lunedì 30 dicembre 2019

Mancanza di stile? Forse peggio



Diario
30 dicembre 2019

Si potrebbe dire “una caduta di stile”, ma forse il corsivo di Massimo Arcangeli pubblicato il 28 dicembre su La Repubblica (e questo dispiace molto), forse rappresenta un vistoso esempio del degrado della politica.
L’autore del corsivo è stato presidente di una Commissione “per l’accesso al ruolo di dirigente scolastico”, e in quanto testimone privilegiato si sente in dovere di raccontare il non splendido esame sostenuto da Lucia Azzolina, oggi ministro della pubblica istruzione. Si capisce che l’on. Azzolina, non in modo brillante abbia passata la prova.  Ma il corsivo è tutto teso a mettere in evidenza  la non perfetta preparazione della candidata, ridicodizzandola,  ma riconoscendo che “almeno la normativa la conosceva”.
Può darsi che le dichiarazioni rilasciate ad un giornalista della candidata abbia irritato la commissione e in particolare il suo presidente, ma trovo che riportare a sette mesi dall’evento (l’esame si è svolto i primi di giugno) su un quotidiano la prova dell’attuale ministro sia un atto, modesto come è modesto l’autore del corsivo, di ingiustificato attacco politico. Ingiustificato perchè almeno la normativa che regola la scuola la candidata la conosceva, e per un ministro credo che costituisca una buona premessa (non sto giurando sul successo dell’Azzolina come ministro).
Il presidente Massimo Arcangeli se riteneva insufficiente la preparazione della candidata poteva bocciarla, se l’ha promosso non credo che l’abbia fatto per genuflessione di fronte al politico, ma perche complessivamente ne dava, insieme alla commissione, un giudizio positivo. Inoltre quell’esame mi auguro fosse pubblico e non spettava al presidente riesumarne i fasti.
Meraviglia che La Repubblica, giornale che quotidianamente si esercita in lezione di moralità pubblica, si sia prestata a questa operazione.    

mercoledì 25 dicembre 2019

Diseguaglianze




Diario
24 dicembre 2019

Siamo convinti di avere chiari i fenomeni che caratterizzano in negativo la nostra società, e questo è anche vero. Ma ogni volta che ricerche e informazioni precise ci documentano quello che … sappiamo, ci meravigliamo, siamo sorpresi e scandalizzati. È il caso della recente indagine della Mediobanca sulle retribuzioni, per l’anno 2018, di amministratori, direttori generali e sindaci relative a 230 imprese quotate in borsa e riguardano complessivamente 3.543 persone.
Si resta meravigliati, per esempio, che l’amministratore delegato e direttore generale della Unipol abbia percepito nel 2918, remunerazioni pari a 7,9 milioni di euro. Uno si domanda che cosa avrà mai fatto di così rilevante questo importante dirigente per meritare una così cospicua remunerazione? In realtà sarà stato bravo, non discuto, ma la sua abilità principale consiste nel raccogliere come con una rete a strascico il plus valore prodotto dai dipendenti Unipol e riversarlo nelle remunerazione sue e degli altri dirigenti.  Il sistema questo consente, o meglio: il sistema si basa su tale meccanismo.
Per non farla troppo lunga di seguito si riportano le remunerazioni medie e massime, in migliaia di euro, per singola posizione:

Posizione                 remunerazione media                            remunerazione massima
Presidente                    458                                                          7.000
Vice presidente            210                                                          4.900
Consigliere delegato    849                                                          6.000
Pres Cons. Sindacale     53                                                              218
Sindaco Effettivo           39                                                              149

Comparare la remunerazione di queste posizioni apicali rispetto al costo del lavoro medio della stessa azienda, presenta una serie di complessità. Tuttavia, sottolineando, come fa il rapporto della Mediobanca, che i valori devono considerarsi sottostimati, la remunerazione media di un presidente vale 6,7 volte quella del dipendente medio, se si assumesse la remunerazione massima del Presidente questa varrebbe 93 volte quella del lavoratore medio. Per quanto riguarda il Consigliere delegato tale rapporto è pari 11,8 nel caso della remunerazione media, se invece si considerasse la massima il rapporto salirebbe a 114 (si tratta degli anni di lavoro necessari per accumulare la remunerazione del presidente o consigliere delegato).   

Questi dati sono una pallida rappresentazione delle differenze sociali che caratterizzano il nostro, insieme ad altri,  paese. Era noto i molti anni che un lavoratore “medio” avrebbe dovuto lavorare per accumulare la retribuzione del “suo” presidente, ma le informazioni abbastanza precise ci meravigliano. Qui non si tratta affatto di “giusta ricompensa” alla competenza ma solo di meccanismi sociali e politici che permettono di accumulare a scapito dei lavoratori.


giovedì 19 dicembre 2019

Sardine




Diario 19 dicembre 2019

Che non si potesse dare per certa la sconfitta, non era un becero ottimismo, ma rifletteva sul fatto che nonostante gli indicatori , in termini generali, fossero tutti negativi per la sinistra non era facile prevedere gli andamenti politici di massa spontanei, un movimento poteva sconvolgere le previsioni. Tanto per dire, nessuno si aspettava il ’68. Per quanto la società sia posta sotto osservazione, per quanti bravi siano gli osservatori, non sempre si riesce a cogliere lo stato d’animo, per così dire, di parti importanti della popolazione; si coglie il disagio ma non è chiaro a cosa esso svolge. Di questo qualche mese fa ragionavo insieme a Rossana.
Salvini, con il suo razzismo, la sua volgarità, la sua semina di paura e di odio, sembrava trionfante, ma oggi non è più così certo. Merito delle Sardine.
La mia generazione è stata maestra nel “dividere”, ogni sfumatura era un buon motivo per dividerci. I gruppi si moltiplicavano, facevano tentativi di unirsi per subito dopo dividersi in pezzi ancora più numerosi. Per questo dobbiamo stare lontani dalle Sardine, e se andassimo in piazza dovremmo stare zitti, non possiamo fare domande, non possiamo neanche indicare i nostri errori. La cosa, infatti, che mi entusiasma è il senso antidivisivo che ha assunto questo movimento. Si può pensare che l’unità non sia tutto, ma bisogna riflettere che la divisione è peggio.
Un’altra cosa importante, ed è una novità nel recente presente, è la dichiarazione di collocazione “politica”, ma anche sociale, delle Sardine, si dicono di sinistra e antifascisti; non adoperano, per fortuna,  l’equivoca formula “né di destra né di sinistra”.
Mi pare di cogliere un’ansia in molti che praticano la politica da anni e i cui capelli bianchi suggeriscono saggezza (che non c’è): non facciamogli domande, dicono, ma nello stesso tempo le domande negate vengono avanzate; dichiarando entusiasmo per la loro autonomia e indipendenza dai partiti, così ripetono, e nello stesso tempo, con finto rispetto, si suggerisce tra le righe cosa è opportuno che facciano.
Non diamo lezioni, non cerchiamo di cavalcare quello che non ci appartiene e che non conosciamo neanche tanto bene.
La mia generazione ha sbagliato tutto, anche con generosità, perché non ha saputo cogliere le opportunità politiche che si presentavano, non ha saputo approfittare politicamente dei grandi movimenti di protesta, si è divisa e suddivisa, ogni volta illudendosi di avere la carta vincente. Se qualcosa, anche piccola, l’ha ottenuta è merito dei grandi movimenti di massa. La generazione successiva si è accodata all'andazzo del tempo, distruggendo il poco ottenuto, ma una parte ha continuato a “lamentarsi” e questa parte guarda con “fede” alle Sardine pronti a fare gli stessi errori.
Guardiamo e … impariamo; ascoltiamo e … riflettiamo; non predichiamo e speriamo con ottimismo.       


