenzi i due deputati, ma mi permetterei di chiedere come può essere possibile, per i cittadini, continuare ad affidare alla democrazia politica o a un Parlamento le loro speranze. O magari ad Alfano da cui mi aspetto una circolare sui Rapper.
E poi che pena è la riassunzione? E’ pena questa? Forse per l’operaio sarà una pena continuare a fare arricchire un padrone di quel tipo. Ma in galera i padroni non ci devono proprio andare? Eppure sappiamo che prima di aprire i campi di sterminio si è ben pensato di discriminare gli ebrei sui luoghi di lavoro.
Vedi Ciccio tu sai come la penso, tu sai cosa (politicamente) mi angoscia, ma dimmi come posso mettermi a difendere o a giustificare un sindacato o anche un semplice cittadino  tanto imbecilli da ritenere che la loro forza risieda in un articolo di una qualunque legge? Che c’entra un tribunale col diritto universale a non consentire verso un uomo qualunque una qualunque discriminazione? Ma l’obbligo a non discriminare non è già nella costituzione? Non vale verso tutti i cittadini? E se facciamo una legge perchè un lavoratore per difendersi deve rivolgersi al sindacato? non è meglio che si cerchi un avvocato?

Tu sai che io, comunque sia, difendo l’esistenza del sindacato. Però perchè esista ed abbia una funzione non si deve stare in silenzio. E così hai letto nel tempo come io lo abbia accusato di essere complice del capitale quando si è messo a difendere l’aumento dei salari invece di difendere il pianeta la cui spietata azione di ruberia a suo danno (ed a nostro) permetteva (ricordi la mia sottolineatura sulla dinamica tra Terra, Capitale e Lavoro) lauti guadagni al capitale e miserabili compensi per il lavoro? Ora che il pianeta, ed il capitale lo sa bene, non permette di essere troppo derubato e reagisce, come Genova può testimoniare, e conseguentemente a non consentire un bottino che permetta  al capitale di compensare, seppur minimamente, il suo complice: il  lavoro.  Ed è proprio il lavoro, in una struttura capitalista,  ad essere destinato ad essere derubato. Perchè tu sai, come me, come una qualunque organizzazione criminale i primi che elimina dal suo seno sono la manovalanza, gli esecutori materiali.

Ti ricordi il silenzio, per esempio, su Taranto? Però non era il signor Riva ad eseguire materialmente le azioni che hanno provocato quello che sappiamo. Ogni delitto deve avere sempre il suo mandante naturale (Riva nel caso) ma anche degli  esecutori materiali (che sono sempre  lavoratori e stato).
Ma senza andare lontano, ho visto alla televisione come sono stati realizzati a l’Aquila i balconi di certe palazzine post terremoto . Ma a metterli in opera così, con quei tavolacci di scarto erano degli operai. E vuoi che questi operai non sapessero che fine, a breve, avrebbero fatto quei balconi? E non sanno come sono state realizzate quelle palazzine e la loro fine? Ma non solo tacquero allora, ma tacciono oggi. In più, perchè i cosiddetti magistrati inquirenti, non li interrogano? Interrogheranno i padroni della ditta, che se non sono stupidi (e non lo sono) sarà già stata chiusa e, all’epoca sarà stata intestata ad una testa di paglia, interrogheranno gli ingegneri, ma non i muratori, non i falegnami, non i lavoratori di quei fornitori di cemento ecc.

E che sindacati sono quelli che in nome di un salario, spesso miserabile, permettono ai lavoratori di essere esecutori materiali di crimini? No Ciccio, non serve a questo il sindacato! o, per lo meno, non serve a questo la mia idea di sindacato. Credono che avendo “ottenuto” lo statuto dei lavoratori sono a posto. Ma quando mai, nell’esecrato ottocento, gli esecrati Marx, Bakunin e i loro accoliti dell’epoca, hanno  ritenuto che i lavoratori sarebbero stati protetti da un tribunale? Sapevano benissimo a che serviva un tribunale, a che serviva un parlamento e le sue leggi. L’unica differenza era che alcuni volevano impadronirsi delle leggi e dei tribunali, per difendere i lavoratori contro i padroni, altri  volevano eliminarli totalmente in quanto sapevano che lo Stato, diventando a sua volta esso stesso padrone, non poteva comportarsi diversamente. 

Ciao Ciccio. Ti prego però, prima di liquidarmi dicendo che gli anarchici non cambiano mai e sono sempre quelli di sempre, guardando ciò che i comunisti, i socialisti, i liberali ecc. hanno fatto di se stessi, non sia un bene che ci siano ancora a pensarla come sempre.
Ti abbraccio
Angelo
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Caro Angelo,

