mercoledì 26 febbraio 2014

Renzi, giro di boa per il Pd










Affermare – come ha fatto Matteo Renzi nell'introduzione alla nuova edizione di "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio – che il Pd non intende più collocarsi a sinistra conclude l'ultimo giro di boa del partito democratico. Simbolico, ma fa impressione che questo arrivi proprio quando in Italia si superano i 4 milioni di senza lavoro

Si conclude, con il nuovo governo e la sua carta di identità allegata su Repubblica da Matteo Renzi, l’ultimo giro di boa simbolico del Pd. Simbolico, perché nelle scelte concrete era già consumato da un pezzo, ma dare il vero nome ai fatti non è cosa da poco (non è passatempo da giorni festivi, come verseggia Eliot a proposito del nome da dare al proprio gatto). Che il Pd precisi come la sua immagine non debba più essere a sinistra, o di sinistra, riconoscendo come sola discriminante culturale e sociale “il nuovo e il vecchio” non è una gran novità, il concetto ci svolazza attorno da un bel pezzo, ma affermare che il Pd non intende più collocarsi a sinistra resta uno scatto simbolico rilevante. Non solo infatti, come taluni vagheggiavano, non è più in grado di compiere scelte di sinistra, poniamo, da Monti, ma neppure mira più a farle e a questo scopo ha scelto come proprio leader “Matteo” per chiarirlo una volta per tutte. Non in parlamento – nessuno, a cominciare da Giorgio Napolitano ha tempo da perdere – ma su un giornale amico e a governo varato.

Lo fa prendendosi qualche licenza culturale, come citare Norberto Bobbio contro Bobbio esempio di chi, se aveva ragione in passato, non l’avrebbe più oggi, quando la distinzione tra destra e sinistra non avrebbe più senso. Pazienza, oggi ne vediamo di ben altre. Fra le innovazioni trionfanti c’è che ciascuno riveste o spoglia dei panni che più gli aggrada il defunto scelto come ispiratore. Più significativo è che il concetto archiviato indicava il peso assegnato da ogni partito alla questione sociale e dichiararla superata proprio mentre si sfiorano e forse si superano i quattro milioni di senza lavoro, fa impressione. Forse per questo l’ex sindaco di Firenze si era scordato di informarci su quel job act che doveva presentare entro gennaio; ma in primo luogo non risulta che durante le consultazioni qualcuno glielo abbia ricordato, in secondo luogo nel governo se ne occuperà la ministra Guidi, donna imprenditrice esperta in quanto allevata dal padre confindustriale.

Sappiamo dunque che dobbiamo attenderci con il nuovo esecutivo e dobbiamo al Pd tutto il peso, visto che né la sua presidenza né la sua minoranza gli hanno opposto il proprio corpo, al contrario hanno sgombrato il campo sussurrando come il melvilliano Bartleby “preferirei di no”. Della stessa pasta la stampa, affaccendata dal sottolineare lo storico approdo delle donne a metà del governo sottolineando il colore delle giacche e il livello dei tacchi, cosa che dovrebbe far riflettere le leader di “Se non ora quando”. Eccola qui l’Ora, ragazze, non si vede dove stia la differenza.

Il nuovo che avanza ha rilanciato anche Berlusconi, primo interpellato da Renzi per incardinare tutta l’operazione. Condannato da mesi per squallidi reati contro la cosa pubblica ad astenersi dalla politica è stato ricevuto non già dai giudici di sorveglianza, bensì dal capo dello stato per illustrargli quello che pensa e intende fare sul futuro del paese. Per ora appoggia Renzi, rassicurando i suoi che non è un comunista.

martedì 25 febbraio 2014

Renzi: il discorso di investitura




Diario 250

Nel suo discorso alle Camere Renzi aveva due strade, ambedue difficili.

Scegliere la strada del dettaglio programmatico: cosa fare, come farlo, quando farlo, con chi farlo (in un certo senso il famoso foglio excel, di cui si è parlato nei giorni scorsi). Quindi un discorso lungo, difficile da seguire, fatto di cifre e date, ma … concreto. Renzi non ha seguito questa strada, intanto perché non è nelle sue corde, la specificazione oltre la generalizzazione non è cosa sua, e poi perché quasi sicuramente ancora non sa cosa fare e cosa potrà fare. I suoi ministri non si sono ancora messi a lavoro, il ministro dell’economia è appena arrivato, ecc.

