La globalizzazione, la
finanziarizzazione dell’economia, portata alle estreme conseguenze, le
difficoltà della deliberazione democratica ha esprimersi in modo sensato e
assennato, nonché la crisi che tiene in scacco molti paesi e rende inefficaci
tutte le politiche per contrastarla, insinuano il sospetto che forse qualche
cosa di rilevante è avvenuto. Alcune domande sono chiare: è ancora compatibile
la democrazia con il capitalismo? È possibile ancora produrre politicamente
delle risposte in grado di garantire i più
invece dei pochi? Le forze che si oppongono allo stato delle cose presenti, gli
indignatos, per semplificare, pur capaci di grande comunicazione, di grande
visibilità e di notevole mobilizzazione, perché pur avendo individuato il “nemico”, non
riescono ad incidere?
È davanti ai nostri occhi il mutare profondo
della natura del capitalismo; ma non riusciamo a vederlo: guardiamo ma non
vediamo. Nel corso degli ultimi anni (trenta forse), anche per effetto dello
spappolamento del socialismo reale, nonché della metamorfosi della Cina, il mercato,
nella coscienza generale, è stato assunto come il “regolatore” generale e
necessario, mentre il capitalismo (il capitale come rapporto sociale) emergeva come unica
possibili prospettiva sociale. Ci si è rifiutati di indagare sia sugli effetti
discriminanti prodotti dalla regolamentazione del mercato, che sulla geografia
e architettura della società prodotta dal capitale.
La prospettiva dei partiti
della sinistra, in generale, non incarna l’ipotesi, che diventa sempre più una
necessità, di una società fondata su altri valori e, soprattutto, su diverse forme di organizzazione sociale; il
massimo dell’aspirazione è una sorta di “umanizzazione” del sistema, e lo
chiamano riformismo. Ma il “sistema”
risulta refrattario alle loro buone intenzioni, anzi di esse approfitta per
ingrassare.
Non è in discussione
l’apporto che il sistema capitalistico ha
fornito alla trasformazione del mondo e della società, né la sua capacità di produrre ricchezza e
innovazione, tuttavia è forse giunto il
momento di guardare il Minotauro negli occhi rifiutandogli il contributo di
sangue. Ma chi è Teseo? Chi è Arianna?
Giorgio Ruffolo, mette in
campo la capacità del capitalismo di trasformarsi, e per questo prospetta la
possibilità che il capitalismo abbia i
secoli contati, è immagina “che il
capitalismo dia un’estrema prova della sua duttilità trasfigurandosi, in un
fase finale più pacifica, in una formazione di sviluppo meno turbolento, ben
temperato”. Un capitalismo in grado di negare se stesso e che assumesse
motivazioni diverse da quelle sue proprie: l’equilibrio, la produzione non
quantitativa, il rispetto del limite, la cooperazione sociale, la felicità, ecc.
(perché chiamarlo ancora capitalismo?). Anche Ruffolo pensa che si tratti di
una “improbabile” ma non “impossibile” prospettiva, in caso contrario, in
assenza di una vera alternativa, non resta che entrare in un’era dei torbidi che può durare secoli.
A Luciano Gallino una auto
trasformazione del capitalismo gli appare impossibile e improbabile, e analizza
il finanzcapitalismo come una
macchina sociale mostruosa per la sua estensione, la sua capacità di penetrare
in ogni grumo organizzativo, per la relazione stretta che ha costruito, più che
nel passato con la politica e la sfera di decisione pubblica. È proprio questa
relazione politica/finanza che rende incontrollabile e incontrollato il
capitalismo finanziario, la politica è “divenuta ancella” della finanza. Lo
scambio di personale dalla finanza al governo e da questo alla quella è una costante, e determina una forma mentis
che finisce per riconoscere nell’interesse della finanza ogni azione economica
e politica.
Il finanzcapitalismo a differenza del capitalismo tradizionale
(industriale) non accumula capitale producendo merci e servizi, ma attraverso
il sistema finanziario; detto in altro modo, fa soldi con i soldi. Si tratta di
una trasformazione profonda dalle molteplici conseguenze.