preferisco rispondere alla tua lettera per mezzo del mio diario perché le questioni che poni possono, almeno spero, interessare gli altri amici. Le tue parole sono fortemente “marcati” da indignazione, che non è una colpa ma semmai un apprezzamento, magari molti si indignassero effettivamente che non leggendo soltanto il testo Indignatevi.
Per quanto riguarda i due deputati che tu menzioni (io me li sono persi) niente da aggiungere se non sottolineare ancora il livello di stupidità, cretineria e subalternità di molti dei nostri rappresentati del popolo (anche di quelli, diciamo così, di sinistra).
È sulla questione del sindacato e dei lavoratori (la loro responsabilità, come tu argomenti) e più in generale sull’apatia delle forze sociali  che vorrei dire qualcosa rispetto a quanto hai scritto (e non intendo liquidare la questione mettendo in campo l’anarchia, sai cosa penso, sai cosa apprezzo, sai cosa non condivido, serate di discussioni ci hanno chiarito, non convinto).
Forse molti in astratto desidererebbero una società libera, equa, solidale (quanto basta), senza violenza e nella quale tutti potessero realizzare le proprie aspirazioni, ma, contemporaneamente, il clima sociale, l’egoismo prevalente, la violenza endemica e la corruzione non confermano questa aspirazione. Non solo, ma la lunga crisi sfianca (individui e gruppi), finisce per rendere apatici e alla ricerca di una capro espiatore (i politici, la casta, che hanno colpe ma non tutte quelle che vengono  loro attribuite). Ma forse c’è un numero consistente di soggetti che sanno che una tale società non ci sarà data in dono, ma dovremo conquistarla, e per conquistarla è necessaria la “nostra” soggettività che può determinare le  condizioni per tale realizzazione.
È noto che la soggettività si costruisce all’interno dei processi sociali (di “produzione”) dove tale condizione è illuminata da una interpretazione della società, della sua dinamica, delle sue contraddizioni e dall’affermarsi di valori egualitari e di libertà. La costruzione di tale soggettività è questione complessa che intreccia realtà materiali e pensiero, non sorge spontaneamente, ha bisogno di “strumenti” di corpi intermedi (sindacati e partiti, per esempio) all’interno dei quali la propria condizione materiale perda, in un certo senso, la sua particolarità per diventare “condizione generale da cambiare”.
I “corpi intermedi”, questo è il problema. Essi sono il campo di una battaglia delle idee che non risparmia colpi né strumenti, ed è questo il “campo aperto” dove misurarsi senza ricerca di “purezze”; le “purezze”, come tutte le identità, alla lunga sono perdenti, perché refrattarie alle novità, nemiche della diversità e, ed è la cosa più grave, oppressive.
So che sei contemporaneamente d’accordo e no; sei d’accordo sulla, chiamiamola così, esigenza generale, ma sei in disaccordo sulla necessaria esistenza dei corpi intermedi, che tu vorresti in astratto cancellare (e non solo quelli) ma che poi alla stretta le puoi anche andare a difendere materialmente (come qualche volta hai cercato di fare).
Il sindacato, sicuramente non ci soddisfa, sicuramente fa degli errori (dal nostro punto di vista), ma attenzione, non credo di doverti ricordare che  i “miserevoli salari” sarebbero stati ben più miserevoli senza il sindacato e le condizioni di lavoro sarebbe state ben più dure. Dico delle banalità sulle quali l’accordo è facile. Il punto è che la battaglia delle idee all’interno del sindacato (diciamo meglio della CGIL) e nella frastagliata sinistra è stata di fatto persa. Non è che tradiscono, non è che sono opportunisti (anche) ma soprattutto non sanno, non vogliono sapere e si accontentano delle “verità” che a loro vengono servite belle e pronte. L’analisi della società, punto forte e necessario di ogni pensiero progressista e di sinistra, non è più nelle loro corde. È inutile che inventino “Fondazioni”, e inutile che diano corpo a “Centri sudi”, gli uni e gli altri nella maggior parte dei casi servono a garantire qualche “fetta” di potere (tra l’altro poi ci sono i finanziatori, tutti, ovviamente, “disinteressati”).    
Ma tu sei riuscito a sentire dalle parole dei nostri politici (di sinistra) e dei nostri sindacalisti (di sinistra), qualche riflessione sulle trasformazioni del capitalismo con il prevalere del capitale finanziario su quello produttivo? Su quale sia il ruolo sociale e politico del debito sovrano? Su l’accresciuto divario tra i pochi e i molti a proposito di reddito e di patrimonio? Su quale sviluppo tecnologico è pensabile  e quale il suo effetto sulla società? Eppure su queste cose abbiamo scritto, discusso, ma soprattutto altri, anche molto autorevoli secondo i parametri della nostra società, ne hanno scritto, discusso, pubblicato libri, ecc. Ma è come un rigagnolo laterale che scorre accanto al fiume delle verità confezionate, dove i “nostri” fanno i bagni, senza mai a quello immischiarsi.
Quello che mi lascia sempre meravigliato sentendo Renzi e i suoi ministri, ma anche moltissimi esponenti di punta della sinistra  è l’assenza nei loro discorsi di una prospettiva di società: possono discutere delle tecnologie da immettere nella pubblica amministrazione, dell’articolo 18, delle ore di lezioni nei diversi ordini di scuola, su quali aerei militare comprare o non comprare, ecc. ma mai che ci dicessero una parola su come queste cose si rapporterebbero al tipo di società che hanno in testa (ma proprio non l’hanno in testa, i fondamenti di questa gli vanno bene) Non richiedo un “modello”, ma degli indirizzi di marcia, dgli obiettivi intermedi che con quelli finali (?) dialogano,  sulla libertà, l’equità, l’autonomia, ecc. Vaghezze, ma soprattutto “frammenti” inconsistenti a fornirci l’idea di un quadro perché slegati. Gli 80 € vanno bene (prescindiamo), il TFR in busta paga va bene (prescindiamo) ma è l’obiettivo che va male, malissimo, tutto serve a rilanciare i consumi che dovrebbe rilanciare la produzione, che dovrebbe far crescere il PIL, … insomma che tutto fosse come prima, fino alla prossima “crisi”.
Per  la “battaglia delle idee” è necessario un nuovo grande lavoro di pensiero e di lotta, che per ragioni generazionali non ci può appartenere completamente, ma che penso, anche se in modo ancora non chiaro, si pongono parti consistenti delle nuove generazioni.
Tu vorresti che il sindacato facesse delle cose “giuste”: mobilizzasse i lavoratori contro l’uso di materiali scadenti, contro produzioni che provocano disastri, forse sei preso da nostalgia e ricordi quando queste cose si facevano (anni ’70); il tempo è cambiato le persone sono cambiate, le forse sono cambiate, e quindi anche  il sindacato è cambiato e la coscienza di tutti non è più quella. Ora siamo ridotti a difendere (perdendo) l’art. 18, a me sembra paradigmatico della situazione: una bandiera che viene sventolato da tutte le parti in modo improprio, ma solo per dare visibilità ad  un governo che fa (sic!)  e una sinistra che reagisce (con moderazione).
Per chiudere, la questione sarebbe troppo lunga, ma voglio dirti che pur con tutti i limiti individuabili, con tutte le storture possibili, preferisco vivere in uno “Stato di diritto” e il modello di società che ho in testa è fondato sul diritto, sulle libertà individuali, ma anche sulle garanzie. Non siamo una specie “buona” e non “uccidiamo” solo per mangiare.
Abbracci Francesco
  