La seconda strada era ambiziosa ma forse fondamentale per chi vuole “cambiare verso” al paese, anche se sarebbe stata criticata per ambizione e genericità. Date le ambizioni ci si aspettava qualcosa di simile: non spiegare quello che avrebbe voluto fare, ma illustrare come vorrebbe trasformare il paese. Una sorta di discorso sul “rinascimento Italia” (so che il termine “rinascimento” è frustro, mi scuso), la narrazione (termine alla moda) di come potrebbe essere questo paese e di come lui (e il suo partito) vorrebbe che diventasse. Parlare quindi: di equità, non la cancellazione delle diseguaglianze, non esageriamo, ma almeno la loro forte riduzione in una situazione in cui ciascuno possa avere dignità di vita; di esaltazione della politica, chiamando i cittadini alla partecipazione nel definire le scelte specifiche ma anche nel gestirle; della solidarietà come “scambio” tra cittadini attivi; di incremento dei diritti e di libertà individuali; del ruolo dello Stato né come semplice controllore, né come ostacolo, ma come moltiplicatore delle forze per la rinascita; dell’impresa pubblica come motore dello sviluppo complessivo e base per un sano sviluppo industriale privato; della fiscalità non come oppressione da correggere, ma da rendere equa e progressiva, strumento (che potrebbe anche crescere la sua pressione) per governare un “dare e avere” in relazione a come si vuole il paese; delle forze armate non come centri di spesa ma come servizio civile; del territorio da organizzare, difendere e rafforzare; dell’ambiente non come stella immobile ma come nicchia della specie; della cultura non solo come scolarizzazione, ma anche come rinascita del saper diffuso e generale; della fine di ogni discriminazione di sesso, di razza, di religione, per una uguaglianza attiva; della società non come “oppressione” dell’individuo ma come condizione per l’esaltazione dell’individualità; dell’onestà come prerogativa di tutti; dei giovani non solo come forza lavoro in attesa di occupazione, ma come una delle forze vitali e protagoniste della rinascita; della tecnologia e della scienza non come mostri da temere ma come strumenti di liberazione; di un’Europa dei popoli; ….

È l’intreccio di questi (e altri) singoli elementi (non la loro singolarità) che avrebbero potuto segnare una discontinuità, una innovazione, una radicalità di progetto, non una squadra di uomini e donne di cui fidarsi e aspettarne le azioni. Questa non è la politica che ci vuole.

Renzi non ha scelto né la prima, né la seconda strada offrendoci un discorso piatto, pieno di generiche promesse, arrogante anche nell'assunzione della personale responsabilità. Ma non è questione di incapacità, quanto piuttosto di vuoto politico. Come fa a pensare che la diminuzione del cuneo fiscale (vedremo), la riduzione delle tasse (vedremo), la riorganizzazione della burocrazia (vedremo), possano far cambiare verso al paese in assenza di un principio ordinatore, di una fascinazione, di un disegna di società? Ingenuità e povertà di immaginazione e di cultura, ridotte alle frasette su tuwist, gocce di pensiero, di cultura e di impegno.

Per far cambiare verso al paese devi avere dietro il paese, ma non come entusiasti osservatori (e magari votanti), ma come faticoso impegno attivo, come coinvolgimento, come partecipazione e parte.

