sabato 12 novembre 2011



Qualche riflessione pessimistica, ma non senza speranza, per il futuro.
Da Il Manifesto 29.11.2011

Francesco Indovina

Leggendo la stampa e ascoltato i discorsi dei “grandi” non pare ci sia una percezione precisa del crinale che il sistema economico-sociale sta attraversando. Si ciancia di globalizzazione, per cui niente è possibile fare, se non il sogno di un governo mondiale o almeno europeo;  si parla di finanziarizzazione dell'economia, cosa che ormai ha almeno quasi mezzo secolo, senza rendersi conto che è messa in crisi  la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli.
Si legge che il valore del PIL mondiale corrisponde  solo ad un ottavo, circa, del valore dei derivati finanziari in circolazione (economia di carta contro economia reale), senza percepire che lo stesso concetto di produzione capitalistica sballa. Si legge che la Cina possiede una parte enorme del debito Usa e anche di altri paesi e non ci si domanda come mai la Cina non dedichi più risorse allo sviluppo del suo enorme paese ancora con grandissime parti e popolazione in miseria, in corsa per la formazione di uno strato di ricchi (che nel casoi specifico si misurano a milioni); è di ieri la notizia che il più ricco cinese si appresta ad essere cooptato nel Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese. Insomma nessuno si fa le domande che paiono sensate.
Mi pare che ci troviamo, non solo in Italia, ma soprattutto in Italia (e prima in Grecia),  di fronte ad un bivio: da una parte una grande autostrada che  “riporta indietro” (da non confondere con un “ritorno al passato”, niente può essere come prima), dall'altra parte un viottolo stretto, accidentato, difficile che, tuttavia, porta più avanti.
Non si vuole riflettere che la dimensione della finanziarizzazione  ha modificato la natura del capitalismo, quello  al quale lo stesso Marx riconosceva dei meriti di progresso.
Per sintetizzare: il processo capitalistico è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella, postmoderna, denaro-denaro-denaro (D-D-D). un mutamento che investe pesantemente non solo la produzione e la distribuzione della ricchezza, ma fondamentalmente il processo politico e la stessa, tanto o poca che sia, democrazia.
È vero, infatti, che D-M-D aveva insito lo sfruttamento del lavoro, ma insieme costituiva un processo  all'interno del quale si “creava”, dentro il suo stesso corpo, la forza antagonistica che imponeva una diversa distribuzione della ricchezza prodotta, l'affermarsi di diritti di cittadinanza, la speranza di una società diversa. Certo conquiste frutto di lotte, di lacrime e sangue. Il “capitale”, in questa eccezione è costitutivo di una certa società è esso stesso rapporto sociale.
Al contrario quando prevale il meccanismo D-D-D, si scioglie il rapporto tra capitale e società, tale meccanismo taglia fuori ogni antagonismo specifico; si tratta infatti di una meccanismo che non può essere intaccato da chi subisce gli effetti negativi di tali processi. I “popoli” subiscono, e non sanno né possono individuare una controparte diretta sul piano sociale ed economico. Tutto si sposta  sul piano politico, ma gli stessi referenti politici, apparentemente antagonisti tra di loro, vittime di una  culturale omogenea  non riescono a trovare il bandolo della matassa. Il mercato è sensibile! il mercato vuole sicurezze! al mercato bisogna offrire credibilità! Un refrain che è una parte molto modesta della verità. La speculazione finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove,  si crea le occasioni per speculare.  Contrastare la speculazione, come lo si sta facendo, significa solo offrirgli sempre più vitelli da azzannare.
Se si imboccasse l'autostrada che il bivio ci offre, come pare si stia facendo, siamo perduti. Il dominio del “soldo” (della ricchezza)  sarà senza limiti (anche se fragile), la lingua maestra sarà quella dell'economia di chi “possiede”; una casta potente e ricca intoccabile, anche sul piano fiscale, banchetterà  su un popolo miserabile (addio ceto medio!). I diritti di cittadinanza un lusso impossibile. Mentre  l'antagonista diretto sarà impalpabile, irraggiungibile e deteritorializzato.  I peggiori scenari della pessimistica fantascienza sociale si avverranno. Scoppi di rabbia, rivolte, sangue, lotte tra i poveri, regimi di polizia, ma niente rivoluzione e niente riforme progressiste. Tutte conseguenze dirette di un cambiamento nella natura del capitale.
Il viottolo stretto e accidentato, ci parla la lingua della politica. Ci dice, prima di tutto, che la speculazione finanziaria va combattuta alla pari, ma meglio, del traffico di droga, questo ammazza i figli quella opprime i popoli. Speculare non deve essere permesso; c'è un mondo di cose e di servizi da fare, non permettiamo che la costruzione di una economia di carta ci tolga il sangue e la volontà. C'è un sistema produttivo da ristrutturare a salvaguardia della salute, dell'ambiente e per la produzione delle cose di cui abbiamo bisogno. C'è una distribuzione equa della ricchezza prodotta da imporre. C'è una dilatazione dei diritti di cittadinanza da ampliare. C'è una piramide sociale da appiattire. C’è da “castigare” gli speculatori e non da alimentarli.        
Se niente può essere come prima, come si ripete, lo sia d’avvero, le forze a livello nazionale e internazionale ci sono, anche se disarticolate, ma unirle si può (e si dovrebbe). È ormai chiaro che questo tipo di organizzazione sociale ha fatto il suo tempo.           

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