  
  





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martedì 30 settembre 2014

Renzi: gli atteggiamenti, le prospettive, gli errori, la debolezza e la … forza

Diario 270

Renzi: gli atteggiamenti, le prospettive, gli errori, la debolezza e la … forza

La questione del “lavoro” ha messo in luce molte cose, si tratta di un velo che sollevato ha mostrato questioni di merito, di metodo e di prospettiva. Ma quanto è alta l’erba sotto i piedi di Renzi? Questa è una domanda da farsi.
Intanto i distinguo (per non dire gli attacchi) della grande stampa (meraviglia soprattutto La Repubblica che aveva assunto il ruolo di “organo di Renzi”), dei Vescovi, certo poi ci sono i distinguo e le precisazione, ci mancherebbe altro la Chiesa è maestra in questo, del Sindacato (dei “sindacati” anche se non uniti nelle modalità della protesta), della Confindustria che si spende in richiami e distingui, ecc.,  tutto questo sembra indebolire Renzi e il Governo.
C’è qualcuno che pensa di fare le scarpe al nostro giovane presidente, e in termini di “fare le scarpe” chi meglio di Della Valle? L’iniziativa, velleitaria, di Della Valle, mette in luce un’altra questione che attiene alla percezione delle cose politiche che si ha: si è diffusa l’opinione, ma non è solo un’opinione, che ha fare e disfare i governi non sia il Parlamento ma il Presidente della repubblica (Monti, Letta, lo stesso Renzi, insegnano), è per questo che Della Valle con la lista dei suoi ministri vuole salire al Quirinale.
Non credo che ci sia la volontà e la possibilità di scaricare Renzi, ma, ognuno per la sua parte, vuole fargli sentire la propria voce, ma non sanno che Renzi è sordo.
Se non fosse sordo avrebbe ascoltato quanti, con diverse argomentazioni e in diverse salse, hanno sottolineato che il problema dell’occupazione (o se si preferisse della disoccupazione) non è la legislazione sul mercato del lavoro ma gli investimenti. Si può convenire che il funzionamento del mercato del lavoro vada migliorato e migliorato molto (art. 18 a parte) o come si dice  “riformato” (oggi qualsiasi cosa si faccia e proponga è una “riforma”), ma l’avere sottolineato e sostenuto da parte del governo che questa modifica fosse necessaria per uscire dalla crisi, sembra una vera sciocchezza, ma non solo una sciocchezza di fatto, ma soprattutto una sciocchezza politica (cosa succederebbe se il meccanismo non funzionasse, come già gli 80 euro?).
Degli atteggiamenti di Renzi non voglio scrivere niente, l’ho fatto tante volte, ma voglio segnalare quando l’atteggiamento sbocca in un vero errore. È questo il caso dell’accordo del Nazzareno con Berlusconi. Il ragionamento spiattellato da Renzi è stato il seguente: Berlusconi è il capo dell’opposizione, non mi importa che si tratta di una persona condannato in via definitiva per reati contro la Pubblica amministrazione, per le riforme Costituzionali ho necessità di allargare il consenso e quindi devo trattare con il capo dell’opposizione. Io sono capace, lasciate fare a me che Berlusconi me lo mangio.Il relativismo etico non mi pare possa essere messo tra parentesi, è uno strumento di corruzione della società perché mette in crisi alcuni valori a favore di un opportunismo politico (non importa se a fin di bene, come è noto la via dell’inferno è lastricata …”) ma si tratta anche di un errore. Intanto il tema delle riforme costituzionali non è materia governativa ma parlamentare, l’allargamento del consenso, auspice il ministro delle riforme, doveva essere fatta in Parlamento dove c’è il patrito di opposizione ma non  il suo capo, non al Nazareno con Berlusconi. Ma c’è do più: Forza Italia  usciva da una scissione (Alfano) che aveva permesso a Renzi di formare il governo, con il patto del Nazzareno, come poi si è visto, si forniva a Berlusconi  uno strumento per bloccare ogni altro indebolimento di FI. Il patto del Nazzareno, semplificando molto, è un patto contro Alfano.
Da qui discendono tutta una serie di compromissioni con Berlusconi, interlocutore privilegiato (dispiace dirlo, ma in questo D’Alema ha ragione), non solo sulle riforme istituzionali ma anche sul resto.
Come ho scritto un’altra volta, mentre Berlusconi aveva offerto un modello da seguire, se uno non riusciva ad arricchirsi era colpa sua non di Berlusconi o del governo; Renzi, in questo molto diverso da Berlusconi, ha promesso di risolvere i problemi del paese. Con la sua azione, il suo governo, la sua semestrale presidenza dell’Europa, la sua trattativa con la germania, la sua azione nei riguardi della Commissione della UE avrebbe rilanciato l’economia, il paese, l’orgoglio degli italiani, e chi più ne ha più ne metta.
Ma i problemi non solo non sono stati risolti ma neanche individuati, annunzi di riforme a tappeto, senza nesso e senza un obiettivo generale se non quello di “modernizzare” il paese (che vorrà dire mai?). L’economia langue, la disoccupazione è fissa, gli investimenti latitano. Gli investimenti pubblici decisi rinvangano in larga parte vecchie decisioni, le promesse di rimettere a posto le scuole ancora sono ferme al palo, pensiamo solo a vendere quote di imprese e il patrimonio immobiliare,  mentre la retorica sulla ricchezza di questo paese (storia, cultura, arte, paesaggio ecc.) riempie i nostri giorni.
Nessuno pensa che tutto sia facile, il problema è che non si vede uno straccio di progetto sensato, una decisione che muova la situazione, una cosa che possa illuminare lo sguardo dei giovani emarginati. Tutti felice della cancellazione dei cococo e di altri contratti, ma quali contratti si devono aspettare i disoccupati e quelli in cerca di occupazione?
Detto tutto questo bisogna riconoscere che Renzi, nonostante le critiche della stampa, delle gerarchie ecclesiastiche, di settori imprenditoriali, ecc., non è debole, ma al contrario è fortissimo.
La forza gli deriva da una mancanza di alternativa (mica crediamo all’iniziativa fumosa di Della Valle né a quella più strutturata ma più velleitari,se fosse possibile, di Passera): a sinistra del PD praticamente non c’è niente, quello che si era faticosamente costruito è stato scaraventato in una sorta di pozzo senza fine, ma soprattutto il PD non può fare nulla. Non può appoggiare entusiasticamente Renzi, ma non ci si può opporre frontalmente, non solo per i numeri, ma per il pericolo della spaccatura che scioglierebbe lo stesso partito.

