Sempre
più spesso, discutendo tra amici, emergono delle differenze di prospettiva
politica. Sarebbe un errore classificare le diverse posizioni come ottimiste o
pessimiste, mi sembra che c’è in queste diversità qualche elemento di concretezza e di
verità (parola grossa). Vorrei esporre in modo più oggettivo gli elementi che
in generale ci trovano d’accordo e quelli, più importanti, di disaccordo. Un
tentativo di coinvolgere i frequentatori di felicita
futura, oltre, ovviamente gli amici con i quali ho discusso, ad una
discussione senza rete.
In
generale siamo d’accordo sulla natura dell’attuale crisi economica: non
corrisponde a una congiuntura negativa, per quanto lunga, ma a una crisi del
sistema di produzione capitalistico. Modifiche nei processi di accumulazione
(finanziarizzazione), come pure rilevanti innovazioni tecnologiche che
modificano elementi non marginali del
sistema di produzione, nuova divisione internazionale del lavoro, unificazione
mondiale del mercato, aumento delle disparità economiche, nonché aspetti che
riguardano l’ambiente, appaiono come
elementi che mettono in dubbio la sopravvivenza
della formazione sociale che c’è nota. Alcuni, pochi, sono più cauti su questa diagnosi,
condividendo i grandi e profondi cambiamenti, pare loro che il sistema possa
stare ancora in piedi anche se ampiamente trasformato e da trasformare (del
resto i continui annunzi della ripresa alimentano questa interpretazione).
Parlare
di crisi del sistema di produzione non significa considerare superati gli
specifici rapporti di produzione, né, tanto meno, immaginare che i rapporti di
potere (sociale e internazionale) pesino meno. Si ha la consapevolezza che i
rapporti di potere si stiano esercitando in termini di impoverimento delle
masse (almeno in occidente) e di diminuzione dei gradi di libertà. Tutto questo
non ci fa dire che siamo alle soglie di un’alba radiosa. I forti aumenti nelle
diseguaglianze economiche e sociali stanno a indicarci che la crisi differenzia
molto e quello che ci appare all’orizzonte è una crescente società
differenziata e autoritaria.
Tutti
appaiamo convinti di un cambiamento
necessario.
È
proprio su tale cambiamento che cominciano le differenze. Come detto non è
questione di ottimismo o di pessimismo, come non c’entrano destra e sinistra;
quello che ci divide, per dirla in formula, è l’identificazione del “motore
della storia”.
Una
differenza è sulle reazioni. La domanda banale è: come mai non ci si organizza
per combattere questa situazione?
Anche
se si usano parole diverse circa lo stato della società (vale soprattutto per l’Italia e la Spagna, ma forse anche in generale) mi
pare che comune sia l’analisi. Alcuni ritengono che la “via di crescita”
assunta dalla società mondo possa essere rappresentata dall’immagine di una
mano che stringe la piramide sociale che ci era nota per proiettare pochi in
alto e molti in basso, ma soprattutto scomponendo
i membri della società la maggior parte dei quali avendo perso il contatto con
gli strati sociali superiori ma vicini nella vecchia scala sociale, perdono la “speranza”. Altri di noi preferiscono parlare di disarticolazione, se ho capito bene, non
come effetto dei processi prima descritti, ma come espressione di “potere” per
evitare che la società si ricomponga in modo antagonistico. È probabile che tra
i due punti di vista si possa intravedere un effetto somma.
Parlare
di “speranza perduta” a molti dei miei amici non piace, ad altri pare un dato
essenziale: la perdita di speranza non genera antagonismo, ma piuttosto
sconforto, individualismo mentre la
società incarognisce.
A
molti la rivoluzione sembra
necessaria, se da una parte essa non può essere la ripetizione delle rivoluzioni
del passato, essa non può non incidere sui rapporti di potere. Non sono sicuro
ma mi pare che alcuni di noi pensano che il cambiamento possa scaturire da
iniziative individuali (di piccoli gruppi) che non hanno come obiettivo la
rivoluzione ma un contributo parziale
al miglioramento della vita che come somma darà la modifica della società. La
maggior parte di noi pensa che l’iniziativa individuale o di gruppo, anche di
lotta sociale, che non abbia un’analisi, una teoria e un obiettivo, possa
essere utile ma non risolutiva.
