martedì 25 novembre 2014

Elezioni regionali. Deserto politico, o no?

Diario 274 
Elezioni regionali. Deserto politico, o no?
L’astensione dal voto nelle elezioni regionali di Emilia e Calabria disegnano un panorama politico che non può non preoccupare. Solo i miei amici anarchici potrebbero essere contenti, ma forse neanche loro. Si tratta di un’astensione di protesta, così ottimisticamente ci piace interpretarlo, o piuttosto il motivo che la caratterizza è quello del disinteresse, giudizio fortemente pessimistico, e foriero di previsioni future molto preoccupanti.
La prima impressione è quella del deserto politico: in Emilia il 62,3% degli aventi diritto non si è presentato ai seggi, dato mai raggiunto non solo in Emilia ma neanche in Italia; in Calabria è andata un po’ meglio gli assenteisti sono stati il 55,9%.
Un popolo schifato dai continui scandali, un popolo arrabbiato per l’incapacità del governo di dare soluzione alle drammatiche situazioni sociali, un popolo stanco delle continue dichiarazioni della “luce in fondo al tunnel”,  un popolo che non ne può più, piglia cappello e non va a votare. Fosse tutto così, come dire, si potrebbe dare un significato positivo a questa fuga dalle urne. Ma c’è anche un popolo che reputa inutile votare, votare in generale, non solo per questo o per quello, una disaffezione alla politica che in generale non ha portato niente di buono, se non autoritarismo. Inoltre una democrazia, per quanto in disagio non vive senza istituzioni, e se queste sono malate la soluzione non è lasciarle a se stesse.
A me pare che il commento di “indifferenza” per questa scarsa affluenza alle urne di Matteo Renzi,
indichi non solo la solita arroganza del personaggio ma la sua assoluta inadeguatezza a svolgere il ruolo al quale il popolo delle primarie, prima, e il Presidente della repubblica, dopo, lo hanno chiamato.
Tuttavia non siamo al cospetto di un deserto politico, e questo non elucubrando sui motivi dell’astensione, ma tenendo conto della grande partecipazione nei giorni scorsi alle manifestazioni sindacali dei metalmeccanici, del mondo della scuola, della CGIL, ecc.. C’è un popolo vivo, vitale e reattivo. Si potrebbe far riferimento a questa combattività in modo consolatorio. Credo che non sia una mera consolazione porre attenzione a questa combattività, ma contemporaneamente queste manifestazioni non risolvono il problema politico del governo (regionale e nazionale). Anche perché come si ricorderà l’inadeguato Renzi ha dischiarato “è finito il tempo quando uno sciopero faceva cadere il governo”, che non è una dichiarazione di autonomia, né soltanto di arroganza, ma indice di assoluta indifferenza per la società, i suoi problemi, le sue crisi. Renzi è convinto che la sua guida porterà il paese fuori dalla crisi, che i suoi provvedimenti saranno un toccasana per la disoccupazione, che la sua visione del futuro sia il sole dell’avvenire, in più crede di essere di sinistra e socialista. Non si sono mai viste tante favole insieme, anche il libro delle favole dei fratelli Grimm ne conteneva meno. Ormai si ha l’impressione che Renzi viva in una proprio mondo immaginato, un castello di cioccolata, non si affaccia neanche ai bastioni per vedere cosa succede nel mondo. Tipica è la reazione ai risultati delle recenti elezioni, invece di essere preoccupato come un pastore che perde le sue pecorelle, dichiara che quello che gli importa è il 2 zero (ma contro chi?).
Non voglio attribuire la responsabilità del disamore dell’elettorato verso le regioni a Renzi, egli con gli scandali non c’entra, ma quello che mi sento di addebitare a Renzi è la sua incapacità di mobilizzazione del “suo” popolo, il fatto che ai disastri regionali si accomuna l’incredulità verso le azioni di questo governo. Questo è tutta colta del Presidente del Consiglio, del Segretario del PD e della sua corte.


Ma vale la pena di vedere cosa veramente è successo in Emilia, regione emblematica per la sinistra, lo faremo riferendoci ai voti effettivi  non già alle percentuali che nella situazione sarebbero forvianti e non metterebbero in luce le effettive dinamiche.

