sabato 20 dicembre 2014

Recensione Alberto Magnaghi

Cara Alberto,
la rilettura del tuo libro (Alberto Magnaghi, Un’idea di libertà (DeriveApprodi, 2014, p. 204, 15€) a distanza di quasi trenta anni mi ha fatto un’impressione non solo notevole, come allora, ma molto diversa dalla prima lettura. In quella lo sguardo politico era stato prevalente, del resto il processo contro di te egli altri compagni era concluso da poco, come da pochi anni eri stato liberato dalle catene del carcere.
Non intendo dire che la “politica”, possa essere espunta dal tuo diario dal carcere, ma oggi l’attenzione può essere posta sul travaglio fisico, intellettuale e psicologico che la lunga detenzione ti ha imposto. Le pagine che esplorano le “condizioni” dalla cella d’isolamento, alla camerata passando per la piccola cella mi sono parse testimonianza di un continuo “adattamento” sui modi specifici della resistenza verso non la distruzione ma, come sostiene tu,  la dissoluzione di mura, limitazione di spazio, grate, ritmi imposti e soprattutto dissoluzione dello stato delle cose. Un concetto che costituisce una variazione del tuo precedente pensiero politico.
Mi domando oggi se avere insistito affinché tu scrivessi, durante la detenzione,  un libro (Il sistema di governo delle regioni metropolitane) che contenesse i tuoi ultimi interessi disciplinari, non sia stata un’ingerenza indebita, un “disturbo”. Allora mi sembrava che lavorare al libro potesse in qualche modo ridurre l’oppressione carceraria, come se fosse una distrazione. Oggi ho il sospetto, sebbene ne parli in modo molto sfumato, che abbia costituito un aggravio della tua condizione: un piegarti a vincoli, permessi, spazi specifici.
Nel diario dal carcere trovo emozionante il passaggio dalle questioni che riguardano i bisogni e gli avvenimenti materiali e le tue considerazioni sugli spazi più psicologici che fisici.
Caro Alberto quella che hai dovuto affrontare è stata un’esperienza totalizzante, intendo in negativo totalizzante, che tu ci restituisci con pudore ma completamente, una restituzione che si coglie in tutte le sue sfaccettature e implicazioni a distanza dagli avvenimenti politici che l’anno causata, almeno così è per me. Se a suo tempo il risentimento era politico, oggi stemperato da quello il risentimento mi pare più profondo e implicante.

Alberto Magnaghi è stato arrestato, nell’ambito dell’istruttoria denominata “7 aprile” contro ex-dirigenti e compagni della già disciolta, da molto tempo, organizzazione politica Potere Operaio. Erano accusati di essere i dirigenti occulti delle Brigare Rosse; un accusa infondata, non provata che si fondava su quello che venne definito il “teorema Calogero” (dal nome del giudice istruttore).
Certo che Alberto era stato dirigente di Potere Operaio, ma poco a che fare aveva con l’idea della lotta armata. Quando è stato arrestato, nel dicembre del 1979 (Potere Operaio si era sciolta nel 1973) insegnava al politecnico di Milano, facoltà di Architettura. Il suo impegno culturale, scientifico e politico trovavo coagulo espressivo nella rivista  Quaderni del territorio.
Dal dicembre del 1979 fino a settembre del 1982 resta in carcere. Quasi tre anni.
Fino al settembre 1980 a San Vittore (Milano), poi a Roma Rebibbia e Regina Coeli. Il libro di cui si parla è il diario di questa lunga carcerazione.

Io credo che tutti dovrebbero leggere o rileggere questo testo, non ponendo molta attenzione alle questioni politiche, alle ragioni di questa lunga e inutile carcerazione, non perché non siano importanti ma perché ormai è storia e solo per accenni se ne parla nel libro con riferimento all’impegno per stendere memorie o studiare gli atti processuali, ma avendo cura di scrutare le riflessioni di Alberto sulla condizione di recluso, le inflessioni del pensiero ed anche le sue trasformazioni. Un ansia di libertà, anche minuta, intorno alle piccole cose, che porta ad un’idea di libertà.     

giovedì 18 dicembre 2014

Renzi: variegato

Diario n. 275

  • Renzi e il PD
  • Renzi, la fine propulsiva
  • Renzi: il nuovo futuro presidente della repubblica    