Una
rivoluzione del sistema deve per forza possedere una piena consapevolezza dei
cambiamenti di sistema, perché solo intervenendo su questi si possono produrre
trasformazioni.
Vanno
colti sia i mutamenti strutturali, come la finanziarizzazione dell’economia,
sia i mutamenti ideologici, l’individualismo e il liberismo, sia quelli di
natura antropologica e comportamentale. Uno di noi sottolinea come la corruzione non si limita alla
corruzione come viene descritta dai giornali, ma investe i nostri
comportamenti, che per mezzo di “amicizie” cercano vantaggi a svantaggio di
altri membri della società (vedi per tutti la “raccomandazione”). Detto brutalmente
non sono solo le “caste” ad essere
corrotti ma lo siamo tutti (certo con effetti diversi e mezzi diversi), si
tratta di un effetto dell’individualismo esasperato.
Ma
come e verso dove andare?
Dove
andare e insieme difficile e facile: cancellare le diseguaglianza, dividere il
lavoro secondo necessità e possibilità, ricostruire un tessuto sociale
collettivo, rafforzare le istituzione che garantiscono formazione, salute,eec.,
difendere l’ambiente delle
trasformazioni inutili e dannose, ecc. Tutto questo prevede la trasformazione
dei rapporti sociali di produzione. Secondo
un amico, la soluzione sta nella trasformazione della moneta in bene comune
(grazie anche alla crescita della moneta elettronica). Che ne evita cioè l’ereditarietà
ma non l’accumulazione (individuale); e
questo è un problema. Per altri, la moneta come bene comune potrà essere un
effetto della trasformazione e non lo strumento della trasformazione.
Ma
è sul come che le differenze si fanno più profonde. La necessità di corpi sociali
intermedi (sul tipo dei partiti) paiono ad alcuni essenziali, per formare una coscienza
collettiva, per mobilitare, per organizzare e finalizzare le lotte. L’idiosincrasia
per i partiti, (la casta), se da una parte ha ragione di essere dall’altra parte
costituisce un elemento del degrado della società e della lotta politica e
anchde uno strumento di oppressione. Le terapie per la trasformazione dei
partiti per adeguarli alle necessità odierne non sono né chiare né semplici.
Alcuni
fanno molto affidamento sui “movimenti spontanei” e soprattutto sui giovani: i
giovani non vanno considerati senza speranza ma la speranza. L’obiezione che i movimenti
ai quali si è assistito in questi anni di crisi, non hanno tenuta in ragione di
una carenza di analisi e la mancanza di una teoria, non scalfisce i sostenitori
di questa posizione. Si replica che non resistono ma producono poi iniziative
diverse e soggettive (di cui si è detto).
In
realtà in queste discussioni, come è ovvio, le divagazioni sono state moltissime, ma da
parte mia ho cercato di cogliere il nocciolo, e spero raccontato con quella obiettività di cui
sono stato capace nonostante il mio
diretto convincimento.
La
quotidianità politica, non poteva mancare in questi discussioni per lo più
conviviali, ma su questo terreno nessuna novità se non una differenza di
giudizio sul declino definitivo di Berlusconi.
C’è
un punto che è stato affrontato marginalmente ma che meriterà di essere
approfondito: non c’è dubbio che la situazione italiana e spagnola si
caratterizzano per un peggioramento della situazione sociale ed economica di
fasce consistenti di famiglie e individui (riduzione dei redditi, delle
pensioni, disoccupazione, disoccupazione giovanile, cassa integrazione, ecc.)
ma si ha l’impressione che a livello di “consumi”, soprattutto della loro
qualità, la crisi non appaia. Si sta creando una nuova bolla di debiti?
Nessun commento:
Posta un commento