Diario 152
21-27 novembre
F.I.
- Il fiducismo non paga
- Che fa il governo Monti?
- Vediamoci chiaro
- Marchionne un marpione
- Monti ha un problema
- A propèosito della crisi
- Citazioni: nel bene e nel male
Il “fiducismo” non
paga
Lunedi 21 novembre: Borsa Milano - 4,70%; spread 487
Martedi 22 novembre: Borsa Milano -1,41% ; spread 490
Mercoledì 23 novembre: Borsa Milano -2,59%; spread 483
Giovedì 24 novembre Borsa Milano +0,03% spread 491
Venerdì 25 novembre Borsa Milano +0,12% spread 499,80
Molti si erano illusi che bastasse “dare” fiducia ai mercati
perché la speculazione si fermasse. Il professor Monti era l’uomo giusto, sprigiona
fiducia da tutti i pori, ma la speculazione continua a … speculare.
Alcuni ricavano da questa situazione che è stato inutile far
dimettere Berlusconi; e no! Berlusconi non era responsabile della speculazione
(almeno che lui stesso non speculi, con il suo patrimonio se lo può
permettere), come non lo è Monti. Ma per questione di salute pubblica le
dimissioni di Berlusconi sono state molto opportune.
Che fa il governo
Monti?
“Piano ma bene”, non ci credo. Ho il sospetto che non sappia
cosa fare, forse, ma molte forse, si vanno convincendo che le ricette
tradizionali non servano a niente e … riflettono. Monti sa (?) che una
soluzione sola Italiana sarebbe inutile e vuole convincere l’Europa (cioè
Germania e Francia) ad una politica comune. Ma quale politica?
Vediamoci chiaro
Chiacchierando e riflettendo con il mio amico Angelo sono
venute fuori alcune questioni:
-
espressi in eurobond o in BOT, CCT ecc. per il debito
degli stati non cambierà, sarebbero debitori in eurobond. Si dice che gli eurobond sarebbero più affidabili,
torniamo alla favola della fiducia. Inoltre non si capisce cosa potrà cambiare dal punto di vista dei rendimenti; avranno rendimento unico per tutti o saranno
rendimenti che il mercato stabilirà stato per stato? E per gli speculatori cosa
cambierà, diserteranno le aste o con
altri sistemi decideranno loro dei rendimenti
di eventuali eurobond in capo all’ Europa nel suo complesso?
-
è insopportabile come viene presentata la questione del
debito allo scopo di indurre panico o, per mera ignoranza, allo scopo di
indurre in soluzioni non solo sbagliate, ma sostanzialmente favorevoli agli
speculatori e dannose per i popoli. È necessario subire i rialzi dei rendimenti
perché, si argomenta, in caso contrario non
si troverebbero sul mercato chi sarebbe disposto a prestarci nuovo danaro. Tanto meno
è impensabile toccare il debito. Ma attenzione dobbiamo cercare nuovo danaro
sul mercato solo per pagare i debiti già contratti. I risparmiatori e gli
speculatori i soldi ce li hanno già dati, è il nostro debito;
-
partiamo dal nostro debito. Ciò che gli speculatori e i
risparmiatori hanno in mano sono titoli, in parte scaduti, con un rendimento
che all’atto della loro sottoscrizione
non superava il 4%; titoli perfettamente validi anche se alla scadenza
non vengono onorati (sono cambiali dello Stato). Su questi, a meno che i
portatori non decidano di farci fallire, (nel qual caso metterebbero in
discussione non solo il rendimento ma anche il valore nominale dei titoli
stessi e tempi lunghissimi di eventuale rientro di capitali e rendimento), il
massimo che possono chiederci, è un interesse di mora. L’asta che
periodicamente si fa dei titoli di stato serve solo per pagare i titoli
scaduti, cioè per rinnovare il debito spostando nel tempo la sua scadenza, per questo i rinnovi avvengono ad elevati rendimenti per danaro già prestatoci, con la scusa di favorirci con nuove e più lontane
scadenze. Insomma una specie di diritto di mora, per rinnovare il debito;
-
va ripetuto che i titoli di Stato sono debiti a pari di
tutti gli altri debiti contratti dallo Stato nei riguardi dei cittadini:
pensioni, salute, scuola, ecc. Favorire i titoli di Stato configura una
bancarotta preferenziale, proibita dalla legge.
