Metropoli territoriale
e sviluppo economico sociale
Francesco Indovina
- Premessa:
contenuti e organizzazione
Il numero della rivista si articola attorno al tema dello
spazio metropolitano e agli effetti che la “costruzione” di un tale spazio può
determinare su una situazione ad economia diffusa come il Veneto.
Si affronterà questo problema attraverso alcune “tesi”,
tuttavia ad introduzione si svilupperanno alcune osservazione sulle differenze
ed evoluzioni delle diverse “civiltà urbane” e si cercherà di chiarire quali
sono i fattori che hanno determinato il processo di metropolizzazione del
territorio riprendendo brevemente, per questo argomento, alcuni dei temi trattati su questa stessa
rivista (Indovina, 2003).
- Diverse
“civiltà urbane”
Nel momento in cui la maggioranza della popolazione mondiale
vive e sempre più vivrà in “città”
verrebbe spontaneo affermare che la “civiltà urbana” ha prevalso. In
termini generali tale affermazione descrive la realtà, tuttavia sarebbe un
errore se con il termine “civiltà urbana” si volesse descrivere un fenomeno
omogeneo. Non solo, con riferimento all’evolversi delle diverse epoche
storiche, il termine ha indicato fenomeni diversi, ma anche nello spazio oggi
si devono segnalare modalità di essere di questa “civiltà” abbastanza
differenti.
Si spera sia chiaro perché non si faccia riferimento a
“città” ma piuttosto ad un concetto più vago ma sicuramente comprensibile di
“civiltà urbana”. Le differenze tra le città, infatti, sono costitutive del loro essere e dipendono
da fattori diversi (dalla geografia alla storia, dall’economia alla dotazione
di servizi, ecc.). ogni città è diversa da ogni altra, anche se rispondono ad
una stessa logica, ma all’interno di una
data “civiltà urbana” le pur diverse città rappresentano un’articolazione o una
declinazione di un’unica concezione del vivere urbano.
L’esistenza di differenze sia riferite alla “forma” che alle modalità di “vita”
sembrano solo in parte discendere da differenze nel sistema economico, che, pur
tuttavia, si assume avere un rilevante influenza nel determinare le precipue
caratteristiche di ogni civiltà urbana. Il sistema dei “valori”, le relazioni
di parentela, i concetti di convivenza e accoglienza e, più in generale, la
“cultura”, in senso antropologico, il desiderio di chi governa di “somigliare”
ad altri, il processo insieme di omologazione e differenziazione, fanno di ogni
condizione urbana quasi un caso a sè.
Spesso si fa riferimento alle “forme” (sia architettoniche
che morfologiche della città) per riconoscere somiglianze o differenze; ci sono
pochi dubbi che le forme possano esercitare una certa influenza sui
comportamenti, tuttavia tale influenza non sembra determinante. Forme
abbastanza omogenee danno luogo a organizzazioni sociali urbane anche differenti.
La “tradizione” urbana appare come qualcosa di più
complesso: la storia, i processi sociali e politici, i meccanismi economici e
la “cultura” determinano differenze sostanziali nei diversi episodi di civiltà
urbana. Se fosse possibile identificare diverse civiltà urbane: dell’Europa, dell’America del Nord,
dell’America del Sud, della Cina, della Russia, dei paesi Africani con
tradizione anglosassone o con tradizione francese, ecc. si potrebbero cogliere non solo delle
differenze, spesso notevoli, tra di
loro, ma anche all’interno di queste generali classificazioni sarebbe possibile
individuare diversità non di poco conto.
Questo è vero non solo se si guarda alle “forme”, ma anche e
soprattutto ai modi di vita, all’organizzazione della quotidianità, ai
meccanismi di relazioni tra le diverse persone e tra le diverse articolazioni
sociali. Insomma sono gli uomini e le donne che danno corpo e sostanza alla
civiltà urbana, alla cultura urbana.
