domenica 29 marzo 2020

Niente come prima



 Recensione su Alfabeta 2, 2011

La globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, portata alle estreme conseguenze, le difficoltà della deliberazione democratica ha esprimersi in modo sensato e assennato, nonché la crisi che tiene in scacco molti paesi e rende inefficaci tutte le politiche per contrastarla, insinuano il sospetto che forse qualche cosa di rilevante è avvenuto. Alcune domande sono chiare: è ancora compatibile la democrazia con il capitalismo? È possibile ancora produrre politicamente delle risposte in grado di garantire i più invece dei pochi? Le forze che si oppongono allo stato delle cose presenti, gli indignatos, per semplificare, pur capaci di grande comunicazione, di grande visibilità e di notevole mobilizzazione,  perché pur avendo individuato il “nemico”, non riescono ad incidere?
È  davanti ai nostri occhi il mutare profondo della natura del capitalismo; ma non riusciamo a vederlo: guardiamo ma non vediamo. Nel corso degli ultimi anni (trenta forse), anche per effetto dello spappolamento del socialismo reale, nonché della metamorfosi della Cina, il mercato, nella coscienza generale, è stato assunto come il “regolatore” generale e necessario, mentre il capitalismo (il capitale come  rapporto sociale) emergeva come unica possibili prospettiva sociale. Ci si è rifiutati di indagare sia sugli effetti discriminanti prodotti dalla regolamentazione del mercato, che sulla geografia e architettura della società prodotta dal capitale.
La prospettiva dei partiti della sinistra, in generale, non incarna l’ipotesi, che diventa sempre più una necessità, di una società fondata su altri valori e, soprattutto,  su diverse forme di organizzazione sociale; il massimo dell’aspirazione è una sorta di “umanizzazione” del sistema, e lo chiamano riformismo. Ma il  “sistema” risulta refrattario alle loro buone intenzioni, anzi di esse approfitta per ingrassare.
Non è in discussione l’apporto che il  sistema capitalistico ha fornito alla trasformazione del mondo e della società,  né la sua capacità di produrre ricchezza e innovazione, tuttavia è  forse giunto il momento di guardare il Minotauro negli occhi rifiutandogli il contributo di sangue. Ma chi è Teseo? Chi è Arianna?
Giorgio Ruffolo, mette in campo la capacità del capitalismo di trasformarsi, e per questo prospetta la possibilità che il capitalismo abbia i secoli contati, è immagina  “che il capitalismo dia un’estrema prova della sua duttilità trasfigurandosi, in un fase finale più pacifica, in una formazione di sviluppo meno turbolento, ben temperato”. Un capitalismo in grado di negare se stesso e che assumesse motivazioni diverse da quelle sue proprie: l’equilibrio, la produzione non quantitativa, il rispetto del limite, la cooperazione sociale, la felicità, ecc. (perché chiamarlo ancora capitalismo?). Anche Ruffolo pensa che si tratti di una “improbabile” ma non “impossibile” prospettiva, in caso contrario, in assenza di una vera alternativa, non resta che entrare in un’era dei torbidi che può durare secoli.
A Luciano Gallino una auto trasformazione del capitalismo gli appare impossibile e improbabile, e analizza il finanzcapitalismo come una macchina sociale mostruosa per la sua estensione, la sua capacità di penetrare in ogni grumo organizzativo, per la relazione stretta che ha costruito, più che nel passato con la politica e la sfera di decisione pubblica. È proprio questa relazione politica/finanza che rende incontrollabile e incontrollato il capitalismo finanziario, la politica è “divenuta ancella” della finanza. Lo scambio di personale dalla finanza al governo e da questo alla quella  è una costante, e determina una forma mentis che finisce per riconoscere nell’interesse della finanza ogni azione economica e politica.
