domenica 5 luglio 2015

Distruggere l’università, un impegno governativo chiaro


Distruggere l’università, un impegno governativo chiaro

Diario n. 293

In nessun campo questo governo e quelli precedenti hanno dimostrato una così ferma volontà come nel distruggere l’università.
Al provvedimento che distribuisce le risorse alle università secondo  la loro qualità (molto alle sedi che si distinguano per   qualità e poche alle altre) il che significa che le sedi giudicate negative  peggioreranno sempre di più (le risorse non sono tutto, ma contano), ora giunge la proposta di valutare, per l’ammissione alla pubblica amministrazione, ma poi questo varrà in generale, non  solo il voto di laurea ma anche la qualità dell’ateneo dove quella laurea è stata presa. Così se la laurea è stata presa in un Ateneo marchiato da un giudizio negativo quel voto varrà meno.  Quelle sedi che non garantiranno prestigio al voto di laurea saranno sempre meno frequentate con ovvie conseguenze cumulativo sulla loro qualità. Resta aperta la questione circa modalità e criteri di valutazione degli Atenei ma è argomento che tralascio in questo momento.
Sono due provvedimenti che mettono in ginocchio definitivamente l’università italiana, tutta la struttura universitaria nazionale, non solo per un ingiustificata classificazione di  Atenei di seri A e di serie B, ma perché i provvedimenti non tendono a correggere questa situazione ma a sedimentarla. Stiamo parlando di università pubbliche e statali, cioè di università che dovrebbero offrire tutte lo stesso servizio. La cosa incomprensibile è che gli Atenei di serie A non si preoccupino, sembra loro che avere più risorse e affamare gli altri Atenei sia per loro vantaggioso, non riflettono che la crisi del sistema universitario nazionale lungo questa linea li coinvolgerà a pieno.
Non credo assolutamente che i peggiori Atenei con più soldi diventerebbero virtuosi, non solo per la conoscenza dell’ambiente ma per semplice deduzione: si sono ridotte a questo stato a partire da situazioni pari o abbastanza vicini a quelle degli altri. In sostanza si sono ridotti al presente stato non per mancanza di risorse ma per povertà di impegno, nepotismo, per aver accordato privilegi ai docenti, per mancanza di controllo di qualità, ecc.
Se il Governo veramente avesse a cuore l’Università, se veramente la considerasse prioritaria per il futuro del paese, come ogni tanto qualche suo membro autorevole afferma, allora non solo i provvedimenti presi risulterebbero  sbagliati ma lo sarebbero tutte quelle dello stesso tenore. La lotta dei governi contro l’Università tutta comunque non è da oggi, risulta da un impegno costante e continuo, varrà la pena in altra occasione fare la storia di questa politica.

Certo non si possono premiare i peggiori, ma se si volesse avere cura dell’istruzione superiore altri dovrebbero essere i provvedimenti da prendere. Provvedimenti anche più drastici, che possono mettere  in discussione l’autonomia delle università, ormai ridotta di fatto a pochissima cosa.  Risorse finanziarie maggiori dovrebbero essere garantite a questi Atenei scadenti, maggiori rispetto  agli altri, e contemporaneamente commissariarli (per esempio con una terna di docenti presi dagli altri Atenei o con altre scelte commissariali) con l’obiettivo di riportare questi Atenei a livello medio degli altri virtuosi.  Cinque anni di tempo per raggiungere questo obiettivo, con controlli periodici, con verifiche annuali, ecc.  Se entro cinque anni non si raggiungesse uno standard soddisfacente questi Atenei andrebbero chiusi. Non possono essere uno strumento di comodo sia per il governo che per tutto il sistema universitario nazionale. Esistono risorse umane per fare questo salto, ma vanno penalizzate tutte le forme di nepotismo, andrà preteso un impegno didattico e di ricerca pieno, andranno immessi in ruolo  docenti più giovani, andrà garantita una  presenza continua, di tipo residenziale, va garantito il diritto allo studio,  ecc. (Ma per questo va evitata ogni farsa, come quello dei concorsi abilitanti che messi insieme ai vincoli di assunzioni producono non motivazione ma frustrazione).

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