La forza di Renzi è la debolezza degli altri (5* e FI comprese). Al posto del giovane presidente del consiglio tuttavia starei attento, il futuro potrebbe non essergli amico e potrebbe anche non essere amico del paese. La sua responsabilità è enorme, sembra avere consapevolezza di questo ma in realtà dà l’idea di giocare alla battaglia navale.

mercoledì 24 settembre 2014

La grande attesa

Diario 269

La grande attesa

In tutte le sedi delle maggiore industrie, società per azioni, imprese di servizio qualsiasi cosa producano (auto, dentifricio, bicchieri, occhiali, vagoni ferroviarie, cemento, medicinali, servizi di trasporto, ecc.), i consigli di amministrazione sono in riunione permanente da diversi giorni. Le segretarie impazziscono a portare continuamente panini e bottiglie d’acqua, a mettere in contatto i singoli consiglieri con le loro famiglie, ad aggiornare le informazioni. Lo straordinario è diventato l’orario corrente.
Nella sala di riunione si avvicendano tecnici e progettisti che espongono carte e modelli con progetti, mentre gli economisti delle stesse  imprese sfornano continui tabulati che forniscono il “tessuto economico” dei diversi progetti. Esperti di localizzazione piantati davanti ai pc valutano le convenienze dei diversi siti (il sistema delle reti stradali e ferroviarie, il prezzo delle aree, ecc.). I servizi di sicurezza garantiscano la segretezza di queste riunioni, infatti lo spionaggio industriale ed economico è molto attivo.
Insomma un grande fermento, una esplosione di iniziative, che promette un rilancio economico e produttivo. Un fermento che ha messo anche sul chi vive gli istituti bancari, le banche d’investimento, i fondi; mentre gli operatori di borsa sono con il fiato sospeso tutto può accadere.
Un fermento che non investe solo i paesi europei (anzi in quest’area  sono le imprese tedesche sembrano maggiormente interessati a quello che sta avvenendo e che potrebbe avvenire); negli Stati Uniti e in Canada c’è agitazione anche se con un tasso di mobilizzazione modesto; è soprattutto la Cina che sente forte la pressione. Non si esclude una riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese sul tema specifico. Qualcosa si muove anche in Brasile e India, non solo ma anche, e non si riesce a crederci, anche in Russia, nonostante le ultime decisioni dei paesi occidentali, le grandi società statali e private sono all’erta.
I grandi quotidiani e le più importanti rete radio televisive hanno allertato i loro migliori commentatori, i migliori segugi di informazioni sono stati lanciati nella raccolta di notizie. Nessuno vuole fallire la notizia e gli effetti dirompenti che la notizia stessa avrà.
Tutti sono in attesa dell’approvazione del Job Act da parte del Parlamento Italiano, soprattutto l’attenzione è spasmodica su cosa ne sarà del famigerato articolo 18. Il futuro del rilancio, non solo dell’economia italiana (tutti i progetti di cui si è detto sopra, infatti, riguardano possibili investimenti nel nostro paese) e di quella mondiale.
Liberarsi del ristagno, della recessione è tutto legato a questo atto del nostro Parlamento e a gli effetti che produrrà non solo per gli investimenti nel nostro paese, ma anche, data la globalizzazione, per tutto il mondo.
Mai il nostro paese era stato al centro dell’interesse mondiale come adesso. Il Parlamento è investito da una grande responsabilità per l’oggi e per il domani.