Il finanzcapitalismo a differenza del capitalismo tradizionale (industriale) non accumula capitale producendo merci e servizi, ma attraverso il sistema finanziario; detto in altro modo, fa soldi con i soldi. Si tratta di una trasformazione profonda dalle molteplici conseguenze.
Fondamentale è la creazione di “massa monetaria”,  operata dalle banche, queste non gestiscono ma creano moneta attraverso i prestiti, soprattutto mutui e prestito al consumo (senza rispettare di fatto la “riserva di garanzia”), ma soprattutto attraverso la dilatazione dei derivati. Le risorse finanziarie così “create” sono otto-dieci volte il Pil mondiale. Inoltre la creazione di numerosi “fondi di investimento” servono per catturare risparmio e soprattutto come base, da moltiplicare all’infinito con tecniche di “finanza creativa”, per speculare. La  Borsa non svolge più la funzione di raccolta di risorse per finanziare le imprese, ma è sempre più simile ad un Casinò, inoltre una parte cospicua delle contrattazioni finanziarie avvengono in mercati secondari. Le banche  hanno abbandonato, di fatto, la loro funzione di raccogliere risparmio e fornire risorse in prestito a famiglie e imprese, per dedicarsi ad attività finanziarie. Dato il rendimento delle attività finanziarie anche le imprese “industriali”, le maggiori,  sono diventate attive nel settore finanziario (per dirne una che riguarda il nostro paese, ci si può domandare  se Marchionne sia un manager industriale e non piuttosto un finanziere).
Inoltre gli investitori istituzionali sono diventati una grande potenza che detiene una quota rilevante delle grandi imprese mondiali e ne definiscono i comportamenti e impongono una redditività molto alta dell’investimento. Bassi salari, alti ritmi di lavoro, bassa sicurezza, minimi diritti sindacali, ecc. non sono che l’espressione del potere della finanza sull’industria.  In sostanza, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, si  innalza il tasso di sfruttamento, si cancellano per quanto possibile ogni diritto sindacale, fino all’indifferenza per la vita e la salute dei lavoratori. Delocalizzazioni, ricatti occupazionali, forme moltiplicate di contratti, ecc. sono gli strumenti adottati. Tramonta ogni possibile idea di individuare e assegnare una qualche responsabilità sociale agli investimenti.
La reazione sindacale a questa situazione, in generale alla ricerca di accomodamenti, rende esplicito un pericoloso dato culturale: l’avere assimilato gli interessi del capitale finanziario a quelli del “lavoro”; un incapacità di lettura della realtà che rende impotenti. 
Bisogna tuttavia riflettere come in aggiunta all’accresciuto tasso di sfruttamento la popolazione viene ulteriormente tosata attraverso le politiche di equilibrio di bilancio pubblico, che non sono altro che strumenti per garantire le pretese del capitale finanziario. In questo caso la cecità della politica è drammatica (l’esempio greco, insegna), essa si affida ai “tecnicismi”, mette in mora di fatto la democrazia e sacrifica ad entità astratte, potenti ma  che potrebbero essere sconfitte se si assumessero per il nemico del futuro, e finisce per alimentare la speculazione. 