Governo Renzi, due punti a latere

Governo Renzi, due punti a latere

di ida  dominijanni
 I ''futures'' dell'informazione
Non so come prendere i se, i ma e i chissà che sui giornali del giorno dopo il giuramento del governo hanno preso il posto dell'entusiasmo cieco e incondizionato sparato fino al giorno prima. Lo incasserei volentieri come un segno di (tardivo) rinsavimento, non fosse che mi pare piuttosto una conferma del regime up and down, drogato e bipolare (nel senso psichiatrico, non politologico del termine) in cui versa l'informazione politica nazionale, televisiva e stampata. Mai si era visto nel giornalismo italiano un livello di doping come quello sfoggiato sull'avvento di Matteo Renzi. Temo che questo livello non si spieghi solo con la nefasta, ma ormai normale, fascinazione per il leader di turno già sperimentata, oltre che in passato su Berlusconi (ma Berlusconi almeno divideva il campo), più di recente su Monti e su Letta (qualcuno si ricorda le prime pagine infiocchettate sul vecchio Professore e la sua sobrietà, perfetto pendant di quelle odierne sul giovane sindaco e la sua velocità?). Si spiega piuttosto con la compiuta interiorizzazione, da parte del sistema mediatico, di quel principio prestazione-godimento (Laval e Dardot, La nuova ragione del mondo, Deriveapprodi) che domina la razionalità, l'economia e l'antropologia politica neoliberali, un circuito compulsivo di produzione concorrenziale, consumo insensato e godimento (auto)distruttivo a cui nulla e nessuno sfugge. ''Il denaro non dorme mai'', spiegano al giovane Belfort prima che diventi Il lupo di Wall Street, e dunque non bisogna mai cessare di scommettere e di alzare la posta, non importa su che cosa né per chi, l'importante è spassarsela. E' la logica dei futures e vale ormai anche per il circuito politico-mediatico: lo show della politica non dorme mai e la regola è scommettere e alzare la posta, non importa su che cosa, l'importante è divertirsi, prima nel montare e subito dopo nello smontare il giocattolo.
Inutile chiedersi dunque quanto durerà la luna di miele fra il nuovo governo e quello che resta dell'opinione pubblica: durerà poco, quanto durano le oscillazioni dei titoli in borsa, i rendimenti dei derivati, la fiducia nei broker, e quanto dura un piacere dell'esaltazione pronto a ribaltarsi in piacere della distruzione. Poche ore dopo l'insediamento infatti il borsino del governo è già vistosamente in calo. E tutto quello che era stato enfatizzato della nuova leadership - mito del fare, velocità, energia vitale, corporeità: per inciso, tutte virtù oggi esaltate in Renzi dalle stesse penne che per anni le hanno attaccate in Berlusconi – lascia il campo a tutto quello che era stato messo fra parentesi nell'eccitazione per la sua epifania: l'impronta fratricida ('peccato originale', secondo il Vaticano) del cambio della guardia a palazzo Chigi, la fumosità dei programmi, la mediocrità dei ministri e delle ministre, le continuità nascoste sotto la retorica nuovista, l'impaludamento prevedibile della "doppia maggioranza", l'incerta sorte delle riforme istituzionali e la piega misteriosa della politica economica. Sì che le sole chances che restano sul piatto sono quelle puntate sugli unici dati certi della situazione: l'età media (peraltro non bassissima) dell'esecutivo, e la sua mezza coloritura rosa. Merita dunque tornare su questo. Giovani e donne, rottamazione e parità di genere: quanto contano, di che cosa sono segno, in che rapporto stanno queste due ''evidenze'' del renzismo che avanza?
 Giovani adulti e donne pari
La rottamazione, l'ho già scritto e lo ripeto, resta a mio avviso il tratto più autentico e più significativo del renzismo. Purché però non la si analizzi in chiave edipica - nella chiave cioè di un conflitto con i padri che porta alla loro uccisione simbolica e all'acquisizione della loro eredità -, perché nella rottamazione di edipico c'è ben poco: non ci sono padri riconosciuti ma solo fratelli maggiori giudicati incapaci, non c'è un'eredità da assumere ma solo un passato di cui liberarsi, non c'è conflitto con chi è venuto prima ma solo, appunto, rottamazione, non c'è un'esigenza di rivoluzione dell'ordine costituito ma solo l'urgenza di entrarci e di prenderne il comando. Non lo dico con rimpianto o nostalgia: se questo è il quadro, c'è solo da prenderne atto. Ma senza però attribuire a questo sommovimento generazionale una vocazione o una portata trasformatrice che non ha,perché non vuole averla: il desiderio che lo anima non è un desiderio di cambiamento, bensì un desiderio di governo dell'esistente. Un brano di Karl Kosìk (da Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia, segnalatomi da Natalina Lodato che ringrazio), aiuta a vedere la differenza fra quelli che qui indico schematicamente come conflitto edipico e rottamazione postedipica:
 La gioventù si rivolta contro i padri, o perché nauseata dalle relazioni “patriarcali”, che le appaiono ossificate, non dignitose, limitate e vuole cambiarle, oppure fa provocatoriamente intendere essere giunto ormai il tempo in cui i “vecchi” si facciano da parte e lascino i loro importanti posti alla generazione che avanza. In ciò consiste la differenza tra i giovani adulti e la gioventù: questa apporta il cambiamento, i giovani adulti non conoscono gioventù, si limitano a maturare negli uffici, nelle funzioni, nella somiglianza ai propri padri che sono riusciti, ma hanno superato i limiti di età. I giovani adulti si augurano di maturare il più rapidamente possibile in situazioni già pronte e di stabilirsi in esse come nel proprio regno. Non affacciano alcuna nuova idea, non abbondano in immaginazione, ma sono ambiziosi e impazienti. Da qui i loro ripetuti appelli agli adulti; affidate alle nostre mani le vostre già avviate imprese. Non conoscono il tormento della ricerca e del dubitare giovanili, non hanno incontrato la felicità della rivolta giovanile, la differenziazione, il disincanto. Dalla tenera età soffrono di saccenteria, gli piace ammaestrare, dinanzi a loro la realtà si dispiega come cosa data e utilizzabile. Ma con loro la sorte non è stata benigna: non ancora carichi di anni, sono vecchi anzitempo.
Il cruciale tassello che bisogna aggiungere è che in questo quadro post-edipico e post-patriarcale cambia completamente anche la posizione femminile: l'esclusione delle donne non c'è più perché non serve più. Se l'Edipo è svaporato, se il patriarcato è finito, finisce anche il patto fra i fratelli parricidi basato sull'esclusione femminile: le donne sono ammesse al gioco della spartizione del potere, diventano perfino un fiore all'occhiello e una risorsa del potere: a patto che a loro volta dismettano il conflitto con i loro «pari».
Se non si capisce questo cruciale passaggio di spoliticizzazione del conflitto fra i sessi, non si capisce il senso di questa improvviso salto nella pace perpetua del 50 e 50 graziosamente concesso dal giovane premier. L'ha colto bene Francesco Merlo nella sua cronaca suRepubblica del pomeriggio di Renzi al Quirinale, descrivendo le otto ministre come «donne normali di un paese normale, pronte a perdersi nella politica (e magari, aggiungo io, anche a prendersi cura della politica) e al tempo stesso rassicuranti e pacificanti custodi dell'irruenza del capo»: non per caso in un'intervista di qualche giorno fa una renziana convinta rivendicava fieramente la sua funzione di «vestale» (sic) del leader.
Stupisce invece che di questo passaggio non si accorgano alcuni commenti femminili attardati a difendere una presunta «conquista» di quantità in un governo che peraltro considerano indifendibile per qualità. Mai come in questo caso la parità di genere getta la maschera e si rivela per quello che è, un principio di neutralizzazione del conflitto fra i sessi. La cui politicizzazione del resto cominciò giustappunto quando alcune donne si rifiutarono di fare le vestali del ciclostile: attorno al '68, l'epoca che Matteo Renzi non hai nascosto di voler definitivamente rottamare.