lunedì 9 dicembre 2019

Né di destra né di sinistra



Diario 9 dicembre 2019

Quando un movimento (o anche un individuo) dichiari di non essere né di destra né di sinistra, non sottintende di essere di “centro”, cioè un moderato (qualsiasi cosa questo significhi), ma piuttosto di essere un opportunista. Rende esplicito che non ha ideali da seguire, né principi ai quali legare i propri comportamenti, ma, piuttosto, che persegue la ricerca di occasioni da cogliere nell'interesse proprio o della propria parte anche se, a questo punto, scatti una seconda mistificazione, affermando che si tratti di un interesse di tutti. Un tutto omogeneo senza articolazioni e differenziazioni interni e con interessi molto diversificati.
Non si confondi l’affermazione né di destra né di sinistra, con una possibile e ammissibile critica (e anche indifferenza) nei riguardi dei partiti esistenti. L’affermazione in realtà non riguarda tanto i partiti ma piuttosto due modi diversi di immaginare la società e la sua trasformazione.
Insomma affermare di non essere né di destra né di sinistra non è tanto una dichiarazione di collocazione politica, ma, piuttosto, esplicitare  un progetto di “mani libere”, disponibile ad ogni evenienza, appunto pronti a cogliere le occasioni che si presentino per perseguire interessi propri travestiti da generali. Gli interessi propri nel caso specifico riguardano la possibilità di rafforzare la propria presenza nelle istituzioni, e goderne i vantaggi. Ma, attenzione, non si tratta di un atteggiamento che scruta le opportunità per coglierle, ma piuttosto questi movimenti possiedono  una forte verve  “costruttiva” nel creare quelle opportunità che possano permettergli di sfruttare la situazione a proprio favore. Tale atteggiamento rende questi movimenti alleati di governo non affidabili, essi, infatti, sono poco capaci di costruire un progetto in comune, temono che questo possa rafforzare altri partiti e movimenti. L’inaffidabilità dei partner di governo, va detto, non riguarda solo questo tipo di movimenti ma, da un certo punto di vista, tutti gli alleati, la peculiarità dei primi, tuttavia, consiste nell'incapacità di seguire un percorso, per quanto possibile, comune. Nella creazione di “occasioni” utili allo scopo, infatti, non hanno scrupoli a crearle in contrasto con gli indirizzi assunti dal governo di cui fanno parte.
Mi fa specie, ma il mio atteggiamento verso M5* è stato altalenante, diffidenza verso le dichiarazioni politiche che negavano una precisa posizione, mentre un blando apprezzamento per alcune battaglie e proposte. Ma ora mi pare che il velo si sia squarciato. Di Maio cavalca e crea tutte le occasioni che pensa dovrebbero far recuperare qualche posizione al suo movimento in crisi di consensi (soprattutto dovrebbero garantire la sua personale posizione di capo del movimento). Del resto il marchio di origine non può essere smentito. Scalpita, dichiara, afferma, propone, ecc. portando continuamente il governo ogni volta sull'orlo della crisi, ma mai andando fino in fondo. Teme le elezioni (come pure Italia Viva, che non facendo dichiarazioni “né…né” si conforma a quello nei comportamenti).  
Non fermarlo (li), sovrapponendo un ulteriore punto di opportunismo (salvare il governo) potrebbe non ottenere l’obiettivo ma  peggiorare la situazione del paese.


lunedì 18 novembre 2019

Per una svolta di governo




Diario 18 novembre 2019

I soci del governo hanno dei compiti di cui non si rendono conto, piegati come sono sul loro ombelico. Il primo di questi compito è evitare lo sbocco a destra della crisi della società italiana, quello che la stampa, un po’ miope, chiama “evitare che Salvini vada al governo”. Salvini e la Meloni non sono che il sintomo evidente della crisi della società. Le destre propongono ricette modeste ma di gran presa su una società sempre più disunita e ripiegata sul singolo e immediato interesse (lotta all’immigrazione, autodifesa, “la famiglia”, e poco altro). Sbaragliare questa prospettiva non dovrebbe essere difficile, ma è impossibile senza la messa in campo di un’ipotesi di società basata su libertà, uguaglianza, e salvaguardia e difesa delle giovani generazioni presenti e future.
Il secondo compito, appunto, è quello di offrire uno sbocco progressista e di sinistra alla crisi della società. Non si tratta, infatti, di una crisi economica, ma di una crisi che è economica, sociale, culturale e di prospettiva insieme. Certo che ci sono punti di resistenza, certo che ci sono dei segmenti, sottolineo segmenti, della società che hanno consapevolezza, ma questo non riesce, per impossibilità oggettiva, a diventare una prospettiva. Per esempio mentre trovo meritevole di entusiasmo che ragazzi e ragazze riempiano le piazze in difesa dell’ambiente, trovo sconvolgente che un compito così arduo sia affidato ai giovani, che “sanno” ma non “possono”, mentre il governo si “arrischia” a mettere una modesta tassa sulle plastiche (contestata al suo interno dopo essere stata approvata).
Il governo, guidato  avvocato Conte, che non sa che pesci pescare e come ripararsi dalle pietre che crisi aziendali, andamenti atmosferici, e “disattività” dei suoi sostenitori politici gli lanciano continuamente sulla testa. Veste i panni da statista, moderno Cavour che deve rifare l’Italia, ma sono abiti che gli stanno bene. I suoi tiepidi sostenitori pensano ciascuno al proprio interesse: mitigare qualche tassa, eliminarne un’altra perché tocca qualche proprio interesse (come i produttori di una regione), togliere la distribuzione di reddito da una parte e metterlo in un’altra parte, ecc.. Meschini e miserabili, pensano che salvare il proprio partitino sia la salvezza del mondo. Così l’ineffabile Renzi tuona contro eventuali elezioni anticipate, non rendendosi conto che per quell’obiettivo sta lavorando, gioca con il fuoco e finirà con il bruciarsi.. Non è l’ambizione che lo rovina, ma la sua vanità e inconsistenza. Per non parlare di Di Maio, che non si rende conto che il suo elettorato è sfumato, ed è sfumato verso destra ma non perché il movimento si è spostato a sinistra ma perché non ha saputo contrapporre un’idea diversa di quella dell’allora ministro degli interni, ed allora meglio l’originale. Tutti hanno paura delle elezioni anticipate, ma tutti lavorano a questo sbocco anticipato.
Tre anni non sono molto, ma non sono neanche pochi se spesi bene. Non si tratta di richiamare alla compattezza le forze di governo, quanto piuttosto di costringerli. Da questo punto di vista le elezioni anticipate sono un fortissimo deterrente: per Italia Viva, sarebbe la morte nella culla; per 5* il declino o addirittura la sua scomparsa. Né sarebbe necessario sostituire Conte, ma piuttosto che il PD, non per fiducia ma per necessità, prendesse l’egemonia nel governo con una prospettiva chiara e di sinistra (scusate di centro-sinistra). Non si tratta di risuscitare vecchi rimedi, quando piuttosto fare un’operazione di verità da una parte, e di fiduciosa prospettiva dell’altra parte.
Di verità: va svelata fino in fondo la crisi della società, tutti i panni sporchi vanno stesi al sole, senza rispetto per nessuno, senza rispetto anche dei furbetti che a sinistra si cono acconciati a non vedere e a non sentire (o forse veramente non vedevano né sentivano) costruendosi piccole convenienze. La verità non perché sia rivoluzionaria, come si dice, ma perché trattasi di operazione necessaria per sapere dove smacchiare, cosa cambiare, chi scacciare. Cogliere la crisi della società come espressione della crisi sistemica del capitalismo.
Una prospettiva di società è altrettanto necessaria, (non mi stanco di ripeterlo) non si tratta di recuperare quanto si muove nel sociale, certo anche questo, ma quello di cui si ha bisogno non è una somma di esperienze positive, quanto di un progetto che faccia nascere molte e nuove esperienze coerenti tra di loro e rispetto ad una prospettiva di cambiamento. Né si tratta di vecchi rimedi. I potenti di oggi non sono quelli di ieri, a quelli di oggi devono essere posti limiti e vincoli nell’interesse collettivo. Basta, per favore, con la litania di abbassare o cancellare le tasse: la sopravvivenza della società ha necessità di risorse che deve trovare in una imposizione progressiva, che liberi i redditi minori e colpisca i maggiori anche con la patrimoniale (che non è solo case). La disuguaglianza frena la crescita ripete il premio Nobel Stiglitz, non un rivoluzionario; egli sostiene che il capitalismo non è ancora morto, ma credo che forse merita di essere seppellito in una prospettiva di cambiamento della società. So che è facile dire un progetto di Liberta, Uguaglianza e Difesa e Salvaguardia delle nuove generazioni presenti e future, e che la sua elaborazione appare difficile, ma di questo abbiamo necessità. Il PD è forse in grado di far questo mobilitando intelligenze e speranze, ma deve liberarsi dall’idea di essere un pezzo di questa società, dovrebbe considerarsi un pezzo di quella avvenire. I tre giorni di riflessione di Bologna non ha aperto una prospettiva di trasformazione sociale ma, almeno, non si sono sentite le solite cose. Il PD deve essere in grado di prendere la leadership del governo, non tanto in una prospettiva della trasformazione sociale, ma almeno per mettere a tacere le piccole ambizioni personali di piccoli leader e impostare dei provvedimenti coerenti almeno con i discorsi riformisti che il PD sembra esprimere. Questo potrebbe non pacificare ma stimolare le forze sociali, la loro aggressività progressista alimentata, potrebbe  mobilitare le forze per sempre che sentono la necessità di un più profondo cambiamento. È chiedere troppo? Forse; è sperare? la situazione ci spinge in questa direzione. Che Dio non accechi chi governa e le forze sociali mobilitate. Se non  fosse così non ci resterebbe che guardare sgomenti l’uscita a destra dalla crisi.    



