sabato 24 agosto 2013

Le divergenze interne al popolo (si fa per dire)

Sempre più spesso, discutendo tra amici, emergono delle differenze di prospettiva politica. Sarebbe un errore classificare le diverse posizioni come ottimiste o pessimiste, mi sembra  che c’è in queste  diversità qualche elemento di concretezza e di verità (parola grossa). Vorrei esporre in modo più oggettivo gli elementi che in generale ci trovano d’accordo e quelli, più importanti, di disaccordo. Un tentativo di coinvolgere i frequentatori di felicita futura, oltre, ovviamente gli amici con i quali ho discusso, ad una discussione senza rete.
In generale siamo d’accordo sulla natura dell’attuale crisi economica: non corrisponde a una congiuntura negativa, per quanto lunga, ma a una crisi del sistema di produzione capitalistico. Modifiche nei processi di accumulazione (finanziarizzazione), come pure rilevanti innovazioni tecnologiche che modificano elementi non marginali  del sistema di produzione, nuova divisione internazionale del lavoro, unificazione mondiale del mercato, aumento delle disparità economiche, nonché aspetti che riguardano l’ambiente,  appaiono come elementi che  mettono in dubbio la sopravvivenza della formazione sociale che c’è nota. Alcuni, pochi, sono più cauti su questa diagnosi, condividendo i grandi e profondi cambiamenti, pare loro che il sistema possa stare ancora in piedi anche se ampiamente trasformato e da trasformare (del resto i continui annunzi della ripresa alimentano questa interpretazione).
Parlare di crisi del sistema di produzione non significa considerare superati gli specifici rapporti di produzione, né, tanto meno, immaginare che i rapporti di potere (sociale e internazionale) pesino meno. Si ha la consapevolezza che i rapporti di potere si stiano esercitando in termini di impoverimento delle masse (almeno in occidente) e di diminuzione dei gradi di libertà. Tutto questo non ci fa dire che siamo alle soglie di un’alba radiosa. I forti aumenti nelle diseguaglianze economiche e sociali stanno a indicarci che la crisi differenzia molto e quello che ci appare all’orizzonte è una crescente società differenziata e autoritaria.
Tutti appaiamo convinti di un cambiamento necessario.  
È proprio su tale cambiamento che cominciano le differenze. Come detto non è questione di ottimismo o di pessimismo, come non c’entrano destra e sinistra; quello che ci divide, per dirla in formula, è l’identificazione del “motore della storia”.
Una differenza è sulle reazioni. La domanda banale è: come mai non ci si organizza per combattere questa situazione?
Anche se si usano parole diverse circa lo stato  della società (vale soprattutto per l’Italia  e la Spagna, ma forse anche in generale) mi pare che comune sia l’analisi. Alcuni ritengono che la “via di crescita” assunta dalla società mondo possa essere rappresentata dall’immagine di una mano che stringe la piramide sociale che ci era nota per proiettare pochi in alto e molti in basso, ma soprattutto scomponendo i membri della società la maggior parte dei quali avendo perso il contatto con gli strati sociali superiori ma vicini nella vecchia scala sociale, perdono la “speranza”.  Altri di noi preferiscono parlare di disarticolazione, se ho capito bene, non come effetto dei processi prima descritti, ma come espressione di “potere” per evitare che la società si ricomponga in modo antagonistico. È probabile che tra i due punti di vista si possa intravedere un effetto somma.
Parlare di “speranza perduta” a molti dei miei amici non piace, ad altri pare un dato essenziale: la perdita di speranza non genera antagonismo, ma piuttosto sconforto, individualismo mentre  la società incarognisce.