lunedì 24 febbraio 2014

Renzi - il potere e il tradimento


di Barbara Spinelli

È fatale: una volta che hai scelto Tony Blair come modello, per forza approdi al tradimento. Tradimento della sinistra e dell’Europa che pretendi risuscitare, tradimento di promesse fatte nelle primarie o nei congressi. Non dimentichiamo il nomignolo che fu dato al leader laburista, negli anni della guerra in Iraq: lo chiamarono il «poodle di Bush jr», il barboncino-lacchè sempre scodinzolante davanti alla finte vittorie annunciate dal boss d’oltre Atlantico. Non dimentichiamo, noi che ci siamo imbarcati nel bastimento della Lista Tsipras, come Blair lavorò, di lena, per distruggere il poco di unione europea che esisteva e il poco che si voleva cambiare. Fu lui a non volere che i Trattato di Lisbona divenisse una vera Costituzione, di quelle che cominciano, come la Carta degli Stati Uniti, con le parole: «Noi, il popolo....». Fu lui che si oppose a ogni piano di maggiore solidarietà dell’Unione, e rifiutò ogni progetto di un’Europa politica, che controbilanciasse il potere solo economico esercitato dai mercati e in modo speciale dalla city.
Renzi è consapevole di queste cose, o parla di Blair tanto per parlare? E il ministro degli Esteri Mogherini in che cosa è meglio di Emma Bonino, che al federalismo europeo ha dedicato una vita e possiede una vera competenza? Federica Mogherini ha concentrato i suoi interessi sulla Nato innanzitutto, e poi sull’Europa. Chissà se è consapevole della degradazione dell’Alleanza atlantica, nei catastrofici dodici anni di guerra antiterrorista. Ma ancor più inquietante è la rinuncia, in extremis, a Nicola Gratteri ministro della Giustizia. Questo sì sarebbe stato un segnale di svolta. La sua battaglia contro il malcostume politico e le mafie è la risposta più seria che l’Italia possa dare ai rapporti dell’Unione che ci definiscono il paese più corrotto d’Europa.

Non è ancora chiaro chi abbia lavorato contro la nomina di Gratteri. Forse il Quirinale, per fedeltà alle Larghe intese; di certo le destre di Alfano e Berlusconi, con il quale Renzi vuol negoziare le riforme della Costituzione. È stato detto che non è bene che un pm diventi guardasigilli. Anche qui, la rimozione e l’oblio regnano indisturbati: nel 2011, il Quirinale firmò la nomina del magistrato di Forza Italia Nitto Palma, vicino al Premier Berlusconi e Cosentino. Evidentemente quel che valeva per Nitto Palma è tabù per Gratteri. Il veto al suo nome è ad personam, e accoglie la richiesta della destra di avere un ministro «garantista» (garantista degli imputati di corruzione, di voto di scambio, di frode fiscale, ecc). Al suo posto è stato scelto un uomo di apparato, Andrea Orlando, che solo da poco tempo si occupa di giustizia, che ha fatto la sua scalata prima nel Pci, poi nel Pds, poi nei Ds, poi nel Pd. Nel governo Letta era ministro dell’Ambiente. Auspica – in profonda sintonia con Berlusconi – la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione delle carriere dei magistrati.

Infine il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan. Recentemente ha preconizzato l’allentamento delle politiche di austerità, che aveva difeso per anni. Non ha neppure escluso l’utilità di una patrimoniale. Ma di questi tempi tutti, a parole, sono contro l’austerità. Vedremo cosa Padoan proporrà in Europa: come passerà - se passerà - dalle parole agli atti. Al momento non vedo discontinuità tra lui e Fabrizio Saccomanni. Naturalmente può darsi che Renzi farà qualcosa di utile per l’Italia: prima di tutto su lavoro e fisco. Non mi aspetto niente di speciale sull’Europa, per i motivi che ho citato prima.

Non credo nemmeno che creda in quel che è andato dicendo per mesi: «Niente più Larghe Intese!», o «Mai a Palazzo Chigi senza un passaggio elettorale». Altrimenti non avrebbe guastato tante parole nel giro di poche ore, giusto per andare a Palazzo Chigi e presentarsi - terzo Premier nominato - in un Parlamento di nominati. 
da:
 http://www.listatsipras.eu/blog/item/306-renzi-il-potere-e-il-tradimento.html




domenica 23 febbraio 2014

Governo Renzi? Ma!