Non solo ma possono cogliersi tra queste realtà delle
traiettorie tra di loro diverse, nel pur sicuro
affermarsi dell’ “effetto urbano”. Si intende dire che ci sono elementi
che accomunano questi differenti episodi di civiltà urbane insieme ad elementi
fortemente diversificanti.
L’effetto urbano non va considerato soltanto dal punto di
vista economico, sociale, e nei modi di
organizzazione del quotidiano, ma va considerato in uno spettro più ampio che
comprende, per esempio, la concezione che si ha dell’ambiente, la preferenza
per l’isolamento, la natura delle relazioni tra le persone, i modi di educare i
figli, ecc., e riguarda, in
sostanza, gli effetti che scaturiscono
da una situazione tipicamente urbana e che non si riscontrano o si riscontrano
con intensità minore in situazioni non urbane.
Nel modello urbano europeo, che ovviamente costituisce una
semplificazione di una situazione differenziata ma avente dei connotati comuni,
sono in atto dei processi abbastanza omogenei di quella che è stata chiamata la
“metropolizzazione del territorio” (Indovina 2003). La ricerca, cioè, di una
dimensione metropolitana non concentrata ma organizzata nel territorio
(Fregolent, Indovina e Savino ,2005). Un fenomeno che in misura più o meno
estesa si presenta in tutto il continente, ma, ovviamente, con caratteristiche
diverse anche se centrate su quella che possiamo chiamare la metropoli territoriale. Il fenomeno di
crescita metropolitana assume caratteristiche diverse e spesso non
confrontabili tra quelle che si sono chiamate “civiltà urbane” diversamente connotate.
Anche nel nostro paese la “civiltà urbana” sebbene con alti
gradi di omogeneità presenta delle notevoli differenze, basti pensare a regioni
con un alto numero di piccoli comuni o, al contrario, regioni che presentano
prevalentemente comuni di una certa consistenza, tutto ciò in dipendenza di un
differente asseto economico e sociale dell’agricoltura, questione rilevante in
ordine alle modalità con la quale si vive la “città”. O ancora le notevoli
differenze che caratterizzano le diverse regioni proprio in riferimento al
senso che assume la vita urbana, la sua organizzazione e il suo governo; il
significato differente assegnato allo “spazio pubblico”, ecc.
In Italia, come altrove, il processo di metropolizzazione
del territorio è in cammino, con forme diverse a secondo della struttura di
partenza; il concentrare l’attenzione degli studiosi sulla “città di città
(Nel.lo, 2001) è la chiara evidenza di una fenomenologia che solo in un’ottica
sbagliata veniva caratterizzata come
“diffusione”, mentre mostrava il segno della costruzione metropolitana.
Un processo in cammino da diversi anni, non omogeneo e articolato: dove già è presente una “grande
città” esso assume connotati diversi rispetto a situazioni territoriali dove
non si sente il peso massiccio di un polo urbano ordinatore; dove forte è la
presenza della produzione industriale la natura della nuova metropoli sarà
diversa che nel caso in cui la forza economica del territorio sia fondata sulla
produzione immateriale; ecc.
3. La
metropolizzazione del territorio
In un certo
senso si può dare per acquisito che la dispersione
e la metropolizzazione del territorio
non appartengono a stadi diversi, ma si
tratta di fenomeni tra di loro strettamente correlati. In sostanza la dispersione ha generato la metropolizzazione
del territorio. Questa ultima ha
evitato l’impoverimento della vita sociale e individuale che la dispersione poteva
generare e, nello stesso tempo, ha ridotto gli aspetti negativi insiti nella
dimensione della metropoli.
Se per “area
metropolitana” è possibile intendere un territorio le cui singole parti sono
tra di loro integrate in relazioni alle diverse funzioni e secondo una
struttura fortemente gerarchica, la metropolizzazione
del territorio presenta connotati diversi: una maggiore integrazione, una
minore gerarchia, relazioni a rete, ed multi direzionali.