Che si può fare? Data l’incapacità
di pescare il pesce giusto, non si sa che pesci prendere, la cosa da fare è
congelare per cinque anni il debito. Cosa che dovrebbe interessare anche il
“piccolo” risparmiatore che in caso di fallimento vedrebbe vanificare il
proprio capitale, mentre i titoli restano validi. In questi cinque anni i
governi potrebbero capire quali sono i
mutamenti indotti e potrebbero prendere i provvedimenti adatti (dal controllo
sui tassi d’interesse, al controllo sui cambi, alla eliminazione delle Borse,
alla riorganizzazione delle banche alle quali sarebbe proibito operare nella
“finanza”, ecc.) tutti provvedimenti che tuttavia non inciderebbero, almeno io
credo, sulla natura del “nuovo capitalismo”. Per chi non credesse in questa
soluzione ci sarebbe tempo per cominciare a sperimentare forme di nuove e
diverse organizzazioni sociali ed economiche.
Un soluzione di questo tipo
dovrebbe essere comune a tutti i paesi, ammesso che i decisori politici fossero
indipendenti dalla “finanza”; in questa direzione il professor Monti dovrebbe
esercitare la forza della sua serietà e credibilità. Se non riuscisse potremmo
farlo da soli, sapendo che non abbiamo bisogno di ricorrere al mercato
finanziario per cinque anni.
Marchionne un
marpione
Il finanziere Marchionne ha dato prova della sua filosofia.
L’accordo di Pomigliano, che secondo i firmatari sindacali di quell’accordo era
limitato a quella fabbrica, diventa la regola per tutto il gruppo. Al solito
“mangiare la minestra o ….”.
È stato costretto dal governo ad un accordo su Termini
Imerese che in qualche modo garantisce, anche se non totalmente, i diritti dei
lavoratori? Il participio passato del verbo costringere mi sembra eccessivo.
Forse ci sono delle contropartite non immediatamente evidenti? Non sono
necessari plateali dichiarazioni, tra gentiluomini basta un accenno, un
sorriso, un aggrottare di fronte e tutto è chiaro.
Comunque l’accordo di Termini non garantisce sviluppo
futuro.
Monti ha un problema
Il Presidente del consiglio vorrebbe nella compagine
governativa, non è chiaro se come sottosegretario o vice ministro il dr.
Grilli, direttore generale del Ministero del tesoro. Ma Grilli nicchia, non per
ragioni politiche, non per ragione di dignità, era stato candidato a
Governatore della Banca d’Italia, non per antipatia a Monti, ma per ragione di
soldi. Egli oggi guadagna euro 524.840
annui, e, andando al governo, verrebbe a guadagnare solo 180.000€. Certo una gran perdita; la soluzione sarà trovato
nel “doppio incarico”, che non credo sia un doppio lavoro, ma potrebbe essere
addirittura un doppio stipendio.
A proposito della
crisi
(Vi propongo un
articolo che avevo scritto per Il Manifesto ma che deve essersi perso nelle
stanze della redazione. È stato pubblicato dal blog sbilanciamoci, cosa di cui ringrazio gli amici. Che l’articolo si
era perso è confermato dal fatto che oggi, domenica, Il Manifesto ne pubblica
alcuni stralci presi dal blog di sbilanciamoci. Blog che vi spingo a
frequentare perché molto interessante).
C’è un po’ di
terrorismo in chi è contrario al fallimento nel descriverne gli effetti. Mi è
chiaro che giungere ad una qualche forma di fallimento non è come bere una
tazza di caffè, ma il problema non è questo, il tema è: se ne può fare a meno?
Una risposta a questo interrogativo presuppone una qualche considerazione sulle
trasformazione del capitalismo. Un po’ mi devo ripetere, mi scuso.
Si sostiene che la crisi attuale è una crisi da eccessiva
capacità produttiva e da mancanza di domanda solvibile. Due osservazioni: da
una parte questa interpretazione è contraddittoria con l’osservazione che la
crisi prende corpo da un eccesso di domanda a “credito”, quindi non la domanda
ma la sua finariarizzazione è il problema; dall’altra parte è vero che c’è una
crisi di domanda dato che la popolazione viene continuamente tosata per far
fronte alle ingiunzioni della finanza.
È necessario riflettere che la finanziarizzazione dell’economia non è solo una evoluzione del
capitalismo ma la modificato della sua natura. Il processo è passato dalla
proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D), attraverso il quale il capitale, con
una distribuzione non equa del valore prodotto tra capitale e lavoro,
accumulava ricchezza, a quella
odierne denaro-denaro-denaro (D-D-D),
che senza la “mediazione” della produzione di merci (e servizi), permette di
accumulare ricchezza (in poche mani).
