Giandomenico
Amendola, Le retoriche della città,
Dedalo, Roma 2016, pp. 168, euro 16,50
La
città è una composizione sistemica di
morfologia urbana e di condizione urbana, i due elementi sono dati storicamente
come inscindibili, ancorché distinguibili e che si influenzano reciprocamente. Oggi
forse questo legame non è più così stretto, si aprono possibilità nuove, quello
che conta, tuttavia, che in ogni discorso sulla città questa distinzione debba
assumere rilevanza.
Questo
problema è molto ben in vista nel libro di Amendola, anche se tratta di
questioni diverse pur sempre di città si occupa soprattutto con l’occhio del
sociologo urbano. Gli interessa il discorso “sulla” città, il suo ragionare,
infatti, implicitamente e anche esplicitamente si occupa della città di pietra
e di quella di carne e sangue, e chiarisce come il discorso sulla città sia
oggi, ma anche ieri, fortemente dominato dalla retorica, l’arte di convincere,
piuttosto che quella di cercare la o le verità.
Il
punto di partenza è l’importanza crescente della città, sia perché ormai luogo
di maggior concentrazione della popolazione, sia perché sia affida
(retoricamente) alla città la soluzione dei maggiori problemi che le nostre attuali
società devono affrontare, sia perché si carica la città di innovazione
economica, sociale, democratica e di sviluppo futuro. Il futuro è nella e delle
città.
In
un panorama di situazione urbane molto ma molto diverse: dalla grande metropoli
dei paesi sviluppati a quelle dei paesi poveri, città della concentrazione e
città della dispersione, città omogenee e città fortemente differenziate, città
specializzate e città omnibus, il discorso sulla città non fa distinzioni di
impianto, di volta in volta secondo il luogo e il tempo assume un aspetto della
dinamica urbana e su questo costruisce un discorso.
Il
libro che recensiamo, come già dovrebbe essere chiaro, non si occupa di città,
anche se a moltissime situazioni urbane fa riferimento, ma piuttosto dei
“discorsi” intorno alle città. Da questo punto di vista a me pare un libro
fuori dalla norma ma non per questo, o anzi proprio per questo, di notevole
interesse. Esplorare i discorsi intorno alla città ci dice molto della poca
tenuta dello stesso “governo” della città, della scarsa cognizione che dei
processi hanno i politici, ma soprattutto ci racconta come sul tema della città
è oggi in atto uno scontro tra interessi diversi, che si combatte con i mezzi
tradizionali dell’urbanistica e dell’organizzazione della città, ma nel quale
ha assunto una rilevanza, che nel passato non aveva mai avuto, il discorso
retorico. Certo anche in epoche diverse i “discorsi sulla città” veicolavano,
attraverso la retorica, interessi diversi e spesso divergenti, ma nella fase
attuale le “retoriche” hanno assunto un ruolo molto più rilevante. A questo
fenomeno non è estranea una maggiore consapevolezza degli abitanti, una loro
maggiore attenzione alle trasformazione e quindi la necessità di usare la
retorica come strumento di convincimento.
Il
lavoro di Amendola mi pare utile sotto diversi aspetti:
-
Rende
esplicito che molti dei discorsi intorno alla città costituiscono
manifestazione di una retorica che vuole convincere con poca relazione con i
processi reali. Non voglio essere frainteso e soprattutto non vorrei che fosse
frainteso il lavoro dell’autore: ogni retorica ha un addentellato sulla realtà,
ma la retorica tende ad esaltare qualche elemento e, magari, lo priva del contesto
dove meglio potrebbe essere interpretato;
-
Chiarisce
che molti discorsi retorici sono tra di loro in contrasto e si contrappongono.
-
Finalizza
la sua ricerca all’identificazione della questione urbana oggi liberata dalla
retorica, si tratta di un risultato implicito ma di grande valenza;
-
Mette
in chiaro che “il discorso retorico non riguarda un tipo particolare di città –
come, per esempio, la città sostenibile, la smart
city, o la città della cultura – ma la città in quanto tale. L’idea che il
secolo appena iniziato stia portando un nuovo rinascimento urbano è tanto
diffusa da sembrare ormai un luogo comune”. Ecco che il discorso retorico sul
rinascimento urbano diventa luogo comune.