  

venerdì 12 settembre 2014

Il Pil e l’etica statistica


Il Pil e l’etica statistica

di Giuseppe Amari

da: sbilanciamoci
11/09/2014
Abbiamo appreso che anche l’Italia si adeguerà all’Europa, secondo l’indicazione dell’Eurostat, nel considerare nel computo del Prodotto Nazionale Lordo (PIL) le attività illegali come il traffico della droga, il contrabbando, la corruzione e la prostituzione.
Dopo aver già inserito, a suo tempo, la stima dell’attività in nero (sommerso). Il “drogaggio” (è il termine giusto) del PIL ci permetterà di rispettare con meno difficoltà gli impegni presi in Europa. Tanto che la presentazione del DEF (Documento di Economia e Finanzia) è stata spostata ad ottobre, dopo il suddetto ricalcolo.
Naturalmente, anche la scelta europea (come se antecedentemente non esistesse la criminalità e avendo sinora imposto politiche restrittive che si sarebbero evitate se quel riconoscimento fosse avvenuto prima) è probabilmente dettata dalla ipocrisia tecnocratica di concedere una maggiore elasticità rispetto a quei parametri e non ammettere la loro impraticabilità e inconsistenza scientifica, come ormai assodato. Un “pitagorismo” economico politicamente molto utile per pretendere riforme di stampo liberistico e antipopolare imposte dai circoli finanziari e dai politici europei a loro subalterni, responsabili della stagnazione decennale e della recessione in tutta Europa.
Oltre a distrarre l’attenzione dalla causa più profonda dell’attuale crisi, non solo economica, da ricondurre innanzitutto alla “iniqua e arbitraria distribuzione del reddito e della ricchezza” (Cfr. J.M. Keynes).
A suo tempo Bruno De Finetti, un grande matematico che si intendeva anche di economia, parlava di Prodotto Interno Lordo nel senso di “sporco”. Si riferiva al fatto che nel suo computo vengono considerate in modo positivo transazioni socialmente e umanamente dannose per la comunità come le spese in armamenti, quelle causanti l’inquinamento ambientale e territoriale (a cui andrebbe aggiunto quello finanziario, non meno pericoloso, come ricordava il suo amico Federico Caffè).
Ma neppure De Finetti avrebbe immaginato che il “lordo” sarebbe diventato “lordissimo”! E tanto meno il povero Adamo Smith che era, prima che economista, docente di diritto e filosofia morale. Il PIL – come è noto – deve dar conto del valore del flusso annuale di beni e servizi prodotti che vanno ai consumi ed eventualmente ad accrescere la ricchezza di un paese (per la cui definizione non si può evadere da giudizi di valore espressi democraticamente). Ma se si considerasse il degrado ambientale, territoriale e del patrimonio artistico grazie proprio agli speculatori e alle mafie, un conto patrimoniale (che non viene effettuato) constaterebbe che la ricchezza del Paese sarebbe da molti anni in declino.
Non tutti sanno (o ricordano) i limiti di contabilizzazione del Prodotto lordo (che diventa “netto” per gli economisti quando dal “lordo” si sottraggono gli ammortamenti, cioè il consumo del capitale). In realtà questo considera soprattutto le transazioni ufficiali sul mercato, e procede a imputazioni (come nei servizi pubblici imputati al costo e cioè sostanzialmente in base alle retribuzioni dei dipendenti pubblici a prescindere dall’effettiva produttività) e con non semplici stime per le altre (come il “sommerso” e oggi con le attività illegali). Scherzosamente è stato detto che se un economista sposa la sua governante il PIL diminuisce (della sua paga). Ma anche le transazioni ai prezzi di mercato non considerano la loro scarsa significatività per la società considerata come un tutto. A seguito del crescente grado di monopolizzazione, dei fenomeni indotti di psicologia di massa, della già ricordata presenza delle molte esternalità negative. Né vanno dimenticati gli effetti distorsivi dovuti alla stessa iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza.
Così che la valutazione del PIL è da effettuare più sull’ordine di grandezza e dei suoi andamenti tendenziali, compresi i suoi principali componenti, che nei decimali di punto. Sono cose note agli esperti ma solitamente dimenticati anche dagli stessi quando (dis)informano il pubblico.
Ma dopo le sofisticate, recenti elaborazioni di Stiglitz, Sen, Fitoussi (nel rapporto Sarkozy) per rendere più significativo il PIL, da implementare anche con altri indicatori sociali, la scelta di cui parliamo è veramente paradossale. Mai come questa volta l’economia si è dissociata ufficialmente dalla morale e dal diritto.
Vale dunque ancora l’avvertimento di Federico Caffè, nel commentare il premio Nobel a Richard Stone, uno dei pionieri moderni della contabilità nazionale, sul “lavoro da compiere per ridurre i divari tra le pluralità (o schizofrenie) delle etiche statistiche” [1].
Ma c’è inoltre ancora un grave danno: quello di gettare discredito nei confronti di un’attività come quella delle rilevazioni statistiche e dei conti nazionali che sono indispensabili per azioni di consapevole politica economica e per una corretta informazione necessaria per l’esercizio democratico del cittadino. Per non parlare ovviamente dell’offesa ai tanti che hanno sacrificato la vita e tuttora la mettono in pericolo per combattere quelle attività e dalla cui sconfitta ci dovremmo avvalere per accreditarci false ricchezze e povertà morali.
Non si era detto che le attività illegali e criminali rappresentano un danno e un inquinamento per l’economia e lo sviluppo (civile)? Ecco perché dovrebbero essere innanzitutto gli economisti e l’ISTAT stesso, che ha una ben diversa tradizione, ad elevare la protesta in sede europea [2].
Sulla stima quantitativa della criminalità c’è già chi si lamenta per un non adeguato riconoscimento della “virtù” patria, che meriterebbe ben più del 2% del PIL che sembra vogliano riconoscerci: solo circa 30 miliardi, un vero affronto alle nostre organizzazioni criminali e quindi benemerite che sono anche – non dimentichiamolo – esportatrici nette (in questo caso al netto delle importazioni di reato) e quindi creatrici di “valore criminale” in Europa e ben oltre.
Questa, dunque, “èlavoltabuona” per “battere i pugni” in Europa!
Tra le condizioni richieste per “contabilizzare” il reato, ci sarebbe però quello della consensualità tra i rei, rimanendo quindi escluse le forme estorsive. Poco male, perché comunque saranno ricomprese le forme di associazione a delinquere (che moltiplicano il business e il PIL), anche se per il diritto penale rappresentano un aggravante.
Spetterà comunque al Presidente del Consiglio risolvere i conflitti di interesse (si spera) tra i suoi ministri dell’Economia dell’Interno e della Giustizia.
Ma, per riprendere il caso dell’economista e della sua governante, perché non considerare allora, in alternativa, le prestazioni delle casalinghe (e dei casalinghi) in aumento anche grazie alla recessione e al declino del lavoro (di mercato) in assenza di proposte più intelligenti?
Sarebbe “lavoltabuona” per cacciare la Troika di torno!