Governo Renzi? Ma!


Diario 249

Da questo governo, come dal precedente ed anche di quello prima del precedente, non ci si può aspettare la soluzione della crisi, per assenza di teoria sulla stessa, ma almeno qualche provvedimento in grado di alleggerire il disaggio sociale della fasce più colpite. In passato non è stato così, ma non lo sarà neanche con il governo più giovane e femminile della storia delle repubblica.

Le ragioni sono subito detto: nonostante la stima di sé del presidente del consiglio, nonostante il suo attivismo, nonostante il suo ottimismo, non controlla operativamente la macchina del governo. Dei cinque ministeri più “pesanti”, Renzi ne ha dovuto cedere tre al NCD di Alfano (Interni, Infrastrutture e Sanità), degli altri due uno va ad un tecnico, il ministero dell’ Economia, che sebbene contrario all’austerità, dovrà fare i conti con i vincoli esistenti, l’altro, Esteri, è quello meno svincolato da Renzi. Si spiega solo per questo lo sgarbo fatto alla Bonino (e al Presidente della Repubblica), il presidente del consiglio ha preteso che almeno uno dei più pesanti fosse “suo”. Nell’altro ministero pesante, la Difesa, i ministri sono stati sempre succubi della struttura militare, non facilmente scalzabile, né pare intenzionata a questo la neo ministra (basti ricordare la sua posizione sugli F13).

Dei ministeri di seconda linea, per così dire, uno, lo Sviluppo, è conteggiabile a Berlusconi (ministro che ha la delega sulle telecomunicazioni), l’altro, Lavoro e Welfare, è affidato alle cooperative, che, sebbene “la Coop sono io”, non pare prometta bene, il terzo, l’Istruzione è affidato ancora ad un ex rettore, dopo che i due precedenti diciamo che non avevano fatto bene e comunque appartiene ad un alleato (Scelta civica).

Non parliamo dei conflitti di interesse che si incarnano in questa compagine ministeriale, tanto ormai nessuno ci fa più caso.

Può darsi che Renzi pieghi alla sua filosofia di governo (quale sia ancora è oscuro) tutti i ministri che abbandonerebbero gli interessi rappresentati oltre che quelli personali per assecondarlo. Il mondo è cambiato, come dice Renzi, ma le relazioni di interessi non sono scomparsi.

Ma ecco la domandona: quale è la maggioranza del governo Renzi? C’è una maggioranza formale, che è quella che voterà la fiducia imperniata nell’alleanza con Alfano. C’è ancora una maggioranza formale per le Riforme che comprende Berlusconi. Già questo complica la vita, ciascuno degli alleati di Renzi vuole la morte (politica? Ovviamente) dell’altro, cosa che non rende il percorso del governo e delle riforme senza ostacoli. Né, dopo il giuramento, la minaccia delle elezioni funziona più, sarebbero una sconfitta soprattutto per Renzi.

Ma forse, maliziosamente, si potrebbe presupporre l’esistenza di una maggioranza sostanziale, di fatto non esplicitata neanche tra i due protagonisti, Renzi - Forza Italia. Non si tratta di machiavellismo, ma solo di realismo (con una punta di opportunismo); ma questo non sarebbe bene per il paese e neanche per l’apprezzamento dei cittadini per la “politica”. Spero di sbagliarmi.



venerdì 14 febbraio 2014

Renzi, sempre più Renzi, per quale Governo?



Renzi, sempre più Renzi, per quale Governo?

Diario 248


Da un paio di giorni non riesco a scrivere questo diario. Intanto perché mi sembrava impossibile che i fatti si svolgessero come poi si sono svolti, mi pareva una pazzia da tutti i punti di vista.

Un’altra difficoltà che mi ostacolava era quella di come titolare questo numero del Diario. L’idea di utilizzare termini come “rischio” o “risico”, o “azzardo”, sembrava la cosa più semplice, dato che tutti gli osservatori mostravano di cautela in quella che sembrava la strada imboccata da Renzi, ma contemporaneamente banale. L’altra possibilità era quella di titolare con “torna la DC”, del tutto giustificato non tanto e non solo per lo scontro tra i due, non solo per i “tradimenti”, non solo per la tattica adottata dalla maggiore delle opposizioni interne alla PD, ma anche e soprattutto per la riscoperta del famigerato “spirito di servizio” alla cui ombra si sono consumati le peggiori evoluzioni del nostro paese. Infatti quando Renzi sostiene che tutti lo spingono, che tutti gli chiedono “responsabilità”, che il “suo” personale interesse sarebbe diverso, non fa che evocare, appunto, lo “spirito di servizio”, facendo finta di non capire che quello stato di necessità è stato da lui stesso creato. Ma anche questo titolo mi sembrava piegasse verso il banale. Certo ho risorto il problema con altrettanta banalità, ma spero di richiamare l’attenzione che la qualità programmatica di questo governo è ancora misteriosa.