Emilia
                      A) Reg. 2010     B) Europ. 2014     C)Regionali 2014     differ C-A       C-B
PD                    857.613            1.212.392                  535.109              - 322.504          -    677.283
FI                      518.108               271.951                  100.478              - 417.630          -   171.473
Lega                 288.601               116.394                   233.439              -  55.162          +   117.045
M5*                 126.619                443.936                   159.456             +  32. 837         -    284.480  

Il patto del Nazareno, da qualsiasi punto lo si guarda mostra di non essere stato assolutamente premiato dagli elettori. Il PD anche se risulta ancora il primo partito ha perso centinai di migliaia di voti sia rispetto alle europee che alle regionali precedenti. Forza Italia è ridotta la lumicino. Meno chiara è la situazione della Lega e del M5*, il primo guadagna rispetto alle europee ma perde voti rispetto alle precedenti regionali; M5* al contrario guadagna pochi voti rispetto alle regionali ma perde  molto più della metà dei consensi rispetto alle europee. Se si guardasse ad elezioni omogenee, regionali, allora la palma della perdita dei voti in valore assoluto e in percentuale (-80%) spetta a Forza Italia, seguita dal PD, che in percentuale perde il 38%. Segue la Lega (-19%), mentre a guadagnare è solo il M5* (+ 25%, per il quale va anche considerato la perdita del 64% del proprio elettorato rispetto alle europee).

Al posto di Renzi piuttosto che esaltarmi per il 2 a zero, sarei molto, molto preoccupato, soprattutto sarei preoccupato che sia andato in fumo  il capitale di energie e di partecipazione come si erano manifestate  alle primarie. E rifletterei ancora che forse non sono le Leopoldo o le primarie la strada per riportare la politica tra la gente. Ma come sappiamo Renzi riflette poco; è tutto … azione.

lunedì 17 novembre 2014

La tecnica di potere di Matteo Renzi e i possibili esiti

La tecnica di potere di Matteo Renzi e i possibili esiti

Diario 273
Matteo Renzi ci (mia) ha stupito: ha messo in campo una tecnica di governo, o meglio di potere, abile, efficiente, spregiudicata e spiazzante. Il suo capolavoro è la questione dell’art. 18; è sembrato, ha fatto credere, ha testimoniato, che non c’era niente da fare, doveva essere cancellato o almeno reso inoperativo. Contro questa ipotesi ha  fatto schierare l’opposizione interna al PD, che ne ha fatto una questione di principio e sulla quale Renzi non poteva passare,  ha dichiarato che era pronta a morire (si fa per dire). Poi cosa fa il nostro, va in direzione del PD e fa sua la proposta dell’opposizione, lasciandola in brache di tela e con forti fermenti di spaccatura. Inoltre acquista il “merito” di un cedimento a sinistra. Un capolavoro.  
Il prossimo passo sarà quello di scaricare sull’opposizione interna il calo di consenso al partito, al governo e a lui stesso. Il discorso che articolerà avrà grosso modo questo contenuto: è la divisione interna al PD che determina il calo di fiducia, una divisione che fa apparire il governo impossibilitato ad agire. Corollario: se non si vuole perdere il consenso al partito e se si volessero vincere le prossime elezioni, tutti compatti e decisi dietro il segretario (certo che si potrà discutere, ma in modo sincopato e senza echi esterni!).  
Abile, efficiente e spregiudicato, ma forse i dati del sondaggio della Demos devono essere analizzati con attenzione. È vero i sondaggi valgono per quello che valgono, ma essendo ripetuti nel tempo quello che interessa è la tendenza.
Così possiamo notare che il giudizio positivo sul governo tra settembre e novembre (tre mesi) tra gli operai perde 21 punti; tra impiegati e dirigenti, la perdita è di 15 punti; tra gli studenti di 6 punti; tra le casalinghe di 12 punti; tra i disoccupati è di 14 punti e 13 tra i pensionati. Guadagna invece 2 punti tra i liberi professionisti e 1 punto trai lavoratori autonomi e imprenditori. Be! non direi che ci sia da stare contenti soprattutto se si osserva che  a settembre l’apprezzamento complessivo si attestava al 54% e a novembre scende al 43%. Inoltre se il premio di maggioranza alle prossime elezioni dovesse scattare per la sola lista solo e solo se superasse il 40%, allora a novembre saremmo ben lontani da questo dato:  il PD risulta al 36% (essendo contrario ad ogni maggioritario questo dato un po’, molto poco, mi conforta).
Gli annunzi senza realizzazione non pagano, inoltre le speranze che dalla crisi si possa uscire con una nuova legge suo mercato del lavoro pare fondata sul nulla. Neanche gli investimenti pubblici, di cui si sente parlare, a prescindere dalla loro reale consistenza, potranno essere un sollievo passeggero ma non ci faranno uscire dal tunnel, come si dice.
La stessa tecnica adottata con il suo partito Renzi l’ha adopera con Berlusconi. Ma qui le cose si complicano, per due semplici motivi: Berlusconi, di suo, è politicamente inaffidabile (è noto che fine hanno fatto tutti quelli che di Berlusconi si sono fidati a cominciare di D’Alema) ed inoltre dentro Forza Italia sti sta combattendo una battaglia di potere che non esclude nessun colpo basso, anzi  li prevede tutti in modo irresponsabile  (vedi elezione dei giudici costituzionali), né Berlusconi ha grande potere sui suoi senatori e deputati, anzi dietro l’indisciplina di questi si schiererà quando sgambetterà Renzi (e lo farà).
Inoltre il rinsaldato accordo del Nazareno, per Renzi è tutto in perdita, questo infatti gli alienerà qualsiasi possibilità di ricorrere ad altre forse politiche (M5*) come ha fatto ultimamente per i giudici della Corte costituzionale e per il Consiglio superare della magistratura. Le simpatie per FI sono infatti incompatibili con 5*.