domenica 17 novembre 2019

PD: gli anni '20 del 2000, tutta un'altra storia; entusiasmo, novità, ...ma


Diario 16 novembre, 219

Ieri ho partecipato all’apertura, a Bologna, dell’assemblea del PD “gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia” dedicata ai lavori per la definizione del programma di quel partito per gli anni ’20 di questo secolo in contrapposizione agli stessi anni del ‘900.
Un’apertura molto partecipata, con una forte presenza di giovani. I discorsi che sono stati fatti mi son sembrati interessanti, per alcuni versi anche nuovi (con la riserva che dirò) e cercano di delineare una linea di intervento politico che affronti gli elementi di crisi della nostra società (definita anche, gramscianamente, “crisi di sistema”, con le implicazioni che questa definizione dovrebbe  comportare). Si è potuto notare uno sforzo per uscire dai luoghi comuni e dalle parole ormai usurate, tipo “sostenibilità”, anche se talvolta la lingua ha battuto denti non dolenti ma immaginati come tasti di successo, è il caso della riduzione delle tasse.
Oggi i partecipanti si riuniranno in sei laboratori ciascuno dedicata a singole tematiche. Un’assemblea plenaria, domenica, chiuderà queste giornate con un dibattito a cui parteciperanno personalità, amministratori, scienziati, sindacalisti, ecc. Saranno presentati gli esiti dei lavori dei laboratori. Conclude, come tradizione, il segretario Zingaretti.
Ho voluto esporre l’ordine dei lavori perché mi pare che si tratti di un tentativo serio di elaborazione, di fare i conti con la crisi della società e di provare, anche nell’incertezza della durata del governo, ad elaborare un progetto di futuro.
Eppure nell’assemblea, in cui sono stato attento uditore, i discorsi fatti, mi hanno determinato uno stato di inquietudine e la percezione dell’esistenza di un vuoto. Per un verso si sono ascoltate  testimonianze di persone impegnate in vari settori (dall’università, all’accoglienza), per un altro verso  sono state avanzate proposte di ordine generali che si aveva la sensazione volassero in un vuot , anche i discorsi dei ministri intervenuti (Franceschini, Ascani  e Gualtieri) sono apparsi meno incartati dalla funzione ministeriale (Gualtieri molto ministro) e tesi a porsi i problemi dello stato delle cose, così come pure i brevi interventi dei politici (dal sindaco della  città, dall’ideatore dell’iniziativa, Cuperlo, allo stesso Zingaretti), non sono riusciti a colmare  quella che ho sentito come un’assenza.  
Più o meno tasse, più o meno tecnologia, più o meno digitalizzazione, più o meno riforma dell’amministrazione pubblica, più o meno evasione fiscale, più o meno istruzione, più o meno accoglienza, più o meno solidarietà, più o meno economia circolare, ecc. sembrano cose più o meno buone, ma non in grado di modificare la situazione. Quello che appare ai miei occhi fondamentale è stata la mancanza di  consapevolezza che il sistema sociale e di produzione, che chiamiamo capitalismo, non solo non funziona più e non è in grado di soddisfare le aspettative che promuove, ma è la causa della crisi sociale (del nostro paese e non solo). Pori questo problema è fondamentale per  una forza di sinistra, anche perché non è chiaro come questo sistema possa essere modificato e superato. Non vale l’ipotesi della presa del palazzo d’inverno, non può funzionare più un sistema “misto” (quello vigente in Italia negli anni ’50-’70, e che molti paesi ci invidiavano), non possiamo e forse non vogliamo adottare il modello cinese, ecc. Ma allora? quello che pare certo è che il sistema debba essere superato per salvarci e salvare il mondo.
L’insoddisfazione non dipende dal fatto che non sia stato esplicitato “come” il sistema potesse essere modificato, ma dall’inconsapevolezza di dove sta la matrice dei mali d’Italia e del mondo.
Non si tratta di estremismo comunista, ma dello stato dei fatti, tanto per fare un esempio la salvaguardia della natura è possibile solo a partire dal superamento del sistema sociale, delle sue regole, delle sue convenienze e dei suoi poteri. Il che vuol dire fare uno sforzo, senza facili determinismi, per narrare (secondo l’espressione in uso oggi) la società che si vorrebbe: ruolo e limiti della proprietà privata dei mezzi di produzione; limiti all’accumulazione (onesta) di ricchezza; limiti all’eredità; garanzia di reddito e di servizi a tutta la popolazione; il ruolo della scuola libera ma sapiente; riduzione dell’orario di lavoro e strumenti di partecipazione e di suo impiego per interesse sociale; libertà religiosa, compreso l’ateismo; democrazia attiva; esaltazione e sviluppo di una cultura libera e di un pensiero creativo; posizionamento libero delle donne nella società; ruolo dei tecnici e della tecnologia; capacità di accoglienza; sicurezza personale; azioni che limitino gli effetti sull’ambiente; ecc. ecc.
Questa consapevolezza da una parte e questo sforzo di un’immaginazione razionale con ampi margini di libertà, dall’altra parte,  pare possano definire la strada per l’uscita della crisi della società verso orizzonti di libertà e di progresso. Certo passi, piccoli o grandi che siano, ma tutti che si muovono dentro un sentiero di trasformazione, una forma pensata e affidata ai soggetti sociali di rivoluzione.
Attendiamo le conclusioni per sapere se la “mancanza” percepita sia stata colmata, almeno come avvio.


martedì 29 ottobre 2019

Esperienza di economia civile in Sardegna



Diario
29 ottobre 2019

Sono stato alla presentazione di un libro interessante (Enrico Parsi, Tanto per cambiare, Paolo Fresu, Berchidda e altre storia di economia civile, prefazione di Paolo Fresu, Pacini editore Pisa) nel quale veniva presentato un caso di quella che viene chiamata “economia civile”. Quella di cui si parla a lungo, e che è stata illustrata con passione da Paolo Fresu, è l’esperienza di un festival di jazz che si svolge ormai da molti anni a Berchidda, piccolo centro del centro della Sardegna.
Un festival, organizzato e diretto da Fresu, che durante i quindici giorni di attività è frequentato da migliaia di persone, e che proprio per questo è diventato una rilevante fattore economico della comunità (circa 3.000 abitanti).
Fresu è riuscito non solo a far partecipare tra i migliori artisti mondiali, ma ha scelto di cancellare ogni aspetto tradizionale di “concerto”, le esibizioni si svolgono o nelle piccole chieste di campagna o, molto più spesso, all'aperto in zone del territorio del comune e dei comuni vicini, che si raccomandano per la loro bellezza, gli ascoltatori si siedono a terra o dove capita, e sono partecipi di un evento che potremmo dire di “opera aperta”, sia da parte dell’artista (la musica jazz è per sua definizione aperta) sia da parte del fruitore, che messo in un contesto non codificato (come un teatro o una sala da concerto) ne moltiplica i significati (sia individuali che collettivi).
Il nodo del libro, tuttavia, è la creazione di una “economia civile”: di un sistema economico basato su una volontà di partecipazione e di condivisione con la creazione di un circuito economico. L’arte in generale, ma qualsiasi valore “locale”, può diventare l’occasione e l’opportunità della costruzione di  un sistema di economia civile, cioè di una economia in parte sottratta ai meccanismi propri del sistema capitalista.   
Il libro, come detto è centrato sull'esperienza di Berchidda, ma l’autore elenca altre esperienze che si collocano nell'ambito dell’economia civile.  Si tratta di un piccolo libro che merita di essere letto con attenzione e senza sufficienza.
A me paiono esperienze interessanti che possono contribuire a creare situazioni economicamente favorevoli in zone un po’ marginali rispetto all'economia industriale e capitalistica, non credo, tuttavia, ma non lo crede neanche l’autore, che questa possa essere l’unica soluzione per molte delle zone, come dire, depresse, del paese.
   

giovedì 24 ottobre 2019

I piccoli passi (?)