Si passa,
cioè da una gerarchia
hard ad una
gerarchia
soft (Indovina, 1999), i movimenti di persone
non sono solo monodirezionali, dalla
periferia al centro, ma diventano pluri-direzionali in tutte le direzioni
comprese quelle dal centro alla periferia
,
come esito di diffusione nel territorio non solo di popolazione ma anche di
attività, di funzioni commerciali, di servizi ecc. La tendenza, dunque, non è
più quella di concentrare in un unico punto (città centrale) le funzioni
principali, quelle economiche e dei servizi superiori, ma piuttosto di
distribuire nel
territorio ampio
punti di specializzazione, diversificati ma, appunto, integrati tra loro, che
fanno, come dire, un
tutt’uno[2].
I processi di
trasformazione del territorio e della città hanno origine da fattori diversi e da
nuove relazioni tra questi e il “resto”,
aspetti spesso non presi in considerazione e non sempre di immediata percezione. Inoltre
non va sottaciuto che ogni territorio, pur in un processo generale comune,
presenta delle specificità locali che
non ammettano una semplificazione riduzionista. In sostanza mentre una certa tendenza generale
è in atto, la concreta tipologia di
trasformazione dipende dalla combinazione
e dal peso relativo dei fattori specific che operano in ogni singolo
territorio.
Tra i fattori
che hanno determinato la diffusione prima e la metropolizzazione dopo si
vorrebbero segnalare:
- le modifiche nel processo produttivo: la
crisi della “grande fabbrica” determinata dalle trasformazioni tecnologiche
produttive e di consumo; di contro l’affermarsi della piccola e media impresa
come sistema di produzione; lo svilupparsi di una “economia dei servizi”; il
collegamento sempre più stretto tra ricerca scientifica, innovazione
tecnologica e sviluppo produttivo; l’allargamento del mercato mondiale che ha
determinato una nuova divisione internazionale del lavoro; il potere economico
d’impresa focalizzato sulla “catena del valore aggiunto” da una parte, e sulla
finanziarizzazione dall’altra.
Il processo
di produzione delle merci tende
a
disarticolarsi utilizzando al meglio le
specializzazioni “diffuse”
[3]; il processo di
produzione
ha bisogno di rafforzare e
ampliare la propria rete di relazioni sia con i diversi segmenti che
contribuiscono alla realizzazione della merce,
sia con una serie di “servizi” che, soprattutto
la piccola e media impresa, in generale non
può produrre
al proprio interno; è
cresciuto il bisogno di interdipendenze, sempre meno l’impresa è un mondo a sé,
la sua vitalità è sempre più legata alle relazioni che riesce ad attivare in
tutte le fasi del suo stesso processo produttivo.
Una forma
dell’organizzazione della produzione che porta ad una frammentazione della
“catena del valore aggiunto” con alcune
“centrali” in grado (in ragione di un potere economico, organizzativo e
di mercato)
di trasferire a loro
vantaggio la maggior parte del valore aggiunto prodotto nella filiera di
produzione, mentre alle singole (spesso piccole e medie, ma non sempre) imprese
appartenenti alla specifica “catena” hanno riconosciuto un “basso” valore
aggiunto con gli effetti che questo comporta in termini di debolezza economica,
di difficoltà ad innovare e di dipendenza
[4].
Le “economie
esterne”, di reciprocità, non sono
diventate irrilevanti, ma il raggio della loro influenza si è allargato in
ragione delle nuove possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche, dalle telecomunicazioni e dall’accresciuta
mobilità delle persone.