Si rifletta sui seguenti dati mondiali: il PIL ammonta a
74.000 miliardi; le Borse valgono 50.000 miliardi; le Obbligazioni ammontano a
95.000 miliardi; mentre gli “altri” strumenti finanziaria ammontano a 466.000
miliardi. Risulta così che la produzione
reale, merci e servizi (74.000 miliardi), è pari al 13% degli strumenti
finanziari. Quanto uomini e donne producono, in tutto il mondo, rappresenta poco
più di 1/10 del valore della “ricchezza” finanziaria che circola. Questo dato
quantitativo ha modificato la qualità dell’organizzazione economica: mentre
resta attiva la parte di produzione materiale si è sviluppata un’enorme massa
di attività finanziaria che mentre trentanni fa lucrava sul “parco buoi”, chi
affidava alla borsa i propri risparmi nella speranza di arricchirsi, ora lucra
sui popoli che da una parte sono sottoposti ad una distribuzione non equa di
quanto produco (gli indipendenti sono poco tali e sono entrati nella catena
allungata del valore aggiunto) e, dfall’altra parte, sono tosati (più tasse e meno servizi) in
quanto cittadini.
Si tratta di un mutamento che investe la produzione, la
distribuzione della ricchezza, ma anche il processo politico e la stessa, tanto
o poca che sia, democrazia. Quando la ricchezza si produce attraverso la
mediazione della merce era attivo dentro lo stesso corpo della produzione, una
forza antagonistica che cercava di imporre una diversa distribuzione della
ricchezza prodotta e l'affermarsi di diritti di cittadinanza. Niente regalato,
conquiste frutto di lotte, di lacrime e sangue. Al contrario quando diventa
prevalente il meccanismo
finanziario, si scioglie il rapporto tra
capitale e società, e diventa impossibile ogni antagonismo specifico. Tutto si
sposta sul piano politico, un bene e un
male insieme. Un male perché manca una cultura alternativa, tutti viviamo entro
la dimensione liberista e del mercato, un bene perché è possibile andare alla
radice del problema.
È diventato senso comune che il mercato (finanziario) vuole
sicurezza e credibilità! Una parte molto modesta della verità. La speculazione
finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, e le tecnologie che usa (gli High Freguency
Trading – HFT – che muovono due terzi delle borse), si crea autonomamente le occasioni di
successo per speculare. Come ha scritto
Prodi “i loro computer scattano tutti insieme, comprano e vendono gli stessi
titoli e forzano in tal modo il compimento delle aspettative”. Contrastare la speculazione, come lo
si sta facendo, significa solo offrirgli alimento continuo. Si può fare più
equamente, e sarebbe importante, ma questo non intaccherebbe il meccanismo.
Bisogna colpire direttamente al cuore la speculazione, toglierli l’acqua nella
quale nuota. Certo che ci vorrebbe un’azione comune a livello internazionale,
ma l’elite politica e tecnica è figlia ideologica, qualche volta non solo
ideologica, del liberismo e della finanza; ambedue si possono “criticare” ma
non toccare, bisogna farli “operare meglio”. Come ha scritto Halevi, le
maggiore banche tedesche e francesi sono piene di titoli tossici, messi in
bilancio al loro valore nominale mentre valgono zero, ma il sistema (la
governance europea franco-tedesca) difende le banche tedesche e francesi,
mettendo in primo piano i debiti soprani e le banche dei paesi sotto tiro (e
quando toccherà alla Francia? Perché toccherà!).
In sostanza il sistema non si tocca, si possono punire,
anche severamente, in America si fa, chi la fa grossa, ma poi si finanziano le
banche, né si riesce a mettere una qualche freno (amministrativo, fiscale,
legislativo, ecc.) alla speculazione. Come l’apprendista stregone non riesce a
gestire le forze che ha scatenato.
Non voglio dire che il sistema è al collasso, ma è sulla strada
ci vorrà tempo (anche secoli scrive Ruffolo)
e ci vorranno forze, ma si coglie “una condizione di insoddisfazione
diffusa, di generale incertezza e di sfiducia e timore del futuro”.
La Grecia,
ha fatto tutto quello che gli era stato richiesto, licenziamenti, diminuzione
di stipendi, tagli, ecc. ed è giunta, di fatto al fallimento (controllato). La
speculazione finanziaria ha aggredito la Grecia, ha tosato la popolazione, ha scarnificato
la società. Il furbo Papandreu ha tentato la mossa democratica del referendum,
è stato redarguito, bastonato ed ha fatto marcia indietro.
Oggi tocca all’Italia (un po’ alla Spagna, domani la Francia, nessuno è al
riparo. La finanza non ha patria, non ha terra, non ha sangue), che si appresta
(con serietà, si dice) ha seguire le richieste della Banca europea, del Fondo
monetario, della Commisione della UE, cioè di fatto dalle finanza, per
scivolare lentamente in una versione diversa della Grecia. Ha senso? Certo che no, ma la questione è: ha senso una
politica keynesiana? Ha senso una più equa distribuzione dei sacrifici? Ha
senso pensare a risposte più “riformiste” e civili alle indicazione della Banca
europea? ha senso pensare ad operation
twist (di che dimensione dato l’ammontare del debito italiano), proposta da
Bellofiore e Toporowski? senza con tutto questo intaccare il potere e la
capacità operativa della speculazione (che costituisce parte strutturale del sistema)?