Diario
24 ottobre 2019

È evidente a molti studiosi, ma ormai comincia ad essere senso comune, che il sistema sociale che ha migliorato la situazione di miliardi di uomini, sfruttandone fino alla sopravvivenza milioni, si trovi in una crisi di sistema: il capitalismo non sembra poter garantire più quello che promette, anzi al contrario determina in molti parti del mondo un profondo peggioramento della condizione umana.
Che ci sia bisogno di un nuovo e diverso sistema sociale è evidente, c’è bisogno di un diverso modo di distribuire la ricchezza e i “redditi”,  la tecnologia indica la strada per nuove forme di produzione, ma non suggerisce niente per la realizzazione di un nuovo sistema sociale. La questione ambientale richiama alla necessità di profonde modifiche di produzione e di consumo, ma l’adesione, più o meno sincera, alle grandi battaglie ambientaliste, al movimento di giovani sempre in crescita, non produce un effettiva e significativa modifica nella produzione e nel consumo, questo perché le “regole” di funzionamento del sistema capitalistico non sono mutate. La guerra, piccola o grande che sia, è ancora lo strumento per distruggere, oltre le vite umane, beni e servizi e armi, una distruzione che finisce per alimentare la “ripresina” economica (forse a questo sono funzionali anche i disastri ambientali).  
C’è la consapevolezza che i vecchi metodi che erano state elaborati per la “rivoluzione”, oltre ad avere dato pessimi risultati,  non siano più adeguati alla nuova situazione. Il mix di capitalismo aggressivo e di comunismo autoritario che si sta sperimentando in una parte consistente del pianeta, pare di successo perché deve recuperare dei deficit tragici del passato, ma “rallenta” e presto si troverà ad affrontare sia crisi politiche che sociali (si hanno i primi episodi).
È manifesta l’insopportabilità della situazione dalle manifestazioni e lotte di massa che in diverse parti del pianeta, consapevolmente o meno, si pongono il problema di un diverso sistema sociale. Ma non si trovano indicazioni efficaci per la costruzione di un “nuovo sistema sociale”.
Alcuni sostengono che l’unica strada sia quella dei “piccoli passi”, non so se sia la strada giusta, ma accettando questa soluzione è necessaria che i “piccoli passi”, siano significativi, si muovano nella stessa direzione e incidano, cambiando aspetti significativi del sistema esistente. In realtà i piccoli passi (quando ci sono) appaiono più tentativi (modesti o meno) di affrontare alcuni aspetti particolare che emergono con più vigore, piuttosto che la manifestazione parziale di un disegno chiaro e completo.
Il mio amico Angelo sostiene che l’unico passo necessario sia quello di trasformare il denaro da bene personale in “bene comune”, a me sembra non tanto un piccolo passo ma una grande rivoluzione concentrata, e appunto per questo di difficile realizzazione.
Molti amici, nei discorsi da caffè, si lamentano del fatto che lasceremo ai nostri figli e nipoti una situazione ambientale disastrosa, sono d’accordo ma personalmente mi fa specie che lasceremo loro
anche un sistema sociale senza vie d’uscite. Si parla di evoluzione del “capitalismo”, ma il capitalismo è per sua natura un sistema in continua trasformazione o, se si vuole, in evoluzione, ma queste non incidono sui suoi capisaldi.
Buttiamo un occhio, molto rapido e sintetico, sulle questioni di casa nostra. È manifesto che esiste un problema di diseguaglianze (economiche, culturali, sociali, geografiche, ecc.), diciamo che esiste, per usare una modalità descrittiva ormai nota, che l’1% della popolazione concentra una quota rilevantissima della ricchezza e del reddito, mentre il restante 99% si divide il resto, con all’interno ulteriori forme di diseguaglianza. In questa situazione il senso comune dei partiti, anche di quelli che hanno formato il nuovo governo, è la diminuzione delle tasse, l’accusa più rovente che l’opposizione fa al governo e che ha aumentato le tasse ed esso da questa accusa si difende non affermando il principio che “tassare sia giusto”, ma che non ha aumentato il carico fiscale. È evidente che esiste una diseguaglianza anche nel sistema fiscale, ma questa è altra faccenda.
Il governo ha lanciato una campagna, si spera seria, contro l’evasione fiscale, arrivando fino alle pene detentive per i maggiori evasori (considerati dei “ladri”  e come tali punibili). Bene, ma il governo ha fatto finta di non vedere la ricchezza di quel famoso 1% (che si ingrassa in parte anche attraverso l’evasione fiscale), una imposta sui maggiori patrimoni sembra un’eresia del “buon governo”. Ma è chiaro che quello della patrimoniale, della fiscalità sulle successioni, ecc. costituiscono un piccolo passo nella direzione giusta. Esse, infatti, danno una indicazione antropologica di vita: non dannatevi per accumulare, mettete le vostre energie nel godersi la vita, la gioia degli amori, i paesaggi, la lettura, l’arte, il mare, ecc., perché se accumulate oltre un certo limite lo Stato ve lo toglie, e ve lo toglie per il bene di tutti ma anche per il vostro bene.        

        

sabato 5 ottobre 2019

Meno parole in libertà e più consapevolezza



Diario
5 ottobre 2019

Se non stanno attenti finisce che questo governo si sfracella su un mucchio di parole in libertà e prive di connessione logica tra di loro. E se il capofila è Matteo Renzi, i ministri non sono da meno; ciascuno nella propria individualità propone cose più o meno giuste e significative, il problema è che nessuno prima si premura di cercare l’accordo nella compagine di governo, per cui poi bisogna fare ignominiosamente marcia indietro. Mentre ciascuna parte tenta di attribuirsi i meriti di qualche provvedimento, a memoria delle prossime elezioni (che se non si correggesse questo stile di governo arriverebbero  molto presto). L’impegno speso per formare questo governo risulterà inutile, con grave danno di tutti i cittadini.
Per esempio alcuni capi delegazione (una nuova terminologia di questo governo) si dichiarano contrari ad ogni aumento fiscale ma pretendono maggiori investimenti, non è chiaro come finanziarli. Ci sarebbe la riduzione delle spese militari, ma ... Il prelievo fiscale appare in questa versione una vessazione, non il necessario contributo di ciascuno per le spese collettive. Si può dire che il prelievo non è equilibrato e che il principio della progressività non è applicato con coerenza, si potrebbe correggere questo, ma non si vuole. L’assoluta opposizione verso una qualche imposta patrimoniale è il ritornello  di tutti a cominciare dal presidente del consiglio e giù per i rami di tutti gli altri. Capisco Berlusconi, ma perché ministri e capi delegazione del governo garantiscono che non ci sarà e non si pensa ad una tassazione del genere. Cosa ci sia di scandaloso in una tassa patrimoniale non è chiaro. Studi, analisi, libri, ecc. ci raccontano di una spaventosa concentrazione e aumentata anno per anno di ricchezza in poche mani (l’emblematico 1% della popolazione). Non bisogna essere comunisti, né avere in odio il capitale per pensare che sarebbe normale che la fascia di popolazione che ha accumulato maggiori ricchezze contribuisse in misura maggiore, eccezionale e duratura, alle spese della collettività. Non sarebbe scandaloso un loro contributo “eccezionale” di una certa consistenza nel momento di difficoltà, e poi un contributo normale che rispettare il criterio della progressività.

 Quello che credo la maggior parte della popolazione considererebbe ragionevole, per i nostri uomini di centro sinistra (?) non lo è, peggio sarebbe un errore, ma forse, questo non è chiaro,  si considererebbe una ingiustizia.
Fossero dei lacchè del capitale lo si potrebbe capire, ma si tratta solo di ignoranza e viltà, e di essere vittime di luoghi comuni (come la vendetta del capitale se fosse toccato). Si tratta di un passaggio fondamentale per misurare il tasso di progressismo (non di rivoluzianismo) di questo governo.