- la diversificazione della rendita: la crescita del valore della
rendita costituisce, come è noto, un fattore di espulsione de di
re-insediamento, ma non dei soggetti marginali, che nel contesto della
città possono trovare situazioni adatte
nei così detti interstizi urbani, quanto
dei soggetti medi, siano essi famiglie o attività economiche. In sostanza
nel cuore delle città più grandi si riscontra una tendenza alla polarizzazione
alta/bassa, sia dal punto di vista sociale che economico produttivo. Quello che
in qualche modo può essere considerata una fenomenologia nuova non è tanto
l’espulsione sociale, o delle attività
economiche, ma piuttosto la dimensione
del fenomeno, le motivazioni che lo caratterizzano e gli esiti che determinano.
- le modifiche nella vita quotidiana: si
avanza l’ipotesi, in qualche modo verificata, che tali cambiamenti abbiano
aumentato le domande anche di nuovi
servizi, in senso lato, della
popolazione per effetto dei mutamenti
nell’organizzazione del lavoro e nella
struttura della famiglia, per il prolungamento della vita, per la crescita dei single, per l’aumento del tempo non
obbligato, per le nuove tecnologie che hanno investito la casa e il nostro
quotidiano, per l’aumentata scolarità, per l'aumentata mobilità, ecc.
La maggior
parte di tali
crescenti esigenze,
possono essere soddisfatte solo all’esterno della stretta organizzazione
familiare (comunque intesa) e portano ad una crescente domanda di servizi
[5].
Nella nuova
condizione di domanda di servizi, l’offerta tende a scegliere quella
localizzazione non tanto vicina alla
domanda, ma piuttosto comoda da
raggiungere da parte degli utenti, cioè accessibile
(un concetto di vicinanza non metrica). Funzionale a tale strategia è una
relativa integrazione di diverse offerte
concentrate nello stesso luogo. Quello
che appare evidente, ai fini del ragionamento che si sta svolgendo in questa
sede, è che tende a prevalere una
specializzazione “locale” per funzioni integrate (appunto polo del commercio
dell’abbigliamento, polo del commercio di beni durevoli, ecc.).
Appare
evidente che l’intreccio delle tre precedenti variazioni è determinante per generare il fenomeno della
metropolizzazione del territorio.
Risulta perdere
valenza il fenomeno dell’agglomerazione: si sono ridotti i suoi vantaggi (per
imprese e famiglie) mentre sono fortemente cresciuti i suoi svantaggi. La
localizzazione produttiva dispersa costituisce una “politica d’impresa”, così
come la dispersione delle famiglie risulta una “politica delle famiglie”
determinata sia dal calcolo economico
che dalla ricerca di condizioni
insediative ritenute, desiderabili. Non
necessariamente, l'una e l'altra,
risultano vantaggiose per la collettività.
Come elemento
importante di questa fenomenologia, va rilevato che una parte consistente della
condizione urbana, in ragione
dell’accresciuta mobilità delle persone, delle localizzazione dispersa ma ad
alta accessibilità dei servizi, può essere realizzata ed ottenuta anche in una
situazione di dispersione (fatto questo che costituisce un primo e importante
gradino per la successiva metropolizzazione del territorio).
In sostanza
se si guarda alle tre precedenti variazioni, ai loro intrecci e alle conseguenze che ne derivano ci si
trova di fronte a molteplici mosaici metropolitani, ciascuno
magari diversamente caratterizzato
ma tutti dipendenti da una stessa
logica così sintetizzabile: i risultati positivi dell’agglomerazione (di
persone, di attività e di servizi) oggi
possono essere realizzati, per effetto
delle nuove tecnologie e della crescita della mobilità, anche in una situazione
di dispersione; la dispersione, conseguentemente, assume il segno non già
dell’isolamento ma della connessione e interdipendenza. Il segno forte del
nuovo mosaico metropolitano è quindi una forte integrazione in un contesto di
dispersione, esso è caratterizzato dai
seguenti caratteri comuni: esistenza di polarità (di servizi, produttivi, o per
il tempo libero) localizzate in ragione
dell’accessibilità; accentuata mobilità pluridirezionale;
eccessivo consumo di suolo; alto consumo di energia; uso dei territori
“naturali” (non costruiti)come strutture “urbane” disponibili per la
popolazione (Donadieu, 2000).