I
discorsi retorici ai quali l’autore mette mano con acuti strumenti critici sono
diversi; il trionfo della città e il city
mrkketing; le retoriche della razionalità e della giustizia; la retorica
della bellezza; le retoriche del piano e della partecipazione; la retorica
dell’individualismo; la retorica della comunità; la retorica dell’accoglienza;
le retoriche della rassicurazione; le retoriche della sostenibilità; le
retoriche della Growth Machine e
degli Urban Development Projects; le
retoriche della cultura e della creatività; la retorica della smart city; la retorica delle emozioni.
A
ciascuna di queste l’autore dedica un capitolo denso di riferimenti fattuali,
nel quale si mettono in luce interessi non esplicitati e contraddizioni. I
singoli capitoli costituiscono una felice medicina per quanti occupandosi di
questioni territoriali mal sopportano la
continua invenzione, priva di fondamento, di teorizzazioni, progetti
risolutivi, nuove strumentazione di intervento, ecc. e nei quali problemi seri
e reali si trasformano, appunto, in discorsi retorici. Ciascun capitolo è
inoltre dotato di un’ampia bibliografia.
A
questo punto, spero di essere riuscito a chiarire il senso dell’operazione
culturale e scientifica portata avanti dell’autore. Non volendo analizzare ogni
tipo di retorica affrontata mi sono riservato un po’ di spazio per un commento
su un capitolo che non ho citato: Il
racconto della città e i suoi problemi.
“La
retorica della città è costruita e utilizzata senza risparmio perché la città è
la più importante degli en jeu, delle
poste in gioco decisive”. Sono i politici, magari l’uno contro l’altro che ne
fanno uso, i portatori di grandi interessi economici che guardano alle opere e alle trasformazioni della città dai quali ricavare
grandi guadagni, gli immobiliaristi, ecc. La città è sempre stata ma oggi forse
lo è a maggior ragione un grosso centro di interessi economici, una torta della
quale molti ne vogliono una fetta.
Dietro
questi interessi spesso c’è miseria, emarginazione, squallore.
La
retorica è anche l’arma degli oppositori, di quanti a ragione denunziano come
le trasformazioni non riguardano il buon vivere della gente ma i portafogli di
pochi.
Ma
come si esercita questa retorica, a che cosa si appigliano: “quello che è
costante nelle retoriche sulla città e il loro richiamarsi a idee e valori
fondanti, condivisi – quindi difficilmente rifiutabili – e farne elementi
connotanti ogni progetto”. In questi
discorsi tutto appare positivo, non esistono controindicazioni e soprattutto
non esistono alternative. “Il nuovo contro il vecchio, l’altruismo contro
l’egoismo, la lungimiranza contro la miopia”, ecc. artifici retoriche che
finiscono per confondere ma soprattutto che riescono a far velo sulla realtà.
Secondo
l’autore è la città stessa la fonte maggiore di legittimazione delle azioni che
la riguardano. È la conseguenza del fatto che essa è corpo vivo della società,
delle sue contraddizioni, delle sue miserie e delle sue opportunità, è storia e
cultura, è economia, è rappresentazione deli stili di vita dei suoi abitanti, è
il luogo del desiderio, del progetto individuale e collettivo, della voglia di
essere. Ma tutto questo è contradittorio. Ha ragione, si può considerare la
pianificazione razionale una retorica, ma la città deve essere governata.
Gli
strumenti che la tradizione disciplinare dell’urbanistica e della
pianificazione ci ha consegnato, hanno bisogno di fare i conti con il
cambiamento, non il cambiamento della declinazione retorica ma quello che
constatiamo quotidianamente, quello che si manifesta nei modi in cui si usa la
città, nelle manifestazioni di rifiuto ma anche di ricerca della condizione
urbana. È retorica la declinazione di una pianificazione razionale che tutto
mette a posto oggi per domani, ma non è retorico l’impegno della cultura
urbanistica più avveduta di rigettare una proposizione miracolistica della
pianificazione per continuare a lavorare per cercare di mitigare la condizione
della fasce più deboli della società, costruendo una città bella e buona
(scusate la retorica), una città dinamica dalla quale non sono state espulse le
contraddizioni (non è l’urbanistica che può cambiare il mondo).
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