sabato 28 marzo 2020

Giandomenico Amendola, Le retoriche della città,


Giandomenico Amendola, Le retoriche della città, Dedalo, Roma 2016, pp. 168, euro 16,50
 Da ASUR, 2013


La città  è una composizione sistemica di morfologia urbana e di condizione urbana, i due elementi sono dati storicamente come inscindibili, ancorché distinguibili e che si influenzano reciprocamente. Oggi forse questo legame non è più così stretto, si aprono possibilità nuove, quello che conta, tuttavia, che in ogni discorso sulla città questa distinzione debba assumere rilevanza.   
Questo problema è molto ben in vista nel libro di Amendola, anche se tratta di questioni diverse pur sempre di città si occupa soprattutto con l’occhio del sociologo urbano. Gli interessa il discorso “sulla” città, il suo ragionare, infatti, implicitamente e anche esplicitamente si occupa della città di pietra e di quella di carne e sangue, e chiarisce come il discorso sulla città sia oggi, ma anche ieri, fortemente dominato dalla retorica, l’arte di convincere, piuttosto che quella di cercare la o le verità.
Il punto di partenza è l’importanza crescente della città, sia perché ormai luogo di maggior concentrazione della popolazione, sia perché sia affida (retoricamente) alla città la soluzione dei maggiori problemi che le nostre attuali società devono affrontare, sia perché si carica la città di innovazione economica, sociale, democratica e di sviluppo futuro. Il futuro è nella e delle città.
In un panorama di situazione urbane molto ma molto diverse: dalla grande metropoli dei paesi sviluppati a quelle dei paesi poveri, città della concentrazione e città della dispersione, città omogenee e città fortemente differenziate, città specializzate e città omnibus, il discorso sulla città non fa distinzioni di impianto, di volta in volta secondo il luogo e il tempo assume un aspetto della dinamica urbana e su questo costruisce un discorso.
Il libro che recensiamo, come già dovrebbe essere chiaro, non si occupa di città, anche se a moltissime situazioni urbane fa riferimento, ma piuttosto dei “discorsi” intorno alle città. Da questo punto di vista a me pare un libro fuori dalla norma ma non per questo, o anzi proprio per questo, di notevole interesse. Esplorare i discorsi intorno alla città ci dice molto della poca tenuta dello stesso “governo” della città, della scarsa cognizione che dei processi hanno i politici, ma soprattutto ci racconta come sul tema della città è oggi in atto uno scontro tra interessi diversi, che si combatte con i mezzi tradizionali dell’urbanistica e dell’organizzazione della città, ma nel quale ha assunto una rilevanza, che nel passato non aveva mai avuto, il discorso retorico. Certo anche in epoche diverse i “discorsi sulla città” veicolavano, attraverso la retorica, interessi diversi e spesso divergenti, ma nella fase attuale le “retoriche” hanno assunto un ruolo molto più rilevante. A questo fenomeno non è estranea una maggiore consapevolezza degli abitanti, una loro maggiore attenzione alle trasformazione e quindi la necessità di usare la retorica come strumento di convincimento.
Il lavoro di Amendola mi pare utile sotto diversi aspetti:
-         Rende esplicito che molti dei discorsi intorno alla città costituiscono manifestazione di una retorica che vuole convincere con poca relazione con i processi reali. Non voglio essere frainteso e soprattutto non vorrei che fosse frainteso il lavoro dell’autore: ogni retorica ha un addentellato sulla realtà, ma la retorica tende ad esaltare qualche elemento e, magari, lo priva del contesto dove meglio potrebbe essere interpretato;
-         Chiarisce che molti discorsi retorici sono tra di loro in contrasto e si contrappongono.
-         Finalizza la sua ricerca all’identificazione della questione urbana oggi liberata dalla retorica, si tratta di un risultato implicito ma di grande valenza;
-         Mette in chiaro che “il discorso retorico non riguarda un tipo particolare di città – come, per esempio, la città sostenibile, la smart city, o la città della cultura – ma la città in quanto tale. L’idea che il secolo appena iniziato stia portando un nuovo rinascimento urbano è tanto diffusa da sembrare ormai un luogo comune”. Ecco che il discorso retorico sul rinascimento urbano diventa luogo comune.