Renzi e il PD
Dell’ultima assemblea del PD si potrebbero scrivere molte cose: della finta cautela di Renzi, delle preoccupazione per la prossima scadenza dell’elezione del Presidente della repubblica, della preoccupazione per le manovre di Berlusconi, della timidezza dell’opposizione interna, ecc.
Ma soprattutto si potrebbe scrivere degl’ignavia politica di tutti, ma forse piuttosto che scrivere si può riportare quello che Shakespeare mette in bocca a Cassio a proposito dello strapotere di Cesare (senza che questo induca nessun paragone tra Matteo e Cesare):

Perché, amico, lui sta a cavalcioni di questo stretto mondo
come un Colosso, e noi, uomini meschini,
ci muoviamo sotto le sue gambe immense e sbirciamo
di qua e di là per trovarci disonorate tombe.
Gli uomini in certi momenti, sioo padroni del loro destino.
La colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle,
ma di noi stessi che siamo schiavi.
[…]
Ora, nel nome di tutti gli dei di una volta,
di quale cibo si nutre questo nostro Cesare
da diventare così grande? Oh epoca svergognata!
Roma, tu hai perso la stirpe del nobile sangue!
Quando mai è passata un’epoca, dopo il grande diluvio,
che non andasse famosa per più di un sol uomo?
Quando mai si è potuto dire, finora, parlando di Roma,
che le sue ampie strade non contenevano che un uomo?
Ora è Roma davvero un piccolo romitaggio,
se in essa non c’è che un uomo soltanto.
  
Renzi, la fine propulsiva
Comunque lo si giudichi, Rezzi è sembrato potesse essere una forza “propulsiva” per il paese (rotamare, rinnovare, riformare, decidere, ecc.), ma difetti caratteriali gravi per un politico, una sicurezza in se stesso che rasenta l’assurdità, la tendenza a circondarsi solo di persone, donne e uomini, che lo assecondano, l’ignoranza sostanziale della crisi economica e il considerarsi l’uomo che poteva aggiustare tutto (la crisi economica, la crisi sociale, la crisi culturale e la crisi della rappresentanza) con la forza del suo attivismo, ne ha depotenziato qualsiasi possibilità. Si può dire che Renzi abbia fallito. Questo non vuol dire che scomparirà dalla scena politica, ce lo potremmo tenere per un decennio e forse più. La sua forza sta nella debolezza degli antagonisti (sic!).
Il teatrino della politica che ha costruito, essendo un giovane post-moderno, quello dei messaggini, dell’accattivarsi, con il sorriso, mamme e figli, resisterà ma non produrrà niente di buono.
Le sue trovate, ieri gli ottanti euro, oggi le olimpiadi, fanno scena, ma la commedia non si avvia verso il lieto fine.
La tentazione forte che ha di andare alle elezioni presto, per liberarsi di infedeli (dentro e fuori dal suo partito) non è affatto tramontata, del resto quanto più categorici sono i suoi dinieghi tanto falsa essi appaiono alle orecchie sensibili (fidati, dice, mentre ti avvelena).
E poi non è sicuro che le elezioni andranno come vorrebbe; non parlo di sconfitta ma forse il coagulo di forze diverse e l’affermarsi di vecchie sigle, prospettano un risultato inutile ai suoi fini: un Parlamento ancor meno governabile.   


Renzi: il nuovo futuro presidente della repubblica    
Il rosario di nomi che l’informazione (si fa per dire) snocciola ogni giorno sui possibili candidati alla presidenza della repubblica (nomi sussurrati, che i politici si lasciano … sfuggire di bocca) appare drammaticamente deludente. Giorgio Napolitano è stato un presidente criticabile per molti versi, ma il pericolo è che forse lo rimpiangeremo.
Alcuni dei nomi che si fanno non c’entrano niente con il ruolo (non basta certo essere famosi); altri da anni brigano per questa elezione; altri come unica caratteristica hanno dalla loro il sesso (donne); altri rappresentano dei campioni di “occupazione” di poltrone; ecc.

Non speriamo in niente;  il paese fornisce  nomi adatti, dignitosi e di  valore, ma questi saranno scartati come pericolosi eversori (dei disegni di Renzi). Sarà quel che sceglierà Renzi con qualche suo alleato impresentabile (al netto delle schede nulle). Sarà una soluzione insoddisfacente, di cui non abbiamo bisogno: un ferro vecchio lucidato o un  ferro nuovo già maculato. Ma che possiamo volere di più?