martedì 1 ottobre 2019

Urbanistica: il coraggio di andare oltre

La scomparsa di Bubi Campos  Venuti costituisce un ennesimo impoverimento della cultura Urbanistica del nostro paese. In breve periodo Bernardo Secchi, Edy Salzano e Bubi Campos Venuti se ne sono andati, tre personalità di grande rilievo in permanente contrasto tra di loro e più ancora  con establishment dell’urbanistica e della politica, ma tutte tre con una comune visione: fare Urbanistica è fare politica, o al contrario fare politica per la città significava fare Urbanistica.
Tutti perdiamo dei colleghi, alcuni degli amici e dei interlocutori, magari con cui si è polemizzato e talvolta litigato, ma certo ad alcuni mancheranno. Non vorrei essere frainteso aver messo questi amici (con livelli diversi di amicizia) insieme non significa omologarli. Erano molto diversi tra di loro, diverso era il loro atteggiamento  nei riguardi della disciplina ed anche  rispetto alla politica secondo le vicissitudini del nostro paese e non solo, ma tutte tre hanno rappresentato, pur nei diversi approcci, “scuole” di urbanistica  tra le migliori, così riconosciute  anche a livello internazionale.
Il loro lavoro è sempre stato ineccepibile? le loro elaborazioni incriticabili? Ma perché mai! i tre appartenevano ad una fase del pensiero urbanistico che si faceva forte, e su questo cresceva, della reciproca critica, niente veniva risparmiato, talvolta usando la diplomazia, ma molto spesso neanche quella.
E se Campos è stato il più esposto alle critiche, ciò dipendeva dall’essere stato assessore all’Urbanistica della giunta Dozza di Bologna e di aver delineato  una prospettiva futura per la città. Ma il suo riformismo non piaceva a “sinistra” ma non piaceva neanche al settore immobiliare. Lui che paziente non era, promuoveva la pazienza riformista. È  stato un buon assessore-urbanista, e Bologna gli deve molto. Non si tratta di un riconoscimento postumo quanto piuttosto dell’esito di un lavoro di “concerto” di cui si costatano i risultati.  Anche Edy  Salzano, in tempi diversi,  ha fatto l’assessore all’Urbanistica di Venezia, con non meno critiche e con molto meno successo (la Venezia di oggi né è testimone).  A  Bernardo nessuno ha “offerto” un assessorato (e son sicuro gli sarebbe piaciuto).
Ma bisogna stare attenti, il giudizio sull’esito, non coinvolge solamente l’opera dei singoli, i loro piani, le loro politiche, ma in misura determinante esso dipende dalla politica che ha o non ha accompagnato la loro pianificazione. In questo campo Bubi Campos è stato il più fortunato, la sua elaborazione ha goduto di essere inserita come parte fondamentale del “riformismo emiliano”.
Il contrasto alla  rendita prima e il consumo del suolo più recentemente hanno costituito dei capisaldi del loro pensiero, e se i due fattori possono risultare in contrasto tra di loro, sicuramente si configurano come fattori determinati di contrasto all’urbanistica.   
Il loro lascito disciplinare è codificato in molte opere e molti testi, ma compito dei giovani urbanisti non è quello dell’applicazione di questo lascito, quanto piuttosto di andare avanti, più avanti, con coraggio e sapienza a partire dall’antinomia esistente tra il capitalismo  e ambiente e giustizia sociale e … città. 

martedì 24 settembre 2019

In morte di Edy Salzano


Diario 
24 settembre 2009 

Con Edy abbiamo condiviso per molti anni lo stesso palazzo (Ca' Tron) e l'esperienza della facoltà di urbanistica,  è stato un compagno e un collega con il quale è stato  possibile sempre discutere e anche  dissentire, non poche volte, ma senza strascichi.
La sua curiosità  l'ha portato ad esplorare aspetti controversi della nostra disciplina, fornendo dei contributi illuminanti.  Il suo primo lavoro su Urbanistica e società opulenta, per la rivista Trimestrale ha mostrato fin dall’origine la sua concezione politica della città.
Edy pensava ed era impegnato affinché gli interventi di trasformazione urbana fossero caratterizzati non tanto da un generico interesse comune, quanto per migliorare la vita degli uomini e donne che la città vivevano e tra questi quelli meno fortunati.  
Da amministratore (Assessore all’Urbanistica del comune di Venezia) ha dato alla città un piano per il Centro Storico importante nella sua impostazione e nei suoi esiti, per altro abbandonato dalle giunte successive.
Dal DAEST e dalla Presidenza del corso di laurea in Urbanistica si è cercato di convogliare le forze per una qualificazione concreta e politica del governo della città.
Gli ultimi anni li ha dedicato alla gestione del suo blog, strumento non solo di informazione ma soprattutto di formazione, con questo ha continuato a “formare” giovani e ad esplorare gli aspetti sempre nuovi e non sempre felici  della vicenda urbana.
Gli ultimi anni ci hanno visto distanti per ragioni oggettive,  lo seguivo attraverso il suo  blog e qualche volta mi arrabbiavo;  ma la verità è che le nostre vite si allungano forse troppo, non siamo attrezzati e ciò ci  fa perdere. 
Non svelo un segreto dicendo che era un buongustaio e buon cuoco (per la festa del mio 70ntesimo compleanno ha preparato una sacher deliziosa)  ci scambiavamo ricette e se ne discuteva con serietà.   
E' la perdita di un collega, di un amico, di un critico dell’oggi ad occhi aperti e soprattutto di un interlocutore attento e vivace, una perdita che sentiremo, che la cultura urbanistica sentirà. Ma piace ricordare che  ha molto seminato con buoni frutti.


martedì 17 settembre 2019

Si spera che sia l’ultima stupidità di Matteo Renzi




Diario
17/9/2019

Doveva succedere ed è successo. Matteo Renzi ha, in prospettiva, un suo partito, oggi ha un gruppo di pretoriani che lo seguono per amore. È, infatti, quello che spinge i “suoi” deputati e senatori a seguirlo in una scelta senza motivazioni che giustifichino la lacerazione, non può che essere un sentimento di “amore”. Egli, non sa  che l’amore è sentimento caduco,  tanto più quello di deputati e senatori.
Nella lunga intervista rilasciata a La Repubblica, non si riesce a trovare una giustificazione politica a quest’atto, voler combattere il populismo e il salvinismo nella società, sembra un buon proposito, ma perché per fare questo è necessario un partito autonomo? Non credo che all’interno del PD qualcuno volesse e potesse ostacolare questo programma.
Non è per alcuni sgarbi subiti nelle designazioni governative, la motivazione espressa fa riferimento alla mancanza, nel PD, di una “visione sul futuro”. Si può forse convenire che il PD sia carente appunto di una visione di futuro, ma qual è questa visione annunziata da Renzi? Si riporta per intero la parte dell’intervista dedicata a quella che possiamo chiamare”visione sul futuro”  (poca cosa nell’insieme dell’intervista): “Mentre noi litighiamo sul nulla sta cambiando il mondo. L’intelligenza artificiale rivoluziona le aziende, la quotidianità, la vita nelle città: il populismo non conosce l’intelligenza artificiale, il populismo è stupidità naturale. Noi possiamo fare dell’Italia un laboratorio di innovazione spaventoso, mantenendo i valori di umanità e di umanesimo che abbiamo nel dna”.
Certo un’intervista non è il luogo adatto per illustrare un programma per il futuro, ma quanto detto è, per lo meno, generico e  non dice niente (aspettiamo la Leopolda)
Si potrebbero dire e pensare molte cose su questa ennesima manovra di Renzi; sulla sua voglia di stare in prima pagina (che da ora in poi diventa una necessità), sull’ambizione dell’uomo, sulla sua spregiudicatezza,  ecc. ecc. ma non ha senso e non vale la pena.
Quello che importa è capire se questa operazione finirà per colpire il governo, ridando grande spazio a Salvini. Renzi nega che questo possa avvenire, ma com’è noto e come l’esperienza insegna l’uomo non è degno di fiducia. Questo è quello che veramente interessa. Per combattere Salvini sono necessari  tre anni di stabile e operoso governo, si può solo sperare che Renzi non faccia una qualche ennesima stupidità.  Per quanto nobilizzata da parole auree questa della scissione non è altro che un’ennesima stupidità. L’idea di costruire un partito di centro, liberale e innovativo non fa i conti con la realtà del paese e dell’affollamento in questa aria, che comunque non riesce ad emergere (il consenso anche finanziario di imprenditori può far comodo ma non garantisce molto.

lunedì 16 settembre 2019

Ennesimo errore di Matteo Renzi


Diario
30 maggio 2018

Matteo Renzi commette l’ennesimo errore di personalismo.
È vero che nel momento in cui dopo l’elezione del  4 marzo Renzi ha decretato il confinamento del PD nell’astensione e la sua sistemazione ai bordi del fiume in attesa dei cadaveri dei suoi nemici (i vincitori: Salvini e Di Maio, soprattutto) per il  PD si prospettava un futuro tra l’incudine e il martello. Se si fosse realizzata l’alleanza Salvini-Di Maio, una prospettiva nera per il paese, il non avere saputo contrastare la realizzazione di questa alleanza sarebbe tutta ricaduta sul PD; così pure se si fosse realizzata una alleanza (difficile) tra il PD e Di Maio, dall’elettorato del PD sarebbe stata vissuta, giusta la propaganda renziana,  come una schifezza (a meno di risultati straordinari di un tale governo ed allora il PD invece di pagare un prezzo guadagnerebbe un premio).
Il PD renziano appare insignificante: non in grado di contrastare la deriva a destra del paese, non in grado di costruire un’alternativa. Disattento agli interessi del paese e attento, non già all’interesse del partito ma piuttosto ad una farneticante rivincita dell’ex suo segretario. L’unica soddisfazione di Renzi e che insieme a lui affonda Di Maio (non 5*).
E se ora si andasse alle elezioni, questo evento non gradito sarebbe tutto caricato sulle spalle del PD. Ma anche se si andasse al Governo di tutti,  ipotesi gradita e avanzata da Renzi, il PD sarebbe e risulterebbe marginale (di fronte a Salvini, Berlusconi, Di Maio, la stessa Meloni, per non parlare di verdini,mentre a presiederlo non sarebbe un “uomo terzo”, ma un uomo indicato dalla destra); se poi da questo governo di tutti fossero esclusi  i 5* per l’odio di Berlusconi e Renzi, questo sarebbe un grande ricostituente per 5*, oggi in apparente declino.
Alla fine il PD si avvia ad essere schiacciato  tra l’incudine e il martello,  mentre Renzi a quel punto si farà il “suo” partito, sognando il successo di Macron, ma sarebbe  l’ennesimo e si spera ultimo suo errore, mentre la sinistra si dovrebbe acconciare a tanti anni di governo della destra.
L’evoluzione di questa fase non è perfettamente prevedibile, le mie possono sembrare farneticazione, un cosa appare chiaro il declino del PD e lo spazio risicato per la costruzione di una sinistra, ma anche qui mancano idee, pensieri, narrazioni, come si dice, ma ci sono troppi leader.