Fondamentale è la creazione
di “massa monetaria”, operata dalle banche,
queste non gestiscono ma creano moneta attraverso i prestiti, soprattutto mutui
e prestito al consumo (senza rispettare di fatto la “riserva di garanzia”), ma
soprattutto attraverso la dilatazione dei derivati. Le risorse finanziarie così
“create” sono otto-dieci volte il Pil mondiale. Inoltre la creazione di
numerosi “fondi di investimento” servono per catturare risparmio e soprattutto
come base, da moltiplicare all’infinito con tecniche di “finanza creativa”, per
speculare. La Borsa non svolge più la
funzione di raccolta di risorse per finanziare le imprese, ma è sempre più
simile ad un Casinò, inoltre una parte cospicua delle contrattazioni
finanziarie avvengono in mercati secondari. Le banche hanno abbandonato, di fatto, la loro funzione
di raccogliere risparmio e fornire risorse in prestito a famiglie e imprese,
per dedicarsi ad attività finanziarie. Dato il rendimento delle attività
finanziarie anche le imprese “industriali”, le maggiori, sono diventate attive nel settore finanziario
(per dirne una che riguarda il nostro paese, ci si può domandare se Marchionne sia un manager industriale e
non piuttosto un finanziere).
Inoltre gli investitori
istituzionali sono diventati una grande potenza che detiene una quota rilevante
delle grandi imprese mondiali e ne definiscono i comportamenti e impongono una
redditività molto alta dell’investimento. Bassi salari, alti ritmi di lavoro,
bassa sicurezza, minimi diritti sindacali, ecc. non sono che l’espressione del
potere della finanza sull’industria. In sostanza,
anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, si
innalza il tasso di sfruttamento, si cancellano per quanto possibile
ogni diritto sindacale, fino all’indifferenza per la vita e la salute dei
lavoratori. Delocalizzazioni, ricatti occupazionali, forme moltiplicate di
contratti, ecc. sono gli strumenti adottati. Tramonta ogni possibile idea di
individuare e assegnare una qualche responsabilità sociale agli investimenti.
La reazione sindacale a
questa situazione, in generale alla ricerca di accomodamenti, rende esplicito
un pericoloso dato culturale: l’avere assimilato gli interessi del capitale
finanziario a quelli del “lavoro”; un incapacità di lettura della realtà che
rende impotenti.
Bisogna tuttavia riflettere
come in aggiunta all’accresciuto tasso di sfruttamento la popolazione viene
ulteriormente tosata attraverso le politiche di equilibrio di bilancio
pubblico, che non sono altro che strumenti per garantire le pretese del
capitale finanziario. In questo caso la cecità della politica è drammatica
(l’esempio greco, insegna), essa si affida ai “tecnicismi”, mette in mora di
fatto la democrazia e sacrifica ad entità astratte, potenti ma che potrebbero essere sconfitte se si
assumessero per il nemico del futuro, e finisce per alimentare la speculazione.
Il finanzcapitalismo, per
mezzo dell’incontrollata creazione di moneta, oggi è impossibile valutare la
“moneta in circolazione”, ha fatto esplodere il rapporto tra debito e Pil dei
paesi sviluppati, ha dilatato i debiti
sovrani, e ha avvolto l’economia globale in una “rete di debito” che condiziona
famiglie, imprese, istituzioni e Stati. Viaggia
da crisi a crisi verso una concentrazione massima della ricchezza e ad una non
improbabile implosione dagli esiti incerti (il tema dell’apprendista stregone è
ricorrente nelle analisi del capitalismo finanziario).
“Per il momento un siffatto esito finale – una
forma aggiornata di fascismo, sostenuta da una larga parte del popolo come
uscita dalla crisi – anche se tutt’altro che impossibile, appare ancora abbastanza
lontano. Tuttavia non si può ignorare che da tempo numerosi governi hanno
imboccato la strada di un crescente autoritarismo , in cui molti elettori si
riconoscono”. Insomma il futuro appare tutt’altro che roseo sia sul piano
economico che su quello politico, anche perché Gallino motiva il suo
scetticismo sul fatto il finanzcapitalismo produca degli anti corpi per il suo
superamento, ipotesi avanzata da altri studiosi. Una sua auto riforma appare
improbabile perché esso costituisce una formazione economico-sociale che permea
dei suoi valori la società e che ha costruito un rapporto biunivoco con la
politica.
Francois Morin, constatato
che “la globalizzazione dei mercati monetari e finanziari è arrivata a una
tappa decisiva: quella della dell’interconnettività mondiale di tutti i suoi
segmenti, controllabili così dalle grandi banche internazionali… permettendo,
su una scala finora sconosciuta, il gioco speculativo mondiale”, prospetta un
mondo senza Wall Street e le piazze finanziarie. Messa in luce la potenza
economica e politica della grande finanza (e delle grandi banche), nonché gli
effetti(negativi) sul lavoro,
l’ambiente, le imprese, le istituzioni nazionali e internazionali e i governi,
l’autore suggerisce una via d’uscita che preveda sia un’apertura di dibattito a
livello della “disciplina economica” in modo da rompere il monopolio
dell’economia standard, e in sostanza abbandonare l’idea di una “scienza
economica” per ritornare all’economia
politica, sia un ripensamento dell’azione
politica, sia la trasformazione della logica finanziaria con un
rafforzamento dell’economia sociale e solidale e la costruzione di nuovi
rapporti di proprietà nella gestione delle imprese e del loro rendimento. L’analisi,
anche se molto più sommaria, corrisponde a quella di Gallino, ma Morin è molto
dettagliato nelle sue proposte di trasformazione su ciascuno dei singoli
aspetti, fino a prospettare un governo mondiale. Le possibilità che queste
riforme si realizzino è fondata sull’ipotesi di una prossima “crisi sistemica
di vasta portata”, dalla quale si potrà uscire, appunto, con un mondo senza
Wall Street (o con un diverso scenario non definito ma che credo sia di tipo
autoritario).
