mercoledì 7 febbraio 2018

Le liste elettorali e il declino delle “comunità politiche”

Diario
6-7  febbraio 2018



Da sempre la formazione delle liste elettorali sono stati un momento di tensione all’interno delle diverse forze politiche, ambizioni personali e divergenze politiche si amalgamavano in un contesto conflittuale. Tali tensioni si sono aggravate quando hanno cominciato a prevalere sistemi elettorali che, con formule diverse, richiedevano liste bloccate. L’essere o non essere in lista diventava discriminante per l’elezioni. Questi sistemi avrebbero dovuto correggere le storture del  voto di preferenza, che  nel nostro paese non ha una buona tradizione, soprattutto in certe  regione del mezzogiorno ha facilitato collusioni con gruppi di potere, non raramente criminali, è stato quasi sempre elemento di “corruzione” dell’elettore e dell’eletto,  e ha fornito quote di  “personale politico” di dubbia levatura e onorabilità.
La lista o il listino bloccato sarebbe, in questo senso, una soluzione qualora le forze politiche da una parte fossero cresciuti sempre più come “comunità politiche” e dall’altra si fossero  radicati nel territorio o nella società. Ma questi connotati sono sempre più evaporati lasciando scheletri senza carne che, come i burattini, si possono manovrare a piacere.
Se si osservassero i “lavori” (si fa per dire) per la preparazione delle liste per le prossime elezioni si metterebbe a nudo una completa trasformazione delle “forze” politiche (partiti, movimenti, associazioni, ecc., come piace chiamarsi) che  hanno dato piena e completa dimostrazione di non essere una comunità politica, ma solo strumenti in mano al “capo” del momento.
Le cronache raccontano di riunioni di poche persone (il “capo” e i fedelissimi), blindati in stanze, spesso telefonicamente scollegate, a stilare elenchi, a spostare persone, a premiare amici fedeli, a penalizzare i tiepidi, ecc. Lo schema è unico: in parlamento il capo deve avere un gruppo di soldatini fedeli. Volerlo non è poterlo; la presente legge elettorale, che dà grande potere ai partiti (o meglio al capo), ma che, contemporaneamente, data la non stabilità elettorale,  non permette una valutazione precisa dei “posti sicuri”, ha dato come esito un vagare dei candidati che il capo vuole in parlamento, da una città ad un'altra, da una regione del nord al sud. I candidati “paracadutati”  (come si dice)  non sempre risultano ben accetti dagli elettori locali, che li trovano estranei, non legati al territorio, ecc. (il paradosso è quando quello che è stato un buon sindaco nella sua città viene presentato in tutt’altra regione; per garantirlo? Per fregarlo? Si vedrà dopo, ma certo i suoi legami con il territorio dove è candidato sono labili).  
Così è avvenuto nel PD, dove il capo,  così ha esternato, vuole avere un gruppo fidato per qualsiasi manovra deciderà dopo il voto. Il dato caratteristico non è neanche la coesione politica, quanto piuttosto la “fedeltà”, il domani non sarà determinato da un dibattito politico, quanto piuttosto da quello che il capo deciderà essere la cosa migliore. Così di gran lunga prevalenti i candidati fedeli, penalizzati le minoranze di opposizione, ma anche i tiepidi.
In Forza Italia abbiamo il paradosso dell’avvio del turnover dei gruppi dirigenti nelle imprese del padrone attraverso il trasferimento di un consistente gruppo di attuali dirigenti dalle imprese al parlamento.
La Lega non è stata da meno, sono stati fatti fuori, almeno così raccontano le cronache, non solo gli amici di Maroni, ma anche quelli del potentissimo presidente della regione Veneto.
Il “capo politico” del movimento 5* (questa è l’appellativo di Di Maio), ha combinato tanti di quei pasticci che fa un po’ pena. L’algoritmo non ha potuto risolvere tutti i problemi, e poi la dichiarata volontà di pescare il meglio dalla società civile ha fatto il resto. Certo il “capo politico” non poteva sapere, perché incapace e perché gli strumenti in suo possesso dimostrano la loro vacuità e incapacità di cogliere il segno, che l’ammiraglio che non orgoglio doveva essere “portato” in parlamento era consigliere comunale per un altro partito. Quello che meraviglia ancora di più è la sfrontatezza dell’ammiraglio che consigliere comunale del PD trova del tutto naturale candidarsi al parlamento per 5* (e, la società civile!). Certo il “capo politico” corre ai ripari, fa firmare inutili atti di dimissioni se eletto ad un candidato impresentabile, depenna a destra e a manca, ma non si tratta di un bello spettacolo, se questi sono i noti, degli ignoti chi garantisce?
Ma lasciamo stare il folclore e guardiamo alla sostanza. Il problema che è emerso, con troppa evidenza per non essere guardato negli occhi, è la fine di ogni dinamica democratica interna a queste organizzazioni che continuiamo a chiamare partiti ma che sono solo delle organizzazioni elettorali al servizio ora dell’uno ora dell’altro. È evidente il manifestarsi di una sorta di totalitarismo organizzativo che non può non influenzare la società.