È possibile
immaginare un territorio metropolizzato
caratterizzato da diverse attività produttive diffuse, con polarità di servizio
tendenzialmente specializzate, con dei centri di insediamento residenziale
storico e tradizionali ma anche con insediamenti residenziali nuovi, sia concentrati
che diffusi, con una fitta maglia di
collegamenti stradali (che magari ricalca storiche forme di organizzazione del
territorio e che sfrutta i collegamenti agricoli del passato), attraversato da
una fitta mobilità di persone, di informazioni e di merci.
Nei nuovi territori metropolitani, non sono
eliminate né le differenze tra le diverse zone (un tempo si sarebbe detto tra centro
e periferia), né, ovviamente, le
gerarchie spaziali, ma queste ultime
assumono una diversa caratterizzazione: si passa, come già osservato, da una gerarchia hard ad una gerarchia soft.
Mentre nel
passato la “centralità” era espressione (anche misurabile) di massa (concentrazione di capitale
produttivo, di servizi e di popolazione; flussi pendolari massicci; saldo sociale
positivo; ecc.), oggi essa si caratterizza piuttosto come espressione di potenza. Ciò che caratterizza le nuove
centralità è la concentrazione delle attività di governo, intese in senso lato, e di indirizzo. Sono i centri di governo dell’economia, della finanza,
della cultura, dell’amministrazione, dell’informazione, della salute e cura,
ecc., che costituiscono gli strumenti di costruzione delle nuove gerarchie; tali centri non
“muovono” solo una massa materiali (persone e cose) ma anche e spesso prevalentemente
flussi immateriali (“indirizzi”, “progetti”, “informazioni”, “tecnologie”,
“saperi”, ecc.) potenti nella determinazione delle tendenze, dei successi delle
imprese, della qualità professionale degli individui, della qualità della vita,
delle conoscenze comunicate, ecc. (e attraverso questa strada condizionano la
vita, le possibilità di lavoro ed economiche e sociale degli individui).
I centri che
all’interno dei territori metropolitani attraggono tali polarità di governo e
di indirizzo devono offrire fattori localizzativi nuovi rispetto a quelli del
passato, o, se si preferisse, anche
tradizionali ma con connotati nuovi. La qualità dei luoghi appare una delle
variabili più importanti, ma vanno anche considerati: i collegamenti sia di
lunga che di breve distanza, le strutture formative, i centri di ricerca, la
“vitalità” urbana, buoni teatri, club
ricreativi, ecc. Ma tutte queste funzioni non necessariamente concentrati in un
“punto” del territorio, ma possono essere distribuiti nello spazio ampio purché
facilmente accessibili.
Si determina
così un territorio fortemente interrelato, una città di città, con i poli tra di loro collegati, con polarità
specializzate ed anche di eccellenza, con uno o più centri
meno “vistosi” (poco di massa) ma molto
più potenti. Si tratta di un territorio in “rete” intendendo con questo termine
la possibilità reale di collegamento tra zone, poli, individui e funzioni, che utilizzino tutti i mezzi e gli strumenti
disponibili (materiali e immateriali) e che
insistano su un territorio
con “centralità” articolate.
Le relazioni
territoriali, sono nella nuova realtà, molto intense, riguardano non solo la
sfera della produzione ma anche quella dei servizi, delle attività di loisir, di quelli culturali e di formazione,
il patrimonio “naturale”, ecc. Questa rete di relazioni, questa forma in parte
nuova di utilizzazione del territorio, questa accentuata mobilità, questa
minore gerarchia, questa maggiore articolazione funzionale del territorio, costituiscono il tratto prevalente e
caratterizzante dell’insediamento nel territorio
metropolitano o come forse è possibile scrivere della metropoli territoriale.
4.
