Diario 268
Matteo Renzi: senza naso, senza bocca,
senza orecchie e senza … partito
“Io
ci metto la faccia”, così si è declinato il progetto politico del Presidente
del consiglio a proposito delle riforme. La sua faccia dovrebbe essere già
ampiamente affettata, infatti le riforme annunziate: entro un mese, entro
giugno, ecc. non sono state realizzate.
Questo
modo di porsi politicamente mette in discussione non solo la credibilità del
Presidente ma anche la tenuta del suo consenso.
Certo
si può ragionare pensando che se l’elettorato italiano si è sopportato per
decenni Silvio Berlusconi, che in fatto di mantenimento delle promesse non è
stato secondo a nessuno, si può stare tranquilli che anche per Renzi il
consenso elettorale non potrà mancare. Ma forse non è così.
Berlusconi
al di là di qualche sporadica promessa (“un milione di posti di lavoro”) quello
che offriva era un modello: un uomo fattosi da sé, ricco, in quanto ricco
potente, in quanto ricco e potente è circondato da belle donne, un uomo di
successo, in tutti i suoi aspetti (desiderati dai più). Un modello al quale
tutti poteva aspirare, le proprie caratteristiche, il proprio impegno, le
proprie capacità, solo queste avrebbero permesso a ciascuno di conformarsi al
modello. Se non ci si fosse riusciti non era colpa di nessuno ma solo di se
stessi. Il messaggio di Berlusconi, al di là di sbavature di tipo politico, era
un “modello” che caricava su ciascuno la possibilità di emularlo.
Il
messaggio politico di Renzi è molto diverso: non un modello ma un processo di riforma del paese (“cambiare
verso”), Renzi scarica su se stesso
(neanche sul suo governo) la capacità e responsabilità del cambiamento. Il
paese è in attesa che questo cambiamento avvenga, Non si fa carico a ciascun
cittadino del cambiamento, se non per le conseguenze che possono capitare tra
capo e collo a ciascuno date le scelte governative (conseguenze quasi tutte
negative). Il consenso a Renzi è legato alla fiducia che l’uomo riesca nel suo
intento.
Due
messaggi completamente diversi, due conseguenze completamente diverse.
Renzi
è inconsciamente cosciente di questo: quando all’inizio del suo mandato ha
dichiarato che in un mese avrebbe riformato il lavoro, in due la pubblica
amministrazione, in tre …. era, non solo baldanzoso e presuntuoso, ma capiva
(forse a pelle) che queste erano le attese. Da qui “ci metto la faccia” (ormai
una faccia fregiata).
Resosi
conto che i problemi erano molto più complicati, le soluzioni difficili da
trovare, gli interessi coinvolti molti e discordanti, ha allungato la sua
traiettoria riformista: 1000 giorni. Ma mille giorni sono tanti e lunghi da
passare, soprattutto se in questi 1000 giorni si macella la società: blocco
della contrattazione e degli aumenti nella pubblica amministrazione, rinvio
dell’assunzione dei precari della scuola, protesta di carabinieri poliziotti,
ecc. prossima agitazione generale delle tre confederazioni sindacali, ecc. In
più le questioni internazionali, la richiesta degli USA di aumento delle spese
militari, i pericoli di un coinvolgimento bellico, ecc. I 1000 giorni rischiano di essere per Renzi
un calvario, anche perché ha scelto di essere “solo al comando”.
Non
credo che la strada delle riforme che Renzi e la UE fanno intravedere siano appropriate per
affrontare la crisi, ma immaginiamo per un momento che sia la strada giusta.
Per realizzare questa strada il Presidente del consiglio avrebbe bisogno
dell’apporto di un’organizzazione politica (una struttura intermedia) non solo
che lo sostenesse ma che soprattutto facesse “lavoro politico e culturale” tra
il “popolo” . Che potesse convincere le forse sociali della necessità di pagare
dei prezzi, ma che fungesse anche da cinghia di trasmissione tra le forze sociali
e il governo. Qualcuno potrebbe giudicare troppo “tradizionale” questo punto di
vista, ma in assenza di questa intermediazione cosa potrebbe accadere e cosa
accadrà dato che questa struttura intermedia è stata dallo stesso Renzi
distrutta. Va detto, a prescindere dal giudizio che ciascuno di noi ha dato e
avrebbe potuto dare del PD, che quel partito non esiste più, che uno “nuovo”
non è nato. Quello che rimasto si destreggia tra lotte intestine, dichiarazione
di amore, e feste dell’Unità.
Il
primo obiettivo di Renzi appena eletto segretario è stato non soltanto della rottamazione
dei suoi gruppi dirigenti, ma la distruzione del partito e di quel che restava
della sua organizzazione, progettandone vagamente uno nuovo. Oggi che di un
partito che sostenesse “popolarmente” la sua politica avrebbe bisogno come
l’aria, non lo ha più.
Avere
pensato che bastasse la “comunicazione”, la trovato del cono gelato, la non
partecipazione alla riunione del gotha dell’economia, tanto per citare gli
ultimi episodi comunicativi, potessero bastare per tenere legato il consenso
popolare a me pare un errore.
Poiché
il progetto politico di Renzi sono le
riforme, l’opinione pubblica lo misurerà sulla realizzazione delle riforme e
sui benefici che queste riforme porteranno per tutti o per larghi strati della
popolazione (ci potranno essere dei momenti di coinvolgimento e di entusiasmo
per Renzi, ma poi i nodi del reddito, della disoccupazione, ecc. verranno
prepotentemente a galla).
Un
progetto di lungo periodo (1000 giorni, per cominciare), l’assenza di una
struttura intermedia di sostegno (il Partito), la scarsità dei risultati, il costo
delle riforme che graverà sul ceto medio e sugli strati popolari, lasciano
presagire un declino non troppo lontano di Renzi.
In
questo c’è una tragedia: la mancanza di un’alternativa progressista e di
sinistra.
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