Cancellare la povertà


Diario
29/9/2018

Cancellare la povertà

Volere abolire la povertà mi pare un obiettivo degno di sostegno, chi potrebbe essere tanto malvagio  che da una propria posizione di non povertà possa volere che quella condizione possa permanere per gli altri.
Eppure le dichiarazioni roboanti di Di Maio, dei suoi colleghi del movimento 5* e dei  suoi conviventi nel governo non paiono convincenti, anzi sembrano  falsi; o forse quando urlano, ridono e cantano vittoria annunziando di cancellare la povertà mostrano  la loro ignoranza circa le cause che generano la povertà.
Storicamente tutti i sistemi sociali che si sono avvicendati nella storia hanno prodotto povertà e poveri, cosa che forse spinge a collocare la povertà nell’inevitabilità. Si tratta di un convincimento molto generalizzato, tanto da dar luogo in certi casi a delle politiche pubbliche (come quelle annunziate dal governo Verde-Giallo) finalizzate ad attenuare le condizioni di povertà (i sistemi di Sicurezza Sociale) e non a cancellarla.
Tutti i sistemi sociali mostrano chiaramente che essi sono costituiti da delle forze sociali che si muovo allo scopo di accumulare ricchezza a scapito di altri. Il sistema capitalista da questa spinta è sostanzialmente generato e condizionato.  Quando diciamo che c’è una fortissima diseguaglianza nella distribuzione del reddito (tra l’1% della popolazione più ricca e il resto) diciamo che quel meccanismo di cumulazione funziona, ha funzionato e continua a funzionare.    
Un qualsiasi progetto per cancellare, o anche solo per diminuire la povertà non può non partire da un’analisi attenta e puntuale delle cause e quindi cercare di incidere su queste.  Mi pare di capire che il governo e le forze che lo compongano individuano nell’assenza di lavoro la causa della povertà, ma quale è la causa dell’assenza del lavoro? Una domanda languente, certo anche questo, ma non solo, per questo  ritengono che i provvedimenti previsti (reddito e pensione di cittadinanza)  potrà mettere in moto la base produttiva e per questa strada eliminare o ridurre la povertà. Nessun provvedimento che riguardi il sistema sociale, nessun approccio che guardi ai meccanismi del sistema di produzione sociale capitalista. 
Certo a questo punto capisco che mi si potrebbe attribuire il richiamo alla necessità della “rivoluzione”. Si, è così, ma non di questo voglio parlare,di qualcosa che si può fare senza ancora fare la rivoluzione.
 Mi pare di aver sentito o letto che i soldi ci sono e vanno prese dove sono, ma non mi pare che i provvedimenti annunziati attingono ai forzieri dove la ricchezza si accumula.
Il reddito di cittadinanza, o come si chiamerà, la pensione di cittadinanza, o come si chiamerà, possono essere provvedimenti giusti che colgono, diciamo cosi, una emergenza (permanente), ma la loro significatività si misura non con le motivazioni politiche ma con i meccanismi che sono individuati perché questi provvedimenti senza essere risolutivi appaiono muoversi in un campo di trasformazione (non siamo a fronte di un governo dei cambiamento?).
Per realizzare i provvedimenti annunziati il governo ha bisogno di risorse finanziarie, dove le prende?
Intanto dalle pensione d’oro, che possono essere uno scandalo, almeno alcune, ma sicuramente non sono una fonte di risorse adeguate agli obiettivi.
Il secondo fondo è quello dell’evasione fiscale, tema ricorrente, ma contraddittoriamente si vara anche un  condono per i casi “pendenti”.
La ricchezza mal distribuita si tocca? assolutamente no! anzi il governo si appresta  ad un bel regalo ai più ricchi con la cancellazione della progressività dell’imposizione fiscale.  Non solo ma a questi si offriranno titoli di stato con rendimento aumentato.
La retorica della riforma del popolo, di un DEF del popolo, sta tutta qui. Se uno  ha un tumore alla testa e come cura si offre un cachet, lo si prende in giro, così il popolo sta per essere preso in giro. Avrà un lieve sollievo ma poi i dolori torneranno più forti di prima.
Le risorse sono state prese la dove si sono accumulati, certo, ma non prelevati con le forme fscali previste, ma piuttosto presi in prestito e pagati più cari.
Secondo la filosofia di questo governo non mi meraviglierei se alla fine per ridurre il debito pubblico non facciano con il canone televisivo, una qualche quota del debito verrà attribuita ad ogni famiglia e riscossa con la bolletta energetica.

Dopo il 4 marzo



 Diario 10/marzo/2019
Ci sono degli avvenimenti che lacerano la rete dei nostri riferimenti e che ci spiattellano   l’inconsistenza della nostra conoscenza della realtà. Avevamo una idea del mondo che non corrisponde completamente alle trasformazioni avvenute. Una ignoranza dettata da pigrizia, dall’essere affezionati ai nostri idoli, di cui si era in parte consapevoli ma che, in un certo senso, l'allontanavamo per paura. La trasformazione dell’essenza dei rapporti sociali di produzione, gli effetti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia, l’aumento delle diseguaglianze  sociali, l’emarginazione di molto lavoro, la modifica dei riferimenti culturali, la trasformazione delle relazioni sociali, l’individualismo esasperato, l’egoismo, la violenza come essenza dell’individuo, l’incapacità di riconoscersi in altri, la diversità, di qualsiasi tipo, assunta come “vezzosa” conquista ma anche come insopportabile…di tutto questo si aveva cognizione ma contemporaneamente i nostri occhi erano opachi e non riuscivano a distinguere forme e colori del quadro complessivo.
Sentivamo che molti dei valori ai quali eravamo legati, come libertà, uguaglianza, solidarietà, accoglienza, giustizia sociale non vivevano più come sistema nervoso della nostra società, ma ci sembrava di dover attribuire, questo nostro sentire,  al pessimismo.
Ma ecco che il 5 di marzo questa società e le sue trasformazioni si materializza sotto forma politica. Una società che molti di noi non riconoscono e nella quale non vogliono riconoscersi diventa evidente. Ma mettere la testa sotto la sabbia non serve a niente. Credo che anche in questa situazione si può essere comunisti o progressisti o anticapitalisti,  forse questa società più di ogni altra ha bisogno dei contenuti della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello spirito di accoglienza. Ma essere comunisti significa fare i conti con la società reale, non con una immagine di essa. Non intendo dire che la politica, in particolare la politica progressista e riformatrice possa essere un semplice adagiarsi sulle pieghe della società, deve influire, determinare, contenuti e senso di questa società a partire dalla precisa conoscenza della realtà e da un disegno di futuro. Chi ci dice che non sia più possibile fare progetti di futuro,  in realtà ci vuole convincere , con successo, che non siamo padroni del nostro destino, altri penseranno e si adopereranno per noi.

Se il “populismo” è l’adesione alla pancia, come si suole dire, della gente, non occuparsi della pancia è sintomo di insufficienza politica. Una politica di progresso è una politica di ragioni, è una politica che fa ragionare, ma non basta avere ragione, questa deve diventare senso comune, deve essere patrimonio della maggioranza delle persone: è questo è il lavoro politico. È chiaro che in una società che cambia, mostrare le proprie ragioni è più difficile, ci vuole più impegno e intelligenza politica. Per andare contro corrente i vogatori devono non solo avere ragione, non solo cogliere la realtà, ma avere anche muscoli formidabili.