Abile, spregiudicato ma efficiente solo se mi sbagliassi.     

martedì 11 novembre 2014

Presidente della Repubblica: la falsa notizia e il finto dibattito


Presidente della Repubblica: la falsa notizia e il finto dibattito

Diario 273

Un finto scoop giornalistico (mi pare de La Repubblica) ha promosso due giorni di dibattito sul nulla. Lo scoop riguarda la possibilità che entro l’anno il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avrebbe abbandonato la sua carica. Una cosa che era nota dal discorso di insediamento per il secondo mandato e che  lo stesso presidente aveva ribadito in altre occasioni.
Ma su questa finta novità si è scatenato il dibattito giornalistico, sia della carta stampata che della TV; attenzione spasmodica sull’interpretazione del “perché”, del “perché ora”, del “senso” da attribuire a quella che veniva presentata come una decisione improvvisa. Dal richiamo all’età, agli acciacchi della stessa, alla indisponibilità a sciogliere eventualmente le Camere, ecc.
Un’altra ridda di interpretazione sul comunicato del Colle, le virgole, le parole, ecc. Tutta aria fritta su un problema previsto, prevedibile e serio.
Renzi ha goduto, in tutti questi mesi dell’appoggio autorevole del Presidente della repubblica (comunque  si valuti questa presidenza). Le dimissioni di Napolitano indebolisce Renzi a meno che al colle non ascenda qualcuno dei fedelissimi, ma fedelissimi e autorevoli non vanno molto d’accordo.
Collateralmente è iniziata la discussione sui “nomi” dei possibili candidati. Categorie: donne; leader; politici di lungo corso; imprevedibili, ecc.
La carica del Presidente della repubblica, nel nostro ordinamento, non ha  caratteristiche pari a quelle di un repubblica presidenziale, ma riveste un’importanza molto notevole, che è possibile definire di “equilibrio” e di “vigilanza”. È inutile fissarsi sulla natura “neutra” e non di parte, tutti si è di parte, dipende come si fa valere e pesa questa parte. Per questo il riferimento all’equilibrio e all’autorevolezza, non possono che essere riferimenti pesanti. Equilibrio e autorevolezza devono anche corrispondere ad apertura politica, nel senso di saper assecondare i punti di innovazione sociale e politica che il paese esprime.
Una cosa mi sembra certa, la scelta del nuovo capo dello stato non sta in mano a Renzi. Camere riuniti, senatori a vita, rappresentati regionali, non sono un insieme manipolabile molto facilmente. Mi pare che si tratta di un elettorato forse poco sensibile ai giochi ma disponibile a considerare la qualità richieste alla carica, senza mitologie.
Si può essere critici verso la “carica”, ma va detto che non tutti i Presidenti del passato sono assimilabili. Mettendo in fila gli undici presidenti della nostra Repubblica e rinvigorendo la nostra memoria, sono evidenti differenze, capacità, significatività e fede repubblicana: De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano.