Giorgio Ruffolo esplora la
storia della moneta e la sua funzione (unità di conto, mezzo di scambio e riserva
di valore), per portarci all’oggi: “la più recente crisi è stata provocata da
una massiccia creazione di moneta endogena”. Si tratta di un mutamento del
capitalismo dagli esiti sconvolgentemente negativi. Proprio gli esiti del capitalismo finanziario
rendono esplicito come la moneta sia
insieme “potente ma senza guida”. Guidarla si deve; l’unico modo è
fissare i prezzi della moneta e del credito (tasso di cambio e tasso
d’interesse) che dovrebbe tornare ad essere una funzione politica. Si tratta di
una rivoluzione “inconcepibile all’interno dell’attuale mondo politico e
morale”.
Tuttavia, Ruffolo individua
cinque direttrici di marcia nella direzione della “rivoluzione”: abbandono
dell’assunto dello sviluppo (non una economia stazionaria, ma una economia finalizzata ad obiettivi di
compatibilità ecologica, benessere sociale e programmazione); redistribuzione
della ricchezza sia all’interno dei paesi ricchi che tra questi e quelli
poveri; intollerabilità politica ed etica della “plutocrazia mondiale” che
accumula moneta; la rinascita del mercato.
Il libro di Ruffolo, non
riguarda direttamente la crisi attuale ma la moneta, che ricondotta alla sua funzione gli si restituisce il suo
potere al servizio dell’economia e non di una economia al servizio di un
potere.
I quattro libri di cui ci
siamo occupati, in modo diretto o indiretto, costituiscono delle analisi dei
connotati della crisi che ha investito il sistema mondo. Sono stati individuati,
con precisione e acume, i soggetti attivi di questa crisi, la loro forza e la
loro capacità di difesa; sono stati messi in luce i meccanismi con i quali essi
operano, è in modo esplicito è stato
identificato il costo economico, ecologico e sociale che la popolazione
mondiale sta pagando. Le relazioni tra mondo del capitalismo finanziario e le funzione
di governo (la politica) sono state identificate, non solo come una sorta di
permeabilità reciproca affidata ad una sfera di “professionisti”, ma come, più
gravemente, meccanismo di formazione di
un unico pensiero e modo di operare.
È impressionate, come la
lettura trasversale di questi testi mette bene in chiaro che le risposte che i
governi (a livello nazionale e internazionale) elaborano e attivano sono inutili e spesso, forse in buona fede
e inconsapevolmente, giocano a favore della finanza
speculativa.
Né i “tecnici”, perché
imbevuti di una “dottrina” cieca, né i “politici”, perché vittime di schemi
obsoleti, sembrano capaci di capire la mutazione del capitalismo, e non sembra
si rendano conto di come la nascita del finanzcapitalismo
abbia modificato contenuti e meccanismi dei processi economici, e che al
governo con i loro provvedimenti, gli uni e gli altri, non fanno che tosare i
popoli per offrire comodi giacigli alla speculazione. Se ci fosse una crisi di
sistema l’esito, con molto probabilità non sarebbe progressista ma reazionario
e autoritario, o invece si entrerebbe in un’epoca di grandi turbolenze.
Un’alternativa è possibile?
Forse, ma oggi non pare alle porte, perché sembriamo, complessivamente, incapaci di vedere quello che avviene sotto i
nostri occhi, il vento si è portato via gli strumenti per capire, e chi capisce
e si mobilita non sembra ancora capace di una iniziativa politica all’altezza
della questione.
Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in
crisi, Einaudi, Torino, 2011, pp. 324, 19€
Francois Morini, Un mondo senza Wall Street, Tropea,
Milano, 2011, pp. 157, 15€
Giorgio Ruffolo, Il Capitalismo ha i secoli contati,
Einaudi, Torino, 2009, pp. 295,
12€
Giorgio Ruffolo, Testa e croce, una breve storia della moneta,
Einaudi, Torino, 2011, pp. 176, 17€