A molti la rivoluzione sembra necessaria, se da una parte essa non può essere la ripetizione delle rivoluzioni del passato, essa non può non incidere sui rapporti di potere. Non sono sicuro ma mi pare che alcuni di noi pensano che il cambiamento possa scaturire da iniziative individuali (di piccoli gruppi) che non hanno come obiettivo la rivoluzione ma un contributo parziale al miglioramento della vita che come somma darà la modifica della società. La maggior parte di noi pensa che l’iniziativa individuale o di gruppo, anche di lotta sociale, che non abbia un’analisi, una teoria e un obiettivo, possa essere utile ma non risolutiva.
Una rivoluzione del sistema deve per forza possedere una piena consapevolezza dei cambiamenti di sistema, perché solo intervenendo su questi si possono produrre trasformazioni.
Vanno colti sia i mutamenti strutturali, come la finanziarizzazione dell’economia, sia i mutamenti ideologici, l’individualismo e il liberismo, sia quelli di natura antropologica e comportamentale. Uno di noi sottolinea come la corruzione non si limita alla corruzione come viene descritta dai giornali, ma investe i nostri comportamenti, che per mezzo di “amicizie” cercano vantaggi a svantaggio di altri membri della società (vedi per tutti la “raccomandazione”). Detto brutalmente non sono  solo le “caste” ad essere corrotti ma lo siamo tutti (certo con effetti diversi e mezzi diversi), si tratta di un effetto dell’individualismo esasperato.
Ma come e verso dove andare?
Dove andare e insieme difficile e facile: cancellare le diseguaglianza, dividere il lavoro secondo necessità e possibilità, ricostruire un tessuto sociale collettivo, rafforzare le istituzione che garantiscono formazione, salute,eec.,  difendere l’ambiente delle trasformazioni inutili e dannose, ecc. Tutto questo prevede la trasformazione dei rapporti sociali  di produzione. Secondo un amico, la soluzione sta nella trasformazione della moneta in bene comune (grazie anche alla crescita della moneta elettronica). Che ne evita cioè l’ereditarietà  ma non l’accumulazione (individuale); e questo è un problema. Per altri, la moneta come bene comune potrà essere un effetto della trasformazione e non lo strumento della trasformazione.
Ma è sul come che le differenze si fanno più profonde. La necessità di corpi sociali intermedi (sul tipo dei partiti) paiono ad alcuni essenziali, per formare una coscienza collettiva, per mobilitare, per organizzare e finalizzare le lotte. L’idiosincrasia per i partiti, (la casta), se da una parte ha ragione di essere dall’altra parte costituisce un elemento del degrado della società e della lotta politica e anchde uno strumento di oppressione. Le terapie per la trasformazione dei partiti per adeguarli alle necessità odierne non sono né chiare né semplici.
Alcuni fanno molto affidamento sui “movimenti spontanei” e soprattutto sui giovani: i giovani non vanno considerati senza speranza ma la speranza. L’obiezione che i movimenti ai quali si è assistito in questi anni di crisi, non hanno tenuta in ragione di una carenza di analisi e la mancanza di una teoria, non scalfisce i sostenitori di questa posizione. Si replica che non resistono ma producono poi iniziative diverse e soggettive (di cui si è detto).  
In realtà in queste discussioni, come è ovvio,  le divagazioni sono state moltissime, ma da parte mia ho cercato di cogliere il nocciolo, e  spero raccontato con quella obiettività di cui sono stato  capace nonostante il mio diretto convincimento.
La quotidianità politica, non poteva mancare in questi discussioni per lo più conviviali, ma su questo terreno nessuna novità se non una differenza di giudizio sul declino definitivo di Berlusconi.
C’è un punto che è stato affrontato marginalmente ma che meriterà di essere approfondito: non c’è dubbio che la situazione italiana e spagnola si caratterizzano per un peggioramento della situazione sociale ed economica di fasce consistenti di famiglie e individui (riduzione dei redditi, delle pensioni, disoccupazione, disoccupazione giovanile, cassa integrazione, ecc.) ma si ha l’impressione che a livello di “consumi”, soprattutto della loro qualità, la crisi non appaia. Si sta creando una nuova bolla di debiti?

   

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