Oggi la strategia di Renzi appare chiara, come ha scoperto, pare con meraviglia, Letta: fin dall’inizio ha puntato a Palazzo Chigi. E per evitare di figurare come Caino, il fratello cattivo, non ha fatto che dichiarare la sua estraneità al governo, il suo sostegno, certo critico, all’amico Letta, ma sempre di sostegno si è trattato, e, a conferma, si ritaglia per sé il ruolo del “grande riformatore”. A questo scopo invita Letta all’attesa, il capo del governo non doveva muoversi, doveva aspettare a proporre il nuovo patto all’alleanza, doveva avere pazienza a proporre il rimpasto necessario. Fermo, fermissimo doveva stare per evitare di ostacolare la “grande riforma”. Letta, credulone, fiducioso delle parole, che per altro non è un fulmine di guerra, sta fermo, non capendo che, così facendo, Renzi avrebbe finito per farlo apparire incapace e “impantanato”, chiuso dentro un recinto di inerzia, predisponendo le condizioni per il sacrificio.

Renzi e il PD potevano essere critici con il governo, ma era il loro governo e quindi dovevano aiutarne l’azione, suggerire cosa sarebbe stato necessario e opportuno fare, proporre provvedimenti utili al paese, ma niente di tutto questo, Letta abbandonato a se stesso alla sua maggioranza composita, e privato, perché così voleva Napolitano e anche Renzi, dell’unica arma a disposizione per costringere la sua maggioranza ad assecondarlo: le dimissioni e le elezioni. Tutto il pasticcio sull’Imu, la resistenza di Alfano, ecc. potevano essere evitate se Letta poteva minacciare le elezioni, ma questa parola gli era preclusa. Così fiducioso restava fermo, mentre gli veniva sottratta la terza sotto i piedi. Voglio dire, senza che questo abbia nessun risvolto politico, che in tutta questa storia quello che ne esce meglio con dignità è Letta. Ingannato, beffato, ma non comprato.

Qualcuno dei fedelissimi di Renzi ha dichiarato che di lui ci si poteva fidare perché diceva sempre quello che pensava. Mai affermazione fu così azzardata. O Renzi è un gran bugiardo, o cambia idea con troppa facilità. Appare sicuramente come un grande affabulatore, e appunto per questo anche bugiardo, inaffidabile, ambizioso, presuntuoso, spregiudicato e irresponsabile. Tutti hanno sentito con le proprie orecchie, ieri, affermare: ci vuole un mutamento radicale, un nuovo passo e un nuovo orizzonte, e nello stesso tempo invocare l’attuale maggioranza. Va bene avere di sé una grande opinione, va bene considerarsi geniale, confortato dalla velocità con la quale ha convinto Berlusconi ad adottare la sua (intendo di Berlusconi) riforma elettorale, ma la realtà va guardata per quella che è. È convinto, credo, che il suo progetto di legislatura costituisca la carta vincente, perché conviene a tutti, per operare il proposto mutamento radicale (mai definito nei suoi termini concreti). È vero che si tratta di una convenienza, ma poi i dati della realtà potrebbero anche far mutare le convenienze.

Adesso quali sono gli scenari possibili, tutto è incerto ma facciamo qualche tentativo.

Intanto Napolitano potrebbe inviare Letta alle camere, anche perché così richiesto da M5* e PDL. Non credo che lo farà perché non vuole ancora di più drammatizzare la situazione. Ma se la facesse, non sarebbe un passaggio facile e indolore per il PD.

Napolitano accetta le dimissioni, fa delle rapide consultazioni, e incarica Renzi di formare una maggioranza e una composizione ministeriale.

A Renzi si aprono tre possibilità:

Andare con la maggioranza di Letta con qualche modesto innesto. In questo caso il socio di controllo sarebbe ancora Alfano, che ha già fissato i paletti e messo avanti i provvedimenti che interessano il NCD e indicato quelli assolutamente non accettabili. In questo caso Renzi dovrebbe annacquare il suo programma, il tutto per una maggioranza non particolarmente forte , ma sicuramente di “controllo”. Niente diritti civili, niente patrimoniale (a messo che a essa pensi Renzi), niente jus soli, molte vendite del patrimonio, magari qualche condono di varia natura, ecc. Renzi si può ribellare e puntare ad una diversa maggioranza.

Una maggioranza spostata più a sinistra dove SEL prende il posto del NCD (i due partiti si sono dichiarati incompatibili). Ma in questo caso i numeri non ci sono, si può sperare nella pattuglia dei dissidenti M5*, ma questo appoggio dovrebbe essere esplicito (cosa difficile da ottenere) e consistente tanto poter avere la maggioranza anche al senato. Renzi potrebbe sperare di trovare i voti in parlamento. Ma Napolitano, non potrebbe accettarlo, così come ha fatto con Bersani, dovrebbe rimandarlo indietro e invitarlo a tornare con “numeri certi”. Sarebbe un danno di immagine, e non solo, distruttivo.

