Cara Alberto,
la rilettura del tuo libro (Alberto Magnaghi, Un’idea di libertà (DeriveApprodi, 2014,
p. 204, 15€) a distanza di quasi trenta anni mi ha fatto un’impressione non
solo notevole, come allora, ma molto diversa dalla prima lettura. In quella lo
sguardo politico era stato prevalente, del resto il processo contro di te egli
altri compagni era concluso da poco, come da pochi anni eri stato liberato
dalle catene del carcere.
Non intendo dire che la “politica”, possa essere espunta dal
tuo diario dal carcere, ma oggi l’attenzione può essere posta sul travaglio
fisico, intellettuale e psicologico che la lunga detenzione ti ha imposto. Le
pagine che esplorano le “condizioni” dalla cella d’isolamento, alla camerata
passando per la piccola cella mi sono parse testimonianza di un continuo “adattamento”
sui modi specifici della resistenza verso non la distruzione ma, come sostiene
tu, la dissoluzione di mura, limitazione
di spazio, grate, ritmi imposti e soprattutto dissoluzione dello stato delle
cose. Un concetto che costituisce una variazione del tuo precedente pensiero
politico.
Mi domando oggi se avere insistito affinché tu scrivessi,
durante la detenzione, un libro (Il sistema di governo delle regioni
metropolitane) che contenesse i tuoi ultimi interessi disciplinari, non sia
stata un’ingerenza indebita, un “disturbo”. Allora mi sembrava che lavorare al
libro potesse in qualche modo ridurre l’oppressione carceraria, come se fosse
una distrazione. Oggi ho il sospetto, sebbene ne parli in modo molto sfumato,
che abbia costituito un aggravio della tua condizione: un piegarti a vincoli,
permessi, spazi specifici.
Nel diario dal carcere trovo emozionante il passaggio
dalle questioni che riguardano i bisogni e gli avvenimenti materiali e le tue
considerazioni sugli spazi più psicologici che fisici.
Caro Alberto quella che hai dovuto affrontare è stata un’esperienza
totalizzante, intendo in negativo totalizzante, che tu ci restituisci con
pudore ma completamente, una restituzione che si coglie in tutte le sue sfaccettature
e implicazioni a distanza dagli avvenimenti politici che l’anno causata, almeno
così è per me. Se a suo tempo il risentimento era politico, oggi stemperato da
quello il risentimento mi pare più profondo e implicante.
Alberto Magnaghi è stato arrestato, nell’ambito dell’istruttoria
denominata “7 aprile” contro ex-dirigenti e compagni della già disciolta, da
molto tempo, organizzazione politica Potere Operaio. Erano accusati di essere i
dirigenti occulti delle Brigare Rosse; un accusa infondata, non provata che si
fondava su quello che venne definito il “teorema Calogero” (dal nome del giudice
istruttore).
Certo che Alberto era stato dirigente di Potere Operaio,
ma poco a che fare aveva con l’idea della lotta armata. Quando è stato
arrestato, nel dicembre del 1979 (Potere Operaio si era sciolta nel 1973) insegnava
al politecnico di Milano, facoltà di Architettura. Il suo impegno culturale,
scientifico e politico trovavo coagulo espressivo nella rivista Quaderni del territorio.
Dal dicembre del 1979 fino a settembre del 1982 resta in
carcere. Quasi tre anni.
Fino al settembre 1980 a San Vittore (Milano), poi a Roma
Rebibbia e Regina Coeli. Il libro di cui si parla è il diario di questa lunga
carcerazione.
Io credo che tutti dovrebbero leggere o rileggere questo
testo, non ponendo molta attenzione alle questioni politiche, alle ragioni di
questa lunga e inutile carcerazione, non perché non siano importanti ma perché ormai
è storia e solo per accenni se ne parla nel libro con riferimento all’impegno
per stendere memorie o studiare gli atti processuali, ma avendo cura di
scrutare le riflessioni di Alberto sulla condizione di recluso, le inflessioni
del pensiero ed anche le sue trasformazioni. Un ansia di libertà, anche minuta,
intorno alle piccole cose, che porta ad un’idea di libertà.
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