[1] F. Caffè, “Richard Stone, l’economia e l’etica statistica”, il manifesto, 19 ottobre 1984.
[2] Come ad esempio sollecita Luigino Bruni: “Pil ‘nero’, fuori dal bene comune” , Avvenire, 29 maggio 2014 .

lunedì 8 settembre 2014

Matteo Renzi: senza naso, senza bocca, senza orecchie e senza … partito

Diario 268

Matteo Renzi: senza naso, senza bocca, senza orecchie e senza … partito

“Io ci metto la faccia”, così si è declinato il progetto politico del Presidente del consiglio a proposito delle riforme. La sua faccia dovrebbe essere già ampiamente affettata, infatti le riforme annunziate: entro un mese, entro giugno, ecc. non sono state realizzate.
Questo modo di porsi politicamente mette in discussione non solo la credibilità del Presidente ma anche la tenuta del suo consenso.
Certo si può ragionare pensando che se l’elettorato italiano si è sopportato per decenni Silvio Berlusconi, che in fatto di mantenimento delle promesse non è stato secondo a nessuno, si può stare tranquilli che anche per Renzi il consenso elettorale non potrà mancare. Ma forse non è così.
Berlusconi al di là di qualche sporadica promessa (“un milione di posti di lavoro”) quello che offriva era un modello: un uomo fattosi da sé, ricco, in quanto ricco potente, in quanto ricco e potente è circondato da belle donne, un uomo di successo, in tutti i suoi aspetti (desiderati dai più). Un modello al quale tutti poteva aspirare, le proprie caratteristiche, il proprio impegno, le proprie capacità, solo queste avrebbero permesso a ciascuno di conformarsi al modello. Se non ci si fosse riusciti non era colpa di nessuno ma solo di se stessi. Il messaggio di Berlusconi, al di là di sbavature di tipo politico, era un “modello” che caricava su ciascuno la possibilità di emularlo.
Il messaggio politico di Renzi è molto diverso: non un modello ma un processo di riforma del paese (“cambiare verso”), Renzi scarica su se stesso (neanche sul suo governo) la capacità e responsabilità del cambiamento. Il paese è in attesa che questo cambiamento avvenga, Non si fa carico a ciascun cittadino del cambiamento, se non per le conseguenze che possono capitare tra capo e collo a ciascuno date le scelte governative (conseguenze quasi tutte negative). Il consenso a Renzi è legato alla fiducia che l’uomo riesca nel suo intento.
Due messaggi completamente diversi, due conseguenze completamente diverse.
Renzi è inconsciamente cosciente di questo: quando all’inizio del suo mandato ha dichiarato che in un mese avrebbe riformato il lavoro, in due la pubblica amministrazione, in tre …. era, non solo baldanzoso e presuntuoso, ma capiva (forse a pelle) che queste erano le attese. Da qui “ci metto la faccia” (ormai una faccia fregiata).
Resosi conto che i problemi erano molto più complicati, le soluzioni difficili da trovare, gli interessi coinvolti molti e discordanti, ha allungato la sua traiettoria riformista: 1000 giorni. Ma mille giorni sono tanti e lunghi da passare, soprattutto se in questi 1000 giorni si macella la società: blocco della contrattazione e degli aumenti nella pubblica amministrazione, rinvio dell’assunzione dei precari della scuola, protesta di carabinieri poliziotti, ecc. prossima agitazione generale delle tre confederazioni sindacali, ecc. In più le questioni internazionali, la richiesta degli USA di aumento delle spese militari, i pericoli di un coinvolgimento bellico, ecc.  I 1000 giorni rischiano di essere per Renzi un calvario, anche perché ha scelto di essere “solo al comando”.
Non credo che la strada delle riforme che Renzi e la UE fanno intravedere siano appropriate per affrontare la crisi, ma immaginiamo per un momento che sia la strada giusta. Per realizzare questa strada il Presidente del consiglio avrebbe bisogno dell’apporto di un’organizzazione politica (una struttura intermedia) non solo che lo sostenesse ma che soprattutto facesse “lavoro politico e culturale” tra il “popolo” . Che potesse convincere le forse sociali della necessità di pagare dei prezzi, ma che fungesse anche da cinghia di trasmissione tra le forze sociali e il governo. Qualcuno potrebbe giudicare troppo “tradizionale” questo punto di vista, ma in assenza di questa intermediazione cosa potrebbe accadere e cosa accadrà dato che questa struttura intermedia è stata dallo stesso Renzi distrutta. Va detto, a prescindere dal giudizio che ciascuno di noi ha dato e avrebbe potuto dare del PD, che quel partito non esiste più, che uno “nuovo” non è nato. Quello che rimasto si destreggia tra lotte intestine, dichiarazione di amore, e feste dell’Unità.
Il primo obiettivo di Renzi appena eletto segretario è stato non soltanto della rottamazione dei suoi gruppi dirigenti, ma la distruzione del partito e di quel che restava della sua organizzazione, progettandone vagamente uno nuovo. Oggi che di un partito che sostenesse “popolarmente” la sua politica avrebbe bisogno come l’aria, non lo ha più.
Avere pensato che bastasse la “comunicazione”, la trovato del cono gelato, la non partecipazione alla riunione del gotha dell’economia, tanto per citare gli ultimi episodi comunicativi, potessero bastare per tenere legato il consenso popolare a me pare un errore.
Poiché  il progetto politico di Renzi sono le riforme, l’opinione pubblica lo misurerà sulla realizzazione delle riforme e sui benefici che queste riforme porteranno per tutti o per larghi strati della popolazione (ci potranno essere dei momenti di coinvolgimento e di entusiasmo per Renzi, ma poi i nodi del reddito, della disoccupazione, ecc. verranno prepotentemente a galla).
Un progetto di lungo periodo (1000 giorni, per cominciare), l’assenza di una struttura intermedia di sostegno (il Partito), la scarsità dei risultati, il costo delle riforme che graverà sul ceto medio e sugli strati popolari, lasciano presagire un declino non troppo lontano di Renzi.