Ma Renzi ha ancora una carta, il tono spregiudicato e la capacità di cambiare idea, che lo caratterizza, potrebbe tentarlo: la Grande coalizione. Tante giustificazioni: lo stato del paese, l’unificazione della maggioranza di governo con la maggioranza delle riforme, la possibilità di intendersi su alcune questioni scottanti dato che il PDL (Berlusconi) pur di rientrare in gioco, avere tempo per riorganizzarsi e costruire un nuovo leader, sarebbe ben disposto. Certo che sia Renzi a riportare al governo Brunetta, la Santanchè ecc. può apparire paradossale. Ma Renzi ai paradossi vuole abituarci.

La grande coalizione farebbe brindare Napolitano, che da sempre tifa per la grande coalizione, e Grillo (che non sperva in un simile regalo). Grandi festeggiamenti e tramonto definitivo del PD, ma Renzi pensa di poterne fare a meno.

Certo è uno scenario poco credibile, ma è l’unico che garantisce pieno successo a Renzi. Improbabile ma non da scartare.
         

martedì 11 febbraio 2014

Il “golpe” … desiderato


Il “golpe” … desiderato

Diario n. 246



La pubblicazione di un recente libro sull’anno 2011, con le rivelazioni sulle azioni di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, ha scatenato una grande agitazione tra le forze politiche e i giornalisti, con l’accusa a Napolitano di avere organizzato un golpe. Una agitazione fondata? credo proprio di no. Forse il Presidente della Repubblica è andato un po’ oltre alle proprie prerogative: ha fortemente voluto il governo Monti, e noi l’abbiamo pagato, ma quello che ha fatto era sotto gli occhi di tutti e registrato puntualmente sulla stampa. A questo scopo vi allego una ricostruzione pubblicata dal Il Manifesto che mette in chiaro che tutti sapevano e tutti … volevano. A cominciare da chi oggi fa lo scandalizzato.

A margine della pubblicazione del libro vorrei osservare che la “riservatezza” non è connotato della nostra classe dirigente (politica e no): tutti hanno rilasciate interviste inutili, perché tutto si sapeva, ma “io sapevo”, “io ho avuto la confidenza”, “a me è stato chiesto consiglio” ha premiato la vanità di questi personaggi.

Da Il Manifesto 11 febbraio 2014

La riscoperta dell'amato «golpe»
di Andrea Fabozzi

Dunque Mario Monti riceve l'incarico di formare il suo primo governo nel novembre 2011, ma già a luglio si par­lava di lui come sostituto di Silvio Berlusconi. Scoop o lancio promozionale che sia, il Corrie­re della Sera ha le carte in regola per farlo. Ha infatti tutto nel suo archivio, tutto già compo­sto e raccontato. Tradizionalmente parco -« sobrio» si dirà poi -, tra luglio e agosto di quell'anno Monti scrive quattro editoriali in fila sulla prima pagina del Corriere. Bastano i titoli. «Troppo timidi per crescere», «Quello che serve (davvero) al paese», «Il podestà fore­stiero», «Un nuovo governo dell'economia». Il secondo, un programma (davvero) di gover­no, Monti lo pubblica anche sul Financial Ti­mes, l'altro giornale che ieri ha scoperto, con un po' di ritardo, cosa stava succedendo quel­l'estate. Scoppia la tempesta degli spread, dal­l'Europa piovono diktat che il governo Berlusconi-Tremonti puntualmente sottoscrive, ed è proprio il Corriere a lanciare l'alternati­va: «La ricetta Monti» compare nei titoli di quel giornale, mentre le cronache lì come al­trove informano che il governo tecnico è die­tro l'angolo. Per conoscere la «ricetta» biso­gnerà aspettare solo qualche settimana, la si potrà assaggiare in forma di decreti.

Napolitano tramava nell'ombra? Nell'om­bra no di sicuro, altrimenti non avrebbe potu­to ricevere il sostegno e l'incoraggiamento del Corriere che l’11 luglio puntualizzava: «Si sono creati i presupposti per una sorta di uni­tà nazionale a geometria variabile». Il presidente della Repubblica aveva già fatto di tutto compresa l'inaudita consultazione al Quirinale dei capigruppo parlamentari, con il governo ancora saldo in carica. Quotidiani i suoi appelli alla collaborazione tra partiti, proprio a luglio diventati più che espliciti con la richiesta di «coesione nazionale per affron­tare le difficili prove». Le opposizioni non se lo fanno ripetere e danno il via libera alla ma­novra di Tremonti, ma Napolitano vuole esse­re ancora più chiaro e aggiunge: «Bene, ma presto occorreranno altre prove di coesione». Il governissimo è in pista, Monti l'unico can­didato seriamente a guidarlo. Bindi, Letta e Bersani gradiscono pubblicamente. Il Giorna­le naturalmente no: «I poteri forti tramano: vogliono Monti» è un titolo da 25 luglio, ma del 2011. Interessante anche il sottotitolo: «Da Banca Intesa a Repubblica, ecco l'econo­mista scelto per dare l'assalto al governo». Banca Intesa cioè Corrado Passera, riscoper­to dallo scoop di ieri. E Repubblica cioè Carlo De Benedetti: che facesse il tifo per Monti era cosa nota non solo a Sant Moritz ma anche in Bocconi, dove l'Ingegnere era andato sem­pre in quel fatale luglio a parlare in pubblico della crisi e dei rimedi possibili con il professore (e con Bersani). L'altro testimone dell'ascesa di Monti «riscoperto» con tre anni di ritardo è Romani Prodi. Di lui il 24 luglio si po­tevano già leggere sulla Stampa le stesse parole ritrovate ieri sul Corriere: «Caro Mario - di­ceva allora l'ex presidente del Consiglio - sta­volta tocca a te». Un indovino?