Il capitalismo ha ormai concluso la sua spinta progressiva, i sintomi sono molto evidenti;  sempre più tede a trasformarsi in un regime di vessazioni e di violenza, la sua crisi come regime sociale si proietta negli individui, ne avvelena le relazioni, ne esaspera le aspettative individualistiche, frustra ogni speranza. I medici attenti ci dicono che cambiare si deve e si può, e che solo nel cambiamento sarà possibile utilizzare a beneficio di tutti le grandi risorse della scienza, della tecnologia e della cultura disponibili,  ma che senza una modifica della natura della società questi elementi possono essere (sono) strumento di oppressione e di degrado sociale. La sapienza dell'homo sapiens ha consistito, in questi milioni di occupazione della terra, nella sua capacità di cambiare continuamente l'organizzazione sociale, e se questo non è avvenuto mai in forma egualitaria, per molte ragioni non ultima la dimensione delle risorse disponibili, oggi siamo al paradosso, abbiamo risorse per tutti, ma un’organizzazione sociale e di potere che discrimina e privilegia. Il rinascimento per l'intera umanità può avvenire soltanto abbattendo gli ostacoli individuati.
I risultati delle ultime elezioni sono state una sorpresa? In parte, le tendenze erano evidenti; per molti di noi un’enorme frustrazione, per i partiti di sinistra (sic!) e progressisti un terremoto solo in parte inatteso. Discettare su quale sarebbe stata una sconfitta onorevole, o quale cifra percentuale avrebbe segnato la disfatta sono i sintomi di un ottimismo di facciata che sperava nel miracolo che è mancato.
Cercare gli errori, accusare dei cattivi risultati gli scissionisti o, al contrario, l'incapacità di liberarsi del tasso di pduismo portato nella nuova formazione; cogliere difetti programmatici, carenze propagandistiche, ecc.  pare il segno di una incomprensione: non avere consapevolezza del deficit di conoscenza accumulato circa la natura del sangue che scorre nelle vene della società. Continuare a pensare che poteva essere diverso,  perché i piccoli aggiustamenti avevano garantito e avrebbero garantito di soddisfare la domanda popolare. Può darsi che mi sbaglio, faccio un errore di ottimismo, ma credo che le scelte delle persone sono state dettate dall'assenza di un disegno di futuro. L'assenza di una linea di costruzione tra passato, presente e futuro, la maggioranza ha scelto l'offerta più ricca, quella che sembrava liberarla dalla paura, quella che promuoveva un nuovo che più vecchio non poteva essere. Chi giustifica la sconfitta del PD perché riconosciuto partito della borghesia. Cosa pensa che siano 5* o FI o anche la Lega? E che dire allora del misero risultato di UeL? I giovani, le donne, i votanti aspettavano una narrazione, come si dice oggi o era già ieri, del futuro, ma questa la sinistra non è stata capace di offrirla, allora si lasciano affascinare da una identità meschina più rivolta al passato che al futuro, o un incerto baldanzoso giovanilismo (ormai in giacca e cravatta).
Credo che i problemi più grossi e rilevanti in un prossimo futuro li avranno i vincitori di oggi, le loro offerte sono miserabili e non al livello di quello che la gente sente nel profondo; non parlo della loro capacità di fare o non fare un governo, né della difficoltà di trovare le risorse per quanto promesso, si tratta di qualcosa di più profondo:  del mantenimento di un sistema sociale che tutti sentono decrepito e in agonia (qualsiasi sia l'apparenza che offre). Gli sconfitti di oggi hanno nel loro dna, come si suol dire, ma più correttamente alcuni di loro hanno nella loro cultura i giusti elementi per affrontare la situazione, ma a due condizioni, da una parte avere coscienza e consapevolezza della realtà e dei suoi mutamenti (il che comporta qualcosa di diverso che tornare nel “territorio”), dall'altra parte, rielaborare gli strumenti e i mezzi necessari per trasformare questa realtà sociale, per immaginare e pensare che può esserci un mondo senza il Kapitalismo, ma liberarsene è impresa ardua, lunga e bisognosa di passaggi che non devono sembrare né oscuri né risolutivi. 
A Napoli direbbero "hai detto un prospero" (fiammifero), ma di questo si tratta, di svincolarsi dalla dittatura del presenta per immaginare un futuro attraente e desiderabile, sciogliere i nodi che ci legano a meccanismi di trasformazione ormai obsoleti per pensarne e sperimentarne di nuovi.

mercoledì 4 settembre 2019

Vincitori e ... pardenti



Diario 10/marzo/ 2019

Mi pare sia opportuno, a questo punto,  fare un bilancio di chi, tra i principali protagonisti della politica che si sono impegnati in questa fase, possa essere considerato vincitore o perdente. Non dico “sconfitto”  perché lo sconfitto presuppone una battaglia che non c’è stata.  Può sembrare un gioco, forse lo è, ma permette anche di considerare lo spessore dei singoli (in termini di intelligenza politica) protagonisti che resteranno sulla scena (almeno alcuni) per diversi anni.
Il primo dei perdenti è sicuramente Matteo Salvini, che ha scelto l’eutanasia.  La mossa di Salvini di sfiduciare il “suo” governo non è assolutamente comprensibile. Poteva continuare a governare, così come aveva fatto nei mesi precedenti, è arrivare alla fine della legislatura, avendo nel frattempo ridotta drasticamente la forza del movimento 5* e prosciugata Forza Italia. In più avrebbe potuto fortemente condizionare l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Vi pare poco? A tutto questo Salvini ha rinunziato suicidandosi politicamente. La sua mossa è inspiegabile se non con una ottenebrazione della sua mente, non poteva infatti pensare di trovare appoggi fuori dal centro destra per le elezioni. Sperare in Renzi, come sembra pensasse, era fuori da ogni possibilità razionale (non poteva sperare che anche Renzi di suicidasse). Forse la spiegazione sta nel fatto che Dio fa impazzire chi vuole perdere.
Il primo dei vincitori è sicuramente Giuseppe Conte.  Si può dire abile, si può dire opportunista, si può dire trasformista, si può dire impegnato per il bene dell’Italia, ecc. Una cosa va detta: il suo discorso al Senato di “distacco”, si fa per dire, da Matteo Salvini, a molti è piaciuto per quello che ha detto del suo ministro degli Interni, lo si è sentito con molto piacere,  ma sicuramente non è stato il discorso di uno statista, piuttosto una specie baruffa chiozzotta. Detto questo è sicuramente uno dei vincitori, si è proposto come il presidente dell’accordo tra M5* e PD ed ora siede su quel trono. Ma anche in questa vicenda non sono state poche le giravolte: prima ha fatto in modo perché lo si accreditasse come leader del M5*,  poi ha preteso di essere considerato super parter. Si può sperare che questa sua “duttilità” sia messa al servizio della nuova maggioranza e del bene del paese, anche perché la durata del governo farà il bene di Giuseppe Conte (non è disdicevole puntare su questo).
Il pessimo Matteo Renzi è un altro dei vincitori: si è subito speso per la nuova alleanza, sia per ragioni politiche sia per evitare le elezioni che avrebbero visto il suo gruppo decimato.  È  pensabile che nel prossimo futuro non faccia stupidaggini? È sperabile ma non c’è sicurezza. Ricordiamoci sempre che Dio fa impazzire chi vuol perdere. La sua promozione della nuova alleanza può essere stata dettata da scelte opportunistiche, ma anche, è sperabile, da una riflessione politica e dal considerare necessario di un periodo di decantazione per la società italiana.
Nicola Zingaretti è stato molto abile, non ha sbracato subito per l’alleanza, anzi ha tenuto il M5* sulla graticola delle possibili elezioni. Quando ha ceduto non si è fatto incantare dalla lusinga di una Vice presidenza, costringendo alla fine anche Di Maio ad arretrare. Tutta la trattativa governativa, sia per il programma che per la composizione ministeriale, è stata condotta con abilità e fermezza, e non era semplice data la sperequazione delle forze parlamentari tra i due.  Il segretario del PD è stato abile, intelligente e non furbo. È sicuramente un vincitore.    
Non facciamoci illudere dalle luci del Ministero degli Esteri, Luigi di Maio è uno che ha perso. Sul finale della trattativa ha preso un sacco di schiaffi, ha le guance dolenti. La sua egemonia all’interno del movimento si è fortemente ridotta (i risultati della consultazione non sono stati a lui favorevole, egli sperava in una maggioranza di “si” ma non così massiccia).  Il Ministero degli Esteri (che è da considerarsi un regalo) è bestia difficile, bisognerebbe essere “provveduto”, mentre il nostro brilla per essere uno sprovveduto. Speriamo che per il bene del paese lo controllino e lo supportino con attenzione e continuità.