Non è possibile meravigliarsi se la percentuale degli astenuti, di quanti non vanno a votare o di quanti annullano la scheda, tende ad aumentare. Né ci si può consolare osservando che si tratta di una tendenza mondiale. In realtà si è creata una frattura profonda tra la società e le organizzazioni politiche, tra la società e le istituzioni pubbliche, del resto l’episodio della formazione delle liste è un esempio lampante della “solitudine” della politica. Ma quello che pare in gioco non è questa o un’altra occasione, quello che pare messo in discussione è il tono democratico di un paese. Quella che è in discussione è la relazione tra una qualche forma di democrazia e l’attuale assetto sociale ed economico. Né vale essere distratti e poi scendere in piazza quando il peggio è già avvenuto (comunque scendere in piazza fa sempre bene)  
Quanti articoli e libri abbiamo letto nei quali la soluzione della crisi di democrazia era individuata nel  rapporto telematico, ma mi pare si possa essere scettici, il rapporto telematico dimostra tutta la sua inefficacia, la sua volatilità e la trasformazione della “scelta politica” in un gioco di cui non si conoscono le regole, o diciamo meglio qualcuno di volta in volta piega le regole al suo interesse.
La politica non è più in rapporto con la società. Alcuni gruppi di potere  fanno la politica, per lo più mentendo e raccontando frottole, intorno ad un capo che “sfonda lo schermo”; esiste un gruppo di persone appassionate, si potrebbe dire dei viziosi, che si interessano ai fatti della politica, un gruppo  sempre più sottile, una sorta di club amante del picchio rosso; il resto della società pensa ad altro, o meglio pensa ai fatti propri che cerca di realizzare in modo lecito, in modo quasi lecito o in modo illecito. Tra questi ci sono gli elettori, sempre meno, a cui i politici sono interessati. Come conquistarli? Il modo tradizionale è quello della “promesse”, promesse campate in aria, non realizzabili e senza scadenza. ma ormai il disincanto è molto avanzato: la gente sempre meno fa affidamento alla politica, fa finta di crederci, la gente è buona, applaudisce anche, ma poi  punta su se stessa ed alimenta un individualismo sfrenato e viscerale.   
Ma i politici riescono a immaginare della cose che sono fuori dalla portata di noi umani: per superare l’indifferenza e la sordità niente di meglio che alimentare la paura. Non ci siamo mai liberati dalle nostre paure infantili: il lupo, l’orco, l’uomo nero,…il nostro mondo infantile è pieno di mostri, non ci pensiamo ma essi lavorano dentro di noi. Il meglio è svegliare questi mostri; diffidare bisogna, ciascuno è nemico a te, ma alcuni sono più pericolosi, uccidono, stuprano, rubano. Devi difenderti, bisogna cacciarli. L’immigrato è il mostro dei nostri giorni; mi domando spesso a quanti bambini si racconta non più del lupo cattivo, ma del negro terribile.
Il fascismo militante, con le sue ronde, con i suoi pestaggi, con le sue sparatorie, dice dovete aver paura, noi vi difendiamo, vogliamo difendere la razza, la nostra razza, dovete affidarvi a noi. Loro di razza se ne intendono, milioni sono gli ebrei che i loro padri politici hanno mandato nelle camere a gas. Questi potrebbero essere spazzati via, la violenza, i traffici che gestiscono, ecc. sarebbero più che sufficienti per ridurli all’impotenza. Loro non sono un pericolo diretto, ma fanno clima. I veri pericolosi sono quelli più o meno in giacca e cravatta, più o meno membri del parlamento o aspiranti tali, che giudicano le violenze dei primi delle ragazzate, ma con i loro discorsi, piene di menzogne di esagerazione, di negazione dei diritti civili, che enumerano le centinaia di miglia di immigrati clandestini che dovrebbero essere mandati via, rimpatriati, alimentano la paura. Sono questi che cercano di pescare nella massa disincantata ma impaurita. Sono questi che invitano i cittadini a denunziare dove si annidano i clandestini. Ma fanno finta di non saperlo, mentre lo sanno tutti, basta andare in campagna durante la raccolta del pomidoro, o altri periodi critici e la si trovano, ma quelli servono, si tratta di manodopera pagata pochissimo e super sfruttata gestita dalla organizzazioni criminali. Questi devono essere lasciati allo stato di clandestini, senza diritti per poter essere meglio sfruttati.

L’avevo già scritto un’altra volta, gli umori della nostra società non mi sembrano, come dire, democratici, ma virano verso forme nuove di fascismo, verso la richiesta di un “potere forte” di cui il totalitarismo organizzativo mostrato dai partiti in questo scorcio di febbraio fornisce un esempio e una guida.