Non serviva una seduta spiritica, visto che il 3 agosto il Financial Times, sempre lui, sa­peva già di un governo tecnico a guida Mon­ti. E Monti intervistato dal Tg5 confermava: «Accetterei solo con l'appoggio di tutti. È la stessa cosa che in passato ho già detto a Scal­faro e poi a Berlusconi». A settembre, cioè an­cora più di due mesi prima dell'incarico uffi­ciale, il presidente della Bocconi sedeva ac­canto a Napolitano a Cemobbio e ne approfittava per annunciare il suo programma. «La ri­cetta Monti, un pacchetto di misure con il sì di tutti» spiegava il Corriere, allora preveggen­te e niente affatto scandalizzato.

Mai «golpe» fu più telefonato. Perché nulla nell'entusiasmo dei giornali consigliava di­screzione al presidente della Repubblica. Il cui attivismo nel preparare l'alternativa al go­verno Berlusconi può essere criticato - e su queste pagine fu criticato - ma non può esse­re raccontato come un segreto da rivelare adesso. Tant'è che Napolitano lo rivendica, nella nota di ieri: Monti «appariva allora - e di certo non solo a me - una risorsa da tener pre­sente e, se necessario, acquisire al governo del paese». Di certo non solo a me.

L'esito era scritto. Arrivato finalmente no­vembre, fu giusto Prodi a rompere l'embar­go. «Monti. E l'ora di Monti», annunciò da Re­pubblica. Tre giorni dopo Napolitano nomi­nava senatore a vita, guarda un po', Monti. «Il sequestro della politica», attaccò subito il manifesto. Per i berlusconiani, invece, fu «un bel segnale». Allora.

lunedì 10 febbraio 2014

Letta – Renzi: parole, parole


Letta – Renzi: parole, parole


Diario 245


Ci sarà un rimpasto nel governo Letta per raggiungere i fatidici 18 mesi? Ci sarà un Letta bis, sempre tagliato per i 18 mesi? Ci sarà la staffetta con Renzi ma questa volta fino alla fine della legislatura? La discussione e aperta riempie le pagine dei giornali, le trasmissioni TV, i siti Internet, mobilita mente lucidi e meno. Una perdita di tempo, scommetto che Letta resta, farà il rimpasto, e tutto … come prima.

Non è che non si sa cosa i due vorrebbero fare, vogliono le stesse cose, solo che il segretario accusa il presidente di mancanza di vigore e determinazione (cose di cui pensa essere dotato). L’elenco delle cose che vorrebbero fare è sempre quello: rilancio dell’economia e soprattutto dell’occupazione, semplificazione, vendita del patrimonio, riduzione delle imposte a imprese e lavoratori, lavori pubblici, lotta alla criminalità, poi a condimento scuola, ricerca, beni culturali, ecc., dimenticavo crescita del PIL almeno dell1% quest’anno e del 2% l’anno prossimo (questa si che è una festa).

Per adesso titoli, i contenuti sono allo studio. Ed anche se questi ultimo fossero fissati con precisione, come è successo altre volte, niente garantisce della loro realizzazione, e questo neanche se fossero fissate sulla carta, con nome e cognome, i responsabili della loro realizzazione.

Il problema e che i due, e i loro consulenti (per bravi, per giovani, per sperimentati che siano), soffrono di “vuoto teorico”, convinti come sono che, sebbene la malattia sia grave ci si incammina verso la guarigione. Non si rendono conto di quello che è successo, non fanno mente locale che i rimedi tradizionali non servono; che finanziarizzazione dell’economia e progresso tecnico stanno stringendo il sistema economico-sociale mondiale in una morsa mortale, nella quale capitale superfluo e manodopera superflua non trovano (e non possono trovare, allo stato dei fatti), impieghi.

Le parole di speranza sono antiche, i loro contenuti sono da aggiornare, ma di qui non si scappa. Si può aspettare, ma nel mentre la situazione peggiora, si possono usare rimedi tampone che fanno respirare momentaneamente, ma i nodi vengono sempre più al pettine. Non basta dire sinistra, bisogna dire socialismo, e non sarà una passeggiata, ma bisogna sapere che più si aspetta più la reazione acquista velocità. Non è una partita a scacchi, uomini e donne sono spinte da esigenze vere, possono illudersi e scegliere, come già fatto storicamente, soluzioni drammaticamente pessime, ma i vuoti di potere non esistono.