Si può solo sperare che il prossimo presidente corrisponda alle nostre migliori scelte. Nel clima attuale sarebbe un miracolo.   

sabato 8 novembre 2014

Occupazione: baggianate, tragedie … inettitudine

Occupazione: baggianate, tragedie … inettitudine
Diario 272 

Ormai è di moda “addio al posto fisso”, e il refrain che ministri e presidente del consiglio ripetono quotidianamente. Non sostengo che niente è cambiato, ma quello che è cambiato è peggio e viene descritto come un sogno realizzato (l’autogestione del tempo, la scelta delle opportunità a mano a mano che si presentano, l’indipendenza, ecc.).
Intanto cosa significa posto fisso?
-          la stabilità del lavoro, del reddito, della pensione, del TFR, dell’orario, dei turni (ove necessario), di un eventuale straordinario (altro reddito), ferie, lavoro a tempo parziale secondo necessità e possibilità … tutto contrattato collettivamente attraverso il sindacato;
-          secondo contratto, situazioni di malattia garantite;
-          mansioni, compiti, tipi di lavorazione fissati e programmati;
-          la possibilità di avanzamento nella gerarchia della fabbrica o dell’ufficio;
-          l’inutilità di tormentarsi sul cercare lavoro;
-          l’orgoglio, si anche quello, di essere membro di una collettività che produce certe cose, che realizza certe opere, che fa andare avanti certe istituzioni (pubbliche o private).
Tute blu e colletti bianchi, nonostante quello che si favoleggia, rappresentano più dei  2/3 della forza lavoro che risulta occupata, che cioè ha un posto fisso. Certo questo posto fisso è fisso fino ad un certo punto, le crisi generali e aziendali possono metterlo in discussione. Ma di questo diremo più avanti.
Si ha l’impressione che i “nostri” quando straparlano della massa felice priva del  posto fisso pensano alle professioni liberali di un tempo: avvocati, medici, dentisti, architetti, notai ecc. (alcuni di questi, già oggi, ove non difesi da norme corporative, come i notai, sono in situazioni molto peggiori dei loro genitori e nonni). La massa senza posto fisso e fatta di marginali, di contratti mensili o anche quotidiani, di “lavoretti” (come si dice) e che questi siano felici di non avere il posto fisso lo pensano alcuni insigni studiosi e politici (detentori spesso di un posto fisso non privo di privilegi).
Tra chi non ha il posto fisso ci stanno le forme di lavoro para-schiavista in molte campagne meridionali, o lavori a quelli assimilabili, quelli di alcuni call-center, centri di angherie e soprusi. Tutti felici di non sapere se potranno mangiare fino alla fine del mese? tutti felici di essere a carico dei genitori o nonni pensionati? tutti felici di cambiare lavoro continuamente? tutti felici di vivere facendo le babysitter o le babydog? Tutti felici di non aver una “carriera”? ma non scherziamo. Ma questa situazione è un danno per i lavoratori, un loro degradare, la perdita di personalità, l’inutilità degli studi, ecc. ma pone anche qualche problema alle  imprese e alle istituzioni, questione che viene rubricata, contraddittoriamente,  sotto la voce “produttività” (cosa direbbe il presidente del Consiglio se il personale di Palazzo Chigi cambiasse ogni mese? Di quanto diminuirebbe la produttività del palazzo?).