Oggi  il governo c’è, bisogna essere soddisfatti. Non si possono fare valutazioni sulla base dei nomi. Piace che il PD abbia completamente rinnovato (meno 1) la sua delegazione. Il giudizio sul governo e come quello sul budino, bisogna mangiarlo. Aspettiamo, né ci incantano i programmi (20 o 39 punti che siano), lo vogliamo vedere all’opera, soprattutto sui punti caldi.     
          

martedì 27 agosto 2019

Beati i mercanti perché hanno le orecchie apposite

La vicenda di Matteo Salvini tra le altre cose indicava due strade impervie che l’hanno portato al disastro: in una alleanza politica l’aggressività finisce per rompere le uova, inoltre è stato chiaro che la virtù di un leader politico non può essere la “furbizia”, ma piuttosto l’integrità, la trasparenza e il senso della misura.
Luigi Di Maio non ha capito, non poteva capire perché dotato di apposite orecchie. Non solo a copia conforme: alla Milano Marittima di Salvini si replica con Palinuro, anche se, almeno finora, privo di proclami eclatanti e inconcludenti.
Cosa vuole Di Maio è sempre meno intellegibile. Non vuole le elezioni, legittimo, ma pensa di ottenere questo obiettivo umiliando il PD, tattica molto rischiosa. Vuole ancora Conte a palazzo Chigi? Se questo fosse veramente l’obiettivo procedere con gli aut aut rischia o di fallire o se riuscisse metterebbe l’alleanza sul piede di guerra e dovrebbe pagare un prezzo salato. Ma c’è chi sospetta che con questa mossa punti alla rottura pronto ad accettare palazzo Chigi offertogli dal Salvini. In questo modo oltre che ridurre tutto ad una farsa pagherà a breve un prezzo elettorale pesantissimo. Tra i due è Salvini il più furbo e gode di un retroterra più sicura. C’è inoltre chi pensa che si tratti di mosse in funzione di una lotta interna a 5*, ma di questo non conviene occuparsi.
Ammettiamo che gli obiettivi del movimento 5* e di Di Maio fossero quelli dichiarati, il leader 5* stelle se non fosse furbo ma intelligente, se fosse caratterizzato da integrità e trasparenza e se fosse stato determinato e non ancora sicuro dello sbocco desiderato, si sarebbe comportato diversamente. Avrebbe aperto la trattativa sul programma, è una volta raggiunto un accordo soddisfacente e utile, avrebbe potuto fare il nome di Conte e forse, con fatica e pagando il prezzo congruo, sarebbe riuscito allo scopo.
Così come ha fatto rischia di trovarsi in un angolo e se furbamente punta sulle divisioni interne al PD non è escluso che si trovi con un pugno di mosche, esautorato nello stesso suo movimento è coperto di ridicolo.
Appare necessario cambiare pagina, la politica è un’attività seria che ha bisogno di molte virtù e soprattutto deve fare a meno di furbizie. Le trasformazioni economiche, sociali e culturali di cui il paese ha bisogno grida urgenza e serietà e una dose di professionalità non piccolo. Avevo pensato che nonostante le difficoltà potevamo essere ad un nuovo inizio, ma forse mi illudevo.

mercoledì 21 agosto 2019

Matteo Salvini, un eroe del nostro tempo


Diario

Matteo Salvini un eroe del nostro tempo.

Si sapeva che Salvini sarebbe finito male, il suo rumoreggiare non gli assicurava un successo permanente. Quello che non si poteva immaginare era che la sua caduta fosse il “ lucido” disegno di un suicidio politico.
Salvini poteva volere le elezioni, per la sua gloria e per ridimensionare i 5*, ma non poteva non fare i conti con le forze e gli interessi in campo. Ha pensato veramente che in parlamento forse disponibile una maggioranza per le elezioni? Se pensava questo si tratta di un pensiero senza fondamento. Egli sicuro del centro destra ha pensato che fosse della partita anche il PD, nessun dubbio in proposito?
La sua replica alla requisitoria del presidente del consiglio Conte, è stata modesta, ma come se non bastasse carica di richiami a “continuiamo a lavorare insieme”, che dopo quanto aveva detto Conte sembrava una proiezione dei suoi desideri senza fondamento, fino alla farsa finale del ritiro della mozione di sfiducia al governo. Un gesto quanto mai inutile, ma pieno di furbizia, come è tipico dell’uomo: una mossa da usare nelle piazze per allontanare la responsabilità della crisi.
Si potrebbe dire Salvini è un furbo politico ma senza statura. Ma siamo sicuri che di questo si tratta? Non so se sia furbo, ma mi pare impersona come meglio non si potrebbe un eroe del nostro tempo. Un tempo povero di ideali, in cui tutti sono impegnati ad ammirare il proprio ombelico, di egoismi sbandierati come principi, insensibile nei riguardi della sofferenza dei propri simili, dove ciascuno interpreta il bene comune come il bene proprio. Un tempo che sorvola sulla persona perché affascinato dall’ immagine, non è il reale che si insegue ma il palcoscenico dell’apparenza. Un tempo nel quale cinismo ed egoismo possono anche declinarsi in finte rappresentazioni di solidarietà.
Non è il potere che turba la mente è la saggezza di un leader ma è lo stato della società che pretende leader così attrezzati per interpretarla. Questo ci richiama ad una azione politica di rifondazione di una società più coesa, più razionale, più attenta, più colta, più consapevole, più mossa da ideali di giustizia sociale, di equità e di comprensione.
La società non è sana ma nel suo corpo vivono germi sani, germi che vogliono il cambiamento profondo e radicale. Riattivare questi germi non sarà facile, ma provare si deve, speriamo di averne la forza e l’intelligenza.


venerdì 16 agosto 2019

e ora?

“E ora?”, questa è la domanda che molti compagni si fanno, e la domanda che si legge negli occhi di molti
 interlocutori. Domanda legittima, niente può essere dato per scontato. Ma quello che sembra mal posto
è il senso “depressivo” che si coglie. Intanto bisogna sorridere, Salvini non ha imposto le sue regole
ed è finito in minoranza in parlamento. Una prima battuta d’arresto in una marcia trionfante; un carro
armato colpito nei suoi cingoli e non in grado di guidare la sua direzione rischia di diventare un ferro
vecchio inutile. Siamo a questo? Sicuramente no! Ma esistono le premesse che questo possa avvenire.
L’unico che abbia convenienza ad andare a votare e Salvini, anche sulla base di una ricomposizione
(ancorché non pacifica) del centro destra. Ma un successo di Salvini sarebbe un bene per il paese? Non c’è da
crederlo: una politica nei riguardi dell’emigrazione quale quella imposta dall’ancora ministro degli interni
è uno schifo, la semina di odio è pericolosa, come pure l’autodifesa armata, l'attacco agli insegnanti definiti
comunisti perché non proni alle regole delle diseguaglianze per colore di pelle e al contrario portatori di
eguaglianza, per non parlare di tutta la partita economica. Tre anni di decantazione di questo blaterare
continuo di marca autoritaria e fascistengiante farebbe bene al paese. Matteo Salvini non sarebbe forse
un cattivo soggetto (mentre è sicuramente un “furbo” politico), ma è sicuro che il potere ha determinato un
qualche scompenso psicologico e nell’intelligenza, tanto da portarlo da trionfatore a “politico battuti”; un ciclo
quanto mai rapido e ingiustificato, mentre si arrovella sulla sensazione che un politico sconfitto perde molto del
suo ascendente e richiamo (gli esempi anche recenti non mancano).
Il movimento 5* non ha nessun interesse per il voto. La loro forza verrebbe fortemente ridimensionata,
mentre hanno bisogno di tempo per ricostruirsi una posizione politica meno demagogica e più razionale. Non
si tratta di buttare tutto al mare, non servirebbe a nessuno, sono importanti alcuni dei valori costitutivi che
hanno determinato il forte consenso dell’origine.
Lo stesso ragionamento vale per Liberi e Uguali.
Il PD è in in posizione complicata, vorrebbe sfidare Salvini al voto, ma in una fase ancora di “ricostruzione”
del partito e delle sue relazioni sociali con il corpo vivo della società. L’orgoglio non sempre è un buon suggeritore.
Mi pare che il PD dovrebbe ragionare sul l’interesse del paese, questo vuole il “centro destra Salviniano” lontano
dal governo. Si rifletta che c’è un paese da ricostruire nei suoi valori, nella sua capacità di accoglienza, nella
sua aspirazione alla giustizia sociale. Allontanare il voto farebbe bene al PD e ala suo segretario: ha ancora
molto lavoro da fare.
Certo diverse convenienze di parte non garantiscano un buon successo. Tentare con onestà e apertura la
formazione di un governo di legislatura è una cosa da fare, non tanto nell’interesse dei partecipanti, ma
nell’interesse del paese. Perché rimettere in sella Salvini e fare così danno al paese e incarognire ancora
di più la nostra società. Si può sostenere che non tutto è già scritto, ma mi pare di un ottimismo senza
fondamento  l’idea che dalle urne il centro destra salviniano esca sconfitto. Il voto subito mi sembra un regalo
non meritato a Matteo Salvini. Dobbiamo saperlo e non meravigliarci dopo. La battagli politica vuole oggi
impegno.


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