In questo c’è una tragedia: la mancanza di un’alternativa progressista e di sinistra.           

martedì 2 settembre 2014

Renzi, gli occhi chiusi sul debito

Diario 267
·         Renzi, gli occhi chiusi sul debito
·         Don Luigi Ciotti minacciato dalla mafia

Renzi, gli occhi chiusi sul debito
Sarebbe una troppo facile ironia affermare che il Consiglio dei ministri che doveva dare inizio a “cambiare verso” al paese,  ha prodotto uno striminzito topolino. È inutile che gli organi di stampa  governativi si spendano per dimostrare il contrario, o che apprezzino che al “passo veloce” (troppo, dicono) Matteo Renzi abbia sostituito un “passo riflessivo” (chiamato in tanti modi), ormai l’orizzonte del governo sono mille giorni, non più tre mesi. Tutto sarebbe da ridere se non fosse tragico per il paese che non può aspettare né 1000 giorni, cioè la fine della legislatura;  né il “richiesto”  bene placido dal governo tedesco (ma poi per fare che?), né il rimpasto di governo, né gli ennesimo annunzi risolutivi, né la positiva (forse) iniziativa della Banca europea, possono modificare il quadro.
La verità semplice quanto tragica e che Renzi, i suoi consulenti (più o meno ufficiali), i suoi ministri non sanno cosa fare, perché non hanno percezione perfetta di  quale sia la situazione.
Ormai è chiaro oltre ogni mistificazione, l’Italia non sarà mai in grado di “onorare” (come si dice) il suo debito sovrano. La vendita di questo o quello pubblico, il taglio di questo o quello spreco, i vantaggi derivanti dalla diminuzione della differenza con i titoli tedeschi, non potranno che contribuire con delle briciole, ma non riuscirebbero ad intaccare significativamente il debito.
Sempre più si fa strada la necessità di una ristrutturazione del debito (svalutazione dei titoli, durata più lunga, ecc.), anche economisti di prestigio e non rivoluzionari cominciano a considerare la cosa come necessaria. Lucrezia Reichlin, non un’estremista, si sta spendendo molto per una soluzione di ristrutturazione del debito e ha argomentato, in una intervista, che l’investimento in titoli di stato sono come qualsiasi altro investimento, non sono investimenti “garantiti” e quindi intoccabili (quante volte abbiamo sostenuto lo stesso concetto). Accettare questo stato di fatto ci farebbe fare un salto su che cosa fare molto importante.  
Ma il governo di tutto fa finta di occuparsi (giustizia, scuola, opere pubbliche, lavoro, ecc.) tranne che del debito. E come se non esistesse, una cosa estranea che è rilevante solo per i vincoli imposti dalla UE.
Non credo che sia una stravaganza sostenere che fino a quando non si prenda questo toro per le corna, non usciremo da questa crisi, che mese per mese cambia fisionomia, che potrebbe anche trovare un lieve e temporaneo sollievo da una politica di investimenti pubblici (il governo tedesco permettendolo),  che comunque non sarebbe risolutiva (non va alla radice).
Certo sarebbe un episodio da scrivere a gloria della UE (dimenticando tutto il peggio fatto) se la ristrutturazione dei debiti fosse una iniziativa Europea, ma non è detto che non possa farlo uno Stato singolo (senza che sia imposta  da una “troika”, che ha in odio i popoli ed è indifferente agli esiti sociali; ricordare la Grecia).  