Non voglio dire, come potrei osare, che tutti dovrebbero avere un posto fisso, ma posso sostenere, e mi sembrerebbe giusto farlo, che in un mercato del lavoro così articolato, come si narra, così libero, affinché tutti possano sentirsi soddisfatti, anche chi non disponesse di un posto fisso dovrebbe godere delle prerogative e dei vantaggi di chi ha un posto fisso: salario, ferie, pensione, TFR, ecc. Trovo che sia indecente che un governo dei centro sinistra (sic!), che si appoggia su un partito di sinistra-democratica (sic!), lavori apertamente e nascostamente per ridurre, per quanto possibile i lavoratori con posto fisso alle stese condizioni di quelli che non lo hanno. Si può anche sostenere che il governo opera affinché siano garantite anche ai lavoratori senza posto fisso le condizioni di chi invece lo ha (mi pare si chiamino la messa in campo di nuovi e più moderni ammortizzatori sociali, sic!). Ma sembra prevaricante che questa possibilità possa essere realizzata riducendo immediatamente i diritti di chi gode del privilegio (sic!) del posto fisso.
Allora diciamo che allo stato dei fatti la questione  non è tanto di posto fisso o non fisso, ma il  mancato impiego della “manodopera” disponibile (non voglio annoiare con le percentuali della disoccupazione giovanile, tanto per fare un esempio). Si tratta di una situazione comune a tutte le economie occidentali (sul modello asiatico non mi pronunzio).
Dove sta la causa di questa situazione strutturale? Ma è ovvio nelle politiche restrittive della UE. Le politiche di austerità stanno uccidendo le economie di quasi tutti i paesi europei, o almeno dei più grandi. Questo si afferma, ma siamo sicuri che sia così? Quello che appare e di cui non si vuole tenere conto è che anche in quei paesi dove il PIL non va così male come da noi, l’occupazione non cresce (o cresce molto di meno da come ci si aspetti e da come sarebbe necessario): in tutti i paesi la disoccupazione tende a crescere, qualche balzo in alto del tasso di occupazione non scalfisce il tasso di disoccupazione). Insomma quella che viene chiamata disoccupazione strutturale (cioè una disoccupazione non eliminabile alle condizioni date) non è solo dell’Italia (e in particolare del suo Mezzogiorno) ma tende a diventare una condizione generalizzata (in misura diversa) in tutti i paesi.
Riduzione e modifica dei consumi, innovazione tecnologica, diseguaglianze crescente nella distribuzione della ricchezza e del reddito, obsolescenza di determinate attività, ecc. sono tra le principali cause di questa situazione. Certo che le politiche di austerità peggiorano la situazione, ma bisogna avere chiaro che politiche “espansive” non risolverebbero la situazione. Siamo ad un nodo della struttura sociale. Quello che i “nuovi ordinatori” non capiscono come, nella situazione attuale  sia indispensabile una vera rivoluzione.
Se la situazione fosse quella descritta, allora dovrebbe essere chiaro che i “provvedimenti” da prendere sarebbero ben altri. La “società” deve garantire tutti (Repubblica fondata sul lavoro), non è possibile far affidamento su ciascuno per la soluzione del problema (iniziativa, entusiasmo, ottimismo, capacità innovativa, ecc.). Certo ciascuno deve fare la sua parte, ma, soprattutto, deve fare la sua parte chi “governa”. Ciascuno nella propria individualità dovrebbe  essere messo in condizione di svolgere un qualche ruolo e questo ruolo non deve essere sociologicamente e psicologicamente stracciato da discorsi senza senso o da invettive mal indirizzate.
Appare chiaro, tuttavia, che matrice, riferimenti sociali e teorici rendono incapace questo governo (e quello della UE) di fare quello che sarebbe necessario. Ma non si tratta di cambiare uomini e donne, ma di costruire domande e soluzioni adeguate a partire dai movimenti sociali e politici. Ma fino a quando il paese resta affascinato dal populismo (progressista, sic!) di Renzi, dalle sue mirabolanti proposte, non resta che un lavoro politico di lunga lena.