Qualche riflessione
pessimistica, ma non senza speranza, per il futuro.
Da Il Manifesto 29.11.2011
Francesco Indovina
Leggendo la stampa e ascoltato i discorsi dei “grandi” non
pare ci sia una percezione precisa del crinale che il sistema economico-sociale
sta attraversando. Si ciancia di globalizzazione, per cui niente è possibile
fare, se non il sogno di un governo mondiale o almeno europeo; si parla di finanziarizzazione dell'economia,
cosa che ormai ha almeno quasi mezzo secolo, senza rendersi conto che è messa in
crisi la democrazia e
l’autodeterminazione dei popoli.
Si legge che il valore del PIL mondiale corrisponde solo ad un ottavo, circa, del valore dei
derivati finanziari in circolazione (economia di carta contro economia reale),
senza percepire che lo stesso concetto di produzione capitalistica sballa. Si
legge che la Cina
possiede una parte enorme del debito Usa e anche di altri paesi e non ci si
domanda come mai la Cina
non dedichi più risorse allo sviluppo del suo enorme paese ancora con
grandissime parti e popolazione in miseria, in corsa per la formazione di uno
strato di ricchi (che nel casoi specifico si misurano a milioni); è di ieri la
notizia che il più ricco cinese si appresta ad essere cooptato nel Comitato
Centrale del Partito Comunista Cinese. Insomma nessuno si fa le domande che
paiono sensate.
Mi pare che ci troviamo, non solo in Italia, ma soprattutto
in Italia (e prima in Grecia), di fronte
ad un bivio: da una parte una grande autostrada che “riporta indietro” (da non confondere con un
“ritorno al passato”, niente può essere come prima), dall'altra parte un
viottolo stretto, accidentato, difficile che, tuttavia, porta più avanti.
Non si vuole riflettere che la dimensione della
finanziarizzazione ha modificato la
natura del capitalismo, quello al quale
lo stesso Marx riconosceva dei meriti di progresso.
Per sintetizzare: il processo capitalistico è passato dalla
proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella, postmoderna,
denaro-denaro-denaro (D-D-D). un mutamento che investe pesantemente non solo la
produzione e la distribuzione della ricchezza, ma fondamentalmente il processo
politico e la stessa, tanto o poca che sia, democrazia.
È vero, infatti, che D-M-D aveva insito lo sfruttamento del
lavoro, ma insieme costituiva un processo
all'interno del quale si “creava”, dentro il suo stesso corpo, la forza
antagonistica che imponeva una diversa distribuzione della ricchezza prodotta,
l'affermarsi di diritti di cittadinanza, la speranza di una società diversa.
Certo conquiste frutto di lotte, di lacrime e sangue. Il “capitale”, in questa
eccezione è costitutivo di una certa società è esso stesso rapporto sociale.
Al contrario quando prevale il meccanismo D-D-D, si scioglie
il rapporto tra capitale e società, tale meccanismo taglia fuori ogni
antagonismo specifico; si tratta infatti di una meccanismo che non può essere
intaccato da chi subisce gli effetti negativi di tali processi. I “popoli”
subiscono, e non sanno né possono individuare una controparte diretta sul piano
sociale ed economico. Tutto si sposta
sul piano politico, ma gli stessi referenti politici, apparentemente
antagonisti tra di loro, vittime di una culturale omogenea non riescono a trovare il bandolo della matassa.
Il mercato è sensibile! il mercato vuole sicurezze! al mercato bisogna offrire
credibilità! Un refrain che è una parte molto modesta della verità. La
speculazione finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, si crea le occasioni per speculare. Contrastare la speculazione, come lo si sta
facendo, significa solo offrirgli sempre più vitelli da azzannare.
Se si imboccasse l'autostrada che il bivio ci offre, come pare
si stia facendo, siamo perduti. Il dominio del “soldo” (della ricchezza) sarà senza limiti (anche se fragile), la
lingua maestra sarà quella dell'economia di chi “possiede”; una casta potente e
ricca intoccabile, anche sul piano fiscale, banchetterà su un popolo miserabile (addio ceto medio!). I
diritti di cittadinanza un lusso impossibile. Mentre l'antagonista diretto sarà impalpabile,
irraggiungibile e deteritorializzato. I
peggiori scenari della pessimistica fantascienza sociale si avverranno. Scoppi
di rabbia, rivolte, sangue, lotte tra i poveri, regimi di polizia, ma niente
rivoluzione e niente riforme progressiste. Tutte conseguenze dirette di un
cambiamento nella natura del capitale.
Il viottolo stretto e accidentato, ci parla la lingua della
politica. Ci dice, prima di tutto, che la speculazione finanziaria va
combattuta alla pari, ma meglio, del traffico di droga, questo ammazza i figli
quella opprime i popoli. Speculare non deve essere permesso; c'è un mondo di
cose e di servizi da fare, non permettiamo che la costruzione di una economia
di carta ci tolga il sangue e la volontà. C'è un sistema produttivo da
ristrutturare a salvaguardia della salute, dell'ambiente e per la produzione
delle cose di cui abbiamo bisogno. C'è una distribuzione equa della ricchezza
prodotta da imporre. C'è una dilatazione dei diritti di cittadinanza da
ampliare. C'è una piramide sociale da appiattire. C’è da “castigare” gli
speculatori e non da alimentarli.
Se niente può essere come prima, come si ripete, lo sia
d’avvero, le forze a livello nazionale e internazionale ci sono, anche se
disarticolate, ma unirle si può (e si dovrebbe). È ormai chiaro che questo tipo
di organizzazione sociale ha fatto il suo tempo.
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