Dieci tesi per la metropoli territoriale del veneto centrale
Di seguito si
avanzano alcune tesi circa le possibilità e le necessità che caratterizzano la
situazione del Veneto centrale, affinché possa realizzarsi un’evoluzione
positiva in termini di sviluppo economico e di organizzazione del territorio.
Nessuna idea
esaustiva sta dietro queste tesi, ma, a partire dalla conoscenza dei meccanismi
di trasformazione del territorio, si è cercato di individuare quelle che si
ritengono le questioni chiave. Non si tratta, quindi, dell’esposizione di tutte le questioni che
interesssano questa zona, ma, piuttosto,
si è tentato di individuare quelli che sono stati ritenuti i capisaldi
concettuali e operativi per un’azione positiva adatta ad intervenire sia sugli
elementi strutturali negativi sia sulla situazione determinata dalla crisi
economica attuale.
Tesi n.1.
Il territorio metropolitano è da governare
Talvolta si
fa riferimento alla necessità di costruire lo spazio metropolitano del
Veneto centrale (città metropolitana, PaTreVe, ecc.). Sebbene non in forma
compiuta il punto di partenza non pare possa essere, perché irrealistico,
quello della costruzione di questo spazio, ma piuttosto quello di governarlo.
Esso, infatti, è già una realtà..
Il Veneto
centrale, infatti, in una forma che possiamo far discendere da un processo di
auto-organizzazione ha già dato forma ad una metropolizzazione del territorio,
certo non in modo completo, ma anche con molte delle caratteristiche generali come prima descritte. Il fatto che la
costruzione di questa nuova realtà territoriale sia il risultato di forze
indipendenti ed autonome (economiche, sociali, culturali, inerenti i servizi,
ecc.) che attraverso loro proprie e autonome decisioni hanno cercato di
realizzare loro obiettivi ha determinato un esito con molti aspetti negativi e,
soprattutto, non è in grado realizzare
le potenzialità esistenti.
La somma di
scelte individuali e autonome non costruisce un buon territorio, anche se essa
esprime le capacità dinamiche e innovative delle forze sociali operanti nel
territorio. Bisogna prendere atto che la costruzione di questo territorio è
avvenuta al riparo di ogni forma di “governo”, è avvenuta nell'assenza di una percezione
politica (e spesso culturale) di quello che si muoveva e che stava avvenendo.
Dall'altra parte le forze operanti hanno cercato di sfruttare a loro esclusivo
vantaggio l'indeterminatezza politica, la concorrenza tra i diversi decisori
pubblici, l'inefficienza del controllo della “legalità” di molte operazioni di
trasformazioni del territorio e nella gestione delle attività economiche, di un permissivismo
ambientale quasi senza limite, ecc. La realtà e una situazione iperdotata di
funzioni private e ipodotata di funzioni
pubbliche.
Questa
dinamica ha determinato l'esistenza di un territorio metropolitano che presenta
non pochi elementi negativi (in parte già citati ma che vale la pena di
ripetere: consumo di suolo, spreco energetico, costo elevato dei servizi da
parte della pubblica amministrazione, struttura di relazioni interne ed esterne
spesso carenti, ecc.) e, soprattutto, appare in attesa, per così dire, di trasformarsi
in metropoli territoriali che,
tuttavia, non è realizzabile in forma di auto-organizzazione.
Non sembri
una questione di sottigliezza eccessiva porre l’accento che la non si tratta di
costruire una metropolizzazione del territorio, poiché essa esiste già.
Assumere questa realtà, piuttosto che pensare di costruirla,
modificherebbe sostanzialmente
l’approccio politico, culturale e operativo.
Il
problema di questa area, a questo punto, è quello di passare dall'auto-organizzazione
all'organizzazione, il che comporta non solo la messa a sistema di quanto è
stato realizzato ma anche notevoli correzioni, la definizione di ruoli
territoriali coerenti, l'individuazione di regole di trasformazione,
l'integrazione di nuove funzioni. In sostