Diario
6 febbraio 2021
Per quanto bisogna essere cauti, il
governo fa i primi passi, ma come diceva mia nonna “il buon giorno si vede dal
mattino”. Dall’uomo al comando “plurichiesto”, noto per la sua indubbia
competenza, ad uso a trattare con i
potenti della terra e nello stesso tempo a comandare, c’era da attendersi, fin dall’inizio, delle scelte da farci restare
con la bocca aperta. Niente di tutto questo, non solo, ma mi pare si possa leggere in filigrana una
strategia non adeguata a governare un paese.
Se hai un obiettivo solo, fosse anche
ambizioso e di grande rilievo, come salvare l’euro, puoi indirizzare tutte le
forse disponibili verso questo obiettivo, ma se governi un paese dove sono
rilevanti, un po’ alla rinfusa, il controllo dell’epidemia, il crescente numero
delle famiglie in difficoltà, la scuola (apertura e sicurezza), il calo dei
consumi, il blocco dei licenziamenti, la disoccupazione in aumento, la capacità
di arricchirsi di alcune categorie sfruttando la pandemia, i giovani che non
studiano e non lavorano, i femminicidi, il consumo di droga, l’arrivo degli
immigrati, la partecipazione a missioni di “pace” nel mondo, le aziende in crisi, ecc. ecc. allora l’algoritmo
diventa molto complesso, non meccanico e
automatico e necessità di una forte capacità di … governo.
Il motto andreottiano “a pensar male si
fa peccato ma si indovina”, mi fa ribrezzo, per il suo cinismo e per l’assoluto
disprezzo per il genere umano, ma senza pensar male, ma guardando alle scelte
del presidente Draghi, si ha l’impressione che abbia messo a fuoco delle
questioni privilegiate, mentre per il resto del ventaglio delle competenze e
dei compiti di governo si sia “abbandonato”
alla tradizione. Non vi è dubbio che la lotta al virus e la messa a
punto di un piano di spesa per le risorse che verranno dalla UE siano
importanti, importantissimi, ma anche il resto riveste una rilevanza che non
può essere dimenticata.
Mi sembra, per esempio, che il presidente
Draghi abbia dimostrato una certa indifferenza per le indicazioni fornite dai
partiti, per la nomina dei ministri. Non si può dire che si tratti del governo
dei migliori. Ha badato ad alcune scelte che stavano nelle sue priorità, ma
anche qui facendo perno su “amicizia e fedeltà” e su non meditati consigli. Per
non parlare della questione dei vice ministri e sottosegretari, tutti bravi e
soprattutto dotati di competenze multiple (il passaggio da un ministero ad un
altro non contava). Una marea di nomine, risolvendo il problema della
complessità delle questioni attraverso la numerosità dei responsabile. Brutta
strategia.
Ma c’è un punto che mi ha meravigliato
oltre misura, la nomina di Francesco Giavazza a consulente della Presidenza del
consiglio. Il Prof. Giavazza ci allieta spesso con i suoi editoriali super
liberisti, né mi pare che le sue precedenti consulenze (al governo D’Alema
e al governo Monti) hanno lasciato il segno. La sua posizione è
contraria ad ogni intervento dello Stato in economia, un liberista senza rete.
Non è chiaro perché Draghi abbia scelto a suo consulente un professore di idee
vecchie e non piuttosto uno dei tanti brillanti economisti con un forte senso
di realismo.
Il prof. Caffè, per quanto l’ho conosciuto
e discusso con lui nel suo studiolo in facoltà (mi spiace solo dell’esiguità
del numero degli incontri, per colpa mia) scuote le testa riflettendo sull’uso che
dei suoi insegnamenti fa il suo allievo
Draghi.
Nessun commento:
Posta un commento