giovedì 24 ottobre 2013

Solidarietà e Diritti






Si potrebbe, forse, scrivere la storia della modernità come un processo continuo in cui uomini e donne hanno teso a liberarsi da una rapporto di solidarietà per acquisire diritti.

La solidarietà è oggi considerata, soprattutto a “sinistra”, come una “virtù collettiva”. Una posizione che non mi pare di potere convivere e che costituisce un errore di prospettiva.

Che la solidarietà possa essere una “virtù individuale”, si può accettare, me ben altri dovrebbero essere i valori che incarnano le virtù collettive: la convivenza, la giustizia sociale, l’equità, la difesa dei diritti sociali.

La solidarietà, intanto, ha un sottile sapore di paternalismo: chi solidarizza è sempre in condizione migliore di chi la solidarietà riceve. La solidarietà, per quanto onesta e priva di ogni principio di potere, determina una situazione di sudditanza, di obbligo, di riconoscenza, da parte di chi la riceve verso chi la concede (la concede il verbo usato non è casuale). Spesso è anche un atto d’amore: la nonna che bada al o ai nipotini, quando la madre deve andare a lavorare, lo fa per amore, la cosa non è in discussione. Ma si crea, comunque, sia una situazione di dipendenza che di riconoscenza. Per evitare l’una e l’altra si è rivendicato il diritto all’asilo nido, che libera la madre e la nonna e ne migliora i rapporti, oltre al fatto che il o la bambina possono crescere meglio.

Si può sostenere che tutti i diritti sociali sono ascrivibili all’interno del processo di rendere la specie indipendente da rapporti di solidarietà.

È la piena realizzazione dei diritti di cittadinanza che rende liberi i singoli, e migliora la società innalzandone lo statuto civile e la convivenza. Moltissime delle difficoltà di convivenza sono ascrivibili, infatti, al disconoscimento di qualche diritto, a fronte del quale l’invocazione della solidarietà è immediata e sembra una buona cosa.

Il disoccupato o la vecchietta che chiedono l’elemosina, invocano la mia personale solidarietà perché privati dal diritto al lavoro o ad una pensione decente. Si potrebbe sostenere che i diritti incarnano la solidarietà collettiva, ma questo spesso si dimentica facendo appello alla solidarietà individuale (che non può che essere limitata soggettivamente e oggettivamente).

Se si volesse essere solidali il nostro impegno personale dovrebbe essere posto sia nel pretendere che i diritti sociali siano rispettati (prima e soprattutto), sia nell’ampliare continuamente l’ambito di questi diritti in ragione dei mutamenti sociali. Ma oggi la linea politica suggerita sembra seguire percorsi contrari: il “non possiamo permettercelo” è la giustificazione (falsa) per negare i diritti sociali conquistati con fatica, lotta e intelligenza, producendo un degrado della società e l’incanaglirsi individuale.

Qualche anno addietro sono stato invitato al convegno annuale di Libera, l’associazione guidata da don Ciotti. Ho fatto presente che ero ateo e che il “volontariato” era fuori dalle mie corde. Hanno insistito perché volevano che dessi un contributo ad una sezione dedicata alla città. Spinto molto dalla curiosità ho accettato l’invito. Sono arrivato con un po’ di ritardo e sono entrata in una sala, stracolma (per lo più giovani) mentre don Ciotti si avviava alla conclusione della sua introduzione. Le parole conclusive di don Ciotti che sintetizzo nella frase “basta solidarietà, non vogliamo solidarietà, ma diritti” mi hanno dislocato in un “altrove”, indietro nel tempo, in assemblee di diverso segno ma delle quali mi sembrava si fosse persa memoria. Parole che mi hanno fatto comprendere che esistevano buone piante anche in giardini imprevisti.

È la cultura dei diritti che dobbiamo coltivare sia di quelli civili che di quelli sociali; una “società di diritti” non è, come ci vogliono fare credere, una società ingabbiata, ostile al cambiamento, refrattaria alle novità e “spendacciona”, ma, piuttosto, una società di liberi uomini e donne, capaci di costruire un futuro migliore basato sull'equità, la convivenza, l’inclusione e il rispetto reciproco.



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