Credo di no, e mi domando: è necessario continuare ad avere la Borsa che ha perso ogni
originale funzione? È possibile dividere le banche che fanno finanza da quelle
della raccolta e collocazione del risparmio?
È possibile avere una banca
europea che operi come una banca nazionale? È possibile avere un governo
europeo, non solo economico ma generale? È possibile tassare le rendite e i
patrimoni? Ecc. Tutto è possibile ma poche cose sono probabili.
Quale è l’ottica con la quale un governo di centro-sinistra
(che si dice probabile) deve guardare alla situazione? Certo c’è da ricostruire
il senso della società, come dice la
Bindi, c’è da ricostruire un ruolo internazionale, c’è da
rilanciare lo sviluppo (sostenibile, equilibrato, ambientale, risparmiatore,
ecc. lo si qualifichi quanto lo si vuole), c’è da affrontare il problema del
lavoro dei giovani, delle donne, dei precari, dei disoccupati, c’è da occuparsi
della scuola, della sanità, del territorio, ecc. La domanda è tutto questo è fattibile insieme
al pagamento del debito? Qualcuno (Amato) parla di una patrimoniale di 300-400
miliardi per ridurre drasticamente il debito. Bene ma tutto il resto come lo si
fa. Sacrifici, per piacere no, riforme impopolari per piacere no, e non solo
per collocazione politica ma perché inutili e dannoso per fare tutte le cose
elencate prima.
Penso che bisogna mettere mano al debito. Il come, dipende,
da volontà e forza: un concordato con i
creditori (via il 30%); una moratoria di 3-5 anni; differenziato rispetto alle
persone fisiche e alle istituzioni (le banche che hanno in bilancio titoli
tossici potrebbero benissimo tenersi anche i titoli sovrani, con buona pace del
Cancelliere tedesco), ecc. La patrimoniale certo che ci vuole, ma dovrebbe
servire ad avviare tutte le altre cose, così come una ristrutturazione della
spesa pubblica (spese militari, ecc.)
potrebbe liberare risorse. Mentre la lotta all’evasione (mancati
introiti per 120 miliardi l’anno) e alla corruzione (60 miliardi l’anno)
potrebbero servire alla diminuzione delle imposte dei lavoratori. Insomma ci
sarebbe tanto da fare, ma bisogna in parte, in toto, o per un certo numero di
anni, liberarsi del debito.
Non dovrebbe essere una iniziativa europea? Certo, ma in
mancanza di facciamo da soli, non c’è da salvare una stratta Italia, ma una
concreta popolazione di uomini e donne. Questo è il tema.
Oggi ci avviamo al governo del “grande” Mario; che si tratti
di persona onesta e retta è molto probabile, ma è il suo pensiero che
preoccupa, un pensiero tanto forte quanto inefficace.
Citazioni: nel bene e
nel male
Piero Fassino
“Essendo un’imposta sugli immobili, Ici è una forma di
patrimoniale. Non infiliamoci in dispute nominalistiche”, La Repubblica, 21 novembre
2011 (Ma neanche facciamo gli ipocriti,
quanti hanno rivendicato la necessità di una “patrimoniale” non si riferivano
solo all’Ici)
Angela Merkel
“Il presidente Monti ci ha illustrato i provvedimenti che
l'Italia ha in programma ed è molto impressionante vedere le misure anche
strutturali che il governo è intenzionato ad adottare”,
Il Sole 24 Ore , 24 novembre 2011
Isidoro Davide
Mortellaro
“Da qualche tempo si preferisce aggettivare come sovrano, piuttosto che pubblico. La lingua batte dove il dente
duole. La crisi del neoliberismo scoperchia una verità a lungo solo annusata
dell’inesausta discussione sulla globalizzazione. Politica e Stato l’hanno
fatta da padroni. Sia quando si doveva imbellettare imprese e territori per
farli galoppare e rifulgere sul proscenio globale: naturalmente a danno di
welfare e degli ultimi. Sia ora che bisogna impedire il tracollo di banche e
imprese o adeguare previdenza e sanità alla demografia e all’ambiente del terzo
millennio” Il Manifesto, 27 novembre 2011
Gian Giacomo Migone
Farei torto all’autore e a voi se estraessi una frase del
lungo articolo di Migone pubblicato su L’Indice, n. 11, Novembre 2011. Tratta
degli effetti dei privilegi dei politici, non solo economici, sulla democrazia
e sull’organizzazione della sfera pubblica. Vi invito a leggere il testo.
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