Don Luigi Ciotti minacciato dalla mafia
Il capo della mafia, che sembra (o crede di essere) ancora potente sebbene all’ergastolo, ha minacciato di morte, come riportato dalla stampa Don Luigi Ciotti, l’animatore di Libera e di tante iniziative contro la mafia.
La fede ci divide, ma la mia ammirazione e stima per don Ciotti è molto grande, non solo per questa meritevole battaglia che conduce contro la mafia, non solo per aver assunto l’iniziativa di utilizzare, per una produzione “liberata”, le terre e le proprietà confiscate alla mafia, ma per il impegno politico complessivo. Per farmi capire voglio ricordare una frase che ha pronunziato ad una grande assemblea del suo movimento a Cagliari, qualche anno fa: “basta con la solidarietà, pretendiamo diritti”. Come dire un estremista che va oltre, molto oltre, lo spirito tradizionale del suo sacerdozio e lo interpreta in forma politica democratica e di sinistra.
Bisogna evitare che don Ciotti resti isolato, perché questo vuole la mafia ed è allora che colpisce.

La minaccia mafiosa si contrasta appoggiando e sostenendo concretamente le iniziativa di don Ciotti. Per esempio comprando i prodotti di “libera”, sostenendo economicamente l’associazione acquistando i buoni a questo scopo dedicati, si trovano per esempio nei negozi COOP, manifestando a suo favore e chiedendo un atto di sostegno del governo e del parlamento.  

sabato 23 agosto 2014

La criminalità organizzata entra in contabilità nazionale

Diario 266

La criminalità organizzata entra in contabilità nazionale

La valutazione del reddito nazionale costituisce da sempre un problema non solo statistico ma anche teorico; Pigou sottolineava che se avesse sposato la propria cuoca il reddito nazionale sarebbe diminuito, a quello, infatti, veniva a mancare l’apporto del salario della cuoca, anche se con molta probabilità avrebbe speso di più per la moglie.
Oggi l’operazione che si sta facendo è inversa a quella denunziata da Pigou, non si sposano le cuoche, ma  si  incrementa il valore del PIL con una valutazione economica delle attività criminali: prostituzione, commercio di stupefacenti, commercio di armi, tratta di organi, ecc.
Dal punto di vista statistico, forse un’operazione giustificabile, ma è certo che si tratta di una modifica che investe aspetti sostanziali della convivenza. Proviamo a indicarne alcuni, dai più banali ai più complessi.  
Intanto l’aumento del PIL farà diminuire la pressione fiscale, ma si tratta di una pura illusione contabile: le attività criminali continueranno ad esercitarsi in “nero”, mentre la quota dei soggetti che pagano le tasse, senza nessuna modifica nei loro esporsi fiscali, avranno l’impressione di pagare meno in rapporto alla nuova valutazione del PIL.
Siccome non esiste un’anagrafe delle attività criminali la stima del loro contributo al PIL sarà di tipo parametrico: sulla base dei reati scoperti e perseguiti si valuterà l’ammontare delle risorse di queste attività. Non ho dubi che i nostri statistici abbiano individuato parametri significativi, ma come si valuterà l’efficienza dell’attività repressiva? Se aumentano i reati perseguiti si stimano in riduzione i reati (e i relativi redditi) non scoperti? Ma non è detto che esiste questa relazione inversa.
Ma se i redditi di queste attività entrano a far parte del PIL e permettono al paese di stare all’interno dei parametri imposti dalla UE, non conviene chiudere un occhio su queste attività? Tanto queste, al contrario delle attività legali ma sommerse (che entrano già come stima nel calcolo del PIL), non potranno mai emergere. In quest’ottica mi pare naturale che la discussione per la legalizzazione delle droghe leggere (prescindiamo da una valutazione di merito) sarà molto raffrenata, si rischierebbe di prosciugare un apporto al PIL.
Se queste attività vengono riconosciute come economicamente significative (produttrici di reddito, di occupazione di indotto, ecc.) ne dovrebbe derivare che un certo livello di WS dovrebbe essere riconosciuto ai membri di questa associazioni criminali. Così per esempio la manifestazioni dei familiari dei criminali arrestati che denunziavano che le casse del loro privato ws erano vuote, (una sorta di INPS garantita dalle associazioni criminali a favore dei familiari degli arrestatati) meriterebbe un intervento dello stato?
Non si tratta di essere o di fare l’anima bella, ma certo avere da una parte una legislazione che sanziona, anche pesantemente (vedi l’affollamento delle carceri), alcune attività, a torto o ragione, ritenute illecite e criminali, e dall’altra farsi belli con il PIL che ne contempla l’aspetto economico, qualche distorsione la procura. Va bene che il denaro non ha odore, ma non esagererei: questa nuova quota del PIL  oltre ad avere il tanfo della sopraffazione, gronda sangue. Tutte cose che dalle stanze degli uffici di statistica non si sentono né si vedono.