Il finanzcapitalismo, per mezzo dell’incontrollata creazione di moneta, oggi è impossibile valutare la “moneta in circolazione”, ha fatto esplodere il rapporto tra debito e Pil dei paesi sviluppati,  ha dilatato i debiti sovrani, e ha avvolto l’economia globale in una “rete di debito” che condiziona famiglie, imprese, istituzioni e Stati.  Viaggia da crisi a crisi verso una concentrazione massima della ricchezza e ad una non improbabile implosione dagli esiti incerti (il tema dell’apprendista stregone è ricorrente nelle analisi del capitalismo finanziario).
 “Per il momento un siffatto esito finale – una forma aggiornata di fascismo, sostenuta da una larga parte del popolo come uscita dalla crisi – anche se tutt’altro che impossibile, appare ancora abbastanza lontano. Tuttavia non si può ignorare che da tempo numerosi governi hanno imboccato la strada di un crescente autoritarismo , in cui molti elettori si riconoscono”. Insomma il futuro appare tutt’altro che roseo sia sul piano economico che su quello politico, anche perché Gallino motiva il suo scetticismo sul fatto il finanzcapitalismo produca degli anti corpi per il suo superamento, ipotesi avanzata da altri studiosi. Una sua auto riforma appare improbabile perché esso costituisce una formazione economico-sociale che permea dei suoi valori la società e che ha costruito un rapporto biunivoco con la politica.
Francois Morin, constatato che “la globalizzazione dei mercati monetari e finanziari è arrivata a una tappa decisiva: quella della dell’interconnettività mondiale di tutti i suoi segmenti, controllabili così dalle grandi banche internazionali… permettendo, su una scala finora sconosciuta, il gioco speculativo mondiale”, prospetta un mondo senza Wall Street e le piazze finanziarie. Messa in luce la potenza economica e politica della grande finanza (e delle grandi banche), nonché gli effetti(negativi)  sul lavoro, l’ambiente, le imprese, le istituzioni nazionali e internazionali e i governi, l’autore suggerisce una via d’uscita che preveda sia un’apertura di dibattito a livello della “disciplina economica” in modo da rompere il monopolio dell’economia standard, e in sostanza abbandonare l’idea di una “scienza economica” per ritornare all’economia politica, sia un ripensamento dell’azione  politica, sia la trasformazione della logica finanziaria con un rafforzamento dell’economia sociale e solidale e la costruzione di nuovi rapporti di proprietà nella gestione delle imprese e del loro rendimento. L’analisi, anche se molto più sommaria, corrisponde a quella di Gallino, ma Morin è molto dettagliato nelle sue proposte di trasformazione su ciascuno dei singoli aspetti, fino a prospettare un governo mondiale. Le possibilità che queste riforme si realizzino è fondata sull’ipotesi di una prossima “crisi sistemica di vasta portata”, dalla quale si potrà uscire, appunto, con un mondo senza Wall Street (o con un diverso scenario non definito ma che credo sia di tipo autoritario).
Giorgio Ruffolo esplora la storia della moneta e la sua funzione (unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore), per portarci all’oggi: “la più recente crisi è stata provocata da una massiccia creazione di moneta endogena”. Si tratta di un mutamento del capitalismo dagli esiti sconvolgentemente negativi.  Proprio gli esiti del capitalismo finanziario rendono esplicito come la moneta sia  insieme “potente ma senza guida”. Guidarla si deve; l’unico modo è fissare i prezzi della moneta e del credito (tasso di cambio e tasso d’interesse) che dovrebbe tornare ad essere una funzione politica. Si tratta di una rivoluzione “inconcepibile all’interno dell’attuale mondo politico e morale”.
Tuttavia, Ruffolo individua cinque direttrici di marcia nella direzione della “rivoluzione”: abbandono dell’assunto dello sviluppo (non una economia stazionaria, ma  una economia finalizzata ad obiettivi di compatibilità ecologica, benessere sociale e programmazione); redistribuzione della ricchezza sia all’interno dei paesi ricchi che tra questi e quelli poveri; intollerabilità politica ed etica della “plutocrazia mondiale” che accumula moneta; la rinascita del mercato.            
Il libro di Ruffolo, non riguarda direttamente la crisi attuale ma la moneta, che ricondotta alla sua funzione gli si restituisce il suo potere al servizio dell’economia e non di una economia al servizio di un potere.  
I quattro libri di cui ci siamo occupati, in modo diretto o indiretto, costituiscono delle analisi dei connotati della crisi che ha investito il sistema mondo. Sono stati individuati, con precisione e acume, i soggetti attivi di questa crisi, la loro forza e la loro capacità di difesa; sono stati messi in luce i meccanismi con i quali essi operano,  è in modo esplicito è stato identificato il costo economico, ecologico e sociale che la popolazione mondiale sta pagando. Le relazioni tra mondo del capitalismo finanziario e le funzione di governo (la politica) sono state identificate, non solo come una sorta di permeabilità reciproca affidata ad una sfera di “professionisti”, ma come, più gravemente,  meccanismo di formazione di un unico pensiero e modo di operare.
È impressionate, come la lettura trasversale di questi testi mette bene in chiaro che le risposte che i governi (a livello nazionale e internazionale) elaborano e attivano  sono inutili e spesso, forse in buona fede e  inconsapevolmente,  giocano a favore della finanza speculativa.                          
Né i “tecnici”, perché imbevuti di una “dottrina” cieca, né i “politici”, perché vittime di schemi obsoleti, sembrano capaci di capire la mutazione del capitalismo, e non sembra si rendano conto di come la nascita del finanzcapitalismo abbia modificato contenuti e meccanismi dei processi economici, e che al governo con i loro provvedimenti, gli uni e gli altri, non fanno che tosare i popoli per offrire comodi giacigli alla speculazione. Se ci fosse una crisi di sistema l’esito, con molto probabilità non sarebbe progressista ma reazionario e autoritario, o invece si entrerebbe in un’epoca di grandi turbolenze.
Un’alternativa è possibile? Forse, ma oggi non pare alle porte, perché sembriamo, complessivamente,  incapaci di vedere quello che avviene sotto i nostri occhi, il vento si è portato via gli strumenti per capire, e chi capisce e si mobilita non sembra ancora capace di una iniziativa politica all’altezza della questione.




Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, pp. 324, 19
Francois Morini, Un mondo senza Wall Street, Tropea, Milano, 2011, pp. 157, 15€
Giorgio Ruffolo, Il Capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Torino, 2009, pp. 295,
12€
Giorgio Ruffolo, Testa e croce, una breve storia della moneta, Einaudi, Torino, 2011, pp. 176, 17€  
                            

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