I discorsi retorici ai quali l’autore mette mano con acuti strumenti critici sono diversi; il trionfo della città e il city mrkketing; le retoriche della razionalità e della giustizia; la retorica della bellezza; le retoriche del piano e della partecipazione; la retorica dell’individualismo; la retorica della comunità; la retorica dell’accoglienza; le retoriche della rassicurazione; le retoriche della sostenibilità; le retoriche della Growth Machine e degli Urban Development Projects; le retoriche della cultura e della creatività; la retorica della smart city; la retorica delle emozioni.
A ciascuna di queste l’autore dedica un capitolo denso di riferimenti fattuali, nel quale si mettono in luce interessi non esplicitati e contraddizioni. I singoli capitoli costituiscono una felice medicina per quanti occupandosi di questioni territoriali  mal sopportano la continua invenzione, priva di fondamento, di teorizzazioni, progetti risolutivi, nuove strumentazione di intervento, ecc. e nei quali problemi seri e reali si trasformano, appunto, in discorsi retorici. Ciascun capitolo è inoltre dotato di un’ampia bibliografia.
A questo punto, spero di essere riuscito a chiarire il senso dell’operazione culturale e scientifica portata avanti dell’autore. Non volendo analizzare ogni tipo di retorica affrontata mi sono riservato un po’ di spazio per un commento su un  capitolo che non ho citato: Il racconto della città e i suoi problemi.
“La retorica della città è costruita e utilizzata senza risparmio perché la città è la più importante degli en jeu, delle poste in gioco decisive”. Sono i politici, magari l’uno contro l’altro che ne fanno uso, i portatori di grandi interessi economici che guardano  alle opere e alle  trasformazioni della città dai quali ricavare grandi guadagni, gli immobiliaristi, ecc. La città è sempre stata ma oggi forse lo è a maggior ragione un grosso centro di interessi economici, una torta della quale molti ne vogliono una fetta.
Dietro questi interessi spesso c’è miseria, emarginazione, squallore.
La retorica è anche l’arma degli oppositori, di quanti a ragione denunziano come le trasformazioni non riguardano il buon vivere della gente ma i portafogli di pochi.
Ma come si esercita questa retorica, a che cosa si appigliano: “quello che è costante nelle retoriche sulla città e il loro richiamarsi a idee e valori fondanti, condivisi – quindi difficilmente rifiutabili – e farne elementi connotanti ogni progetto”.  In questi discorsi tutto appare positivo, non esistono controindicazioni e soprattutto non esistono alternative. “Il nuovo contro il vecchio, l’altruismo contro l’egoismo, la lungimiranza contro la miopia”, ecc. artifici retoriche che finiscono per confondere ma soprattutto che riescono a far velo sulla realtà.
Secondo l’autore è la città stessa la fonte maggiore di legittimazione delle azioni che la riguardano. È la conseguenza del fatto che essa è corpo vivo della società, delle sue contraddizioni, delle sue miserie e delle sue opportunità, è storia e cultura, è economia, è rappresentazione deli stili di vita dei suoi abitanti, è il luogo del desiderio, del progetto individuale e collettivo, della voglia di essere. Ma tutto questo è contradittorio. Ha ragione, si può considerare la pianificazione razionale una retorica, ma la città deve essere governata.
Gli strumenti che la tradizione disciplinare dell’urbanistica e della pianificazione ci ha consegnato, hanno bisogno di fare i conti con il cambiamento, non il cambiamento della declinazione retorica ma quello che constatiamo quotidianamente, quello che si manifesta nei modi in cui si usa la città, nelle manifestazioni di rifiuto ma anche di ricerca della condizione urbana. È retorica la declinazione di una pianificazione razionale che tutto mette a posto oggi per domani, ma non è retorico l’impegno della cultura urbanistica più avveduta di rigettare una proposizione miracolistica della pianificazione per continuare a lavorare per cercare di mitigare la condizione della fasce più deboli della società, costruendo una città bella e buona (scusate la retorica), una città dinamica dalla quale non sono state espulse le contraddizioni (non è l’urbanistica che può cambiare il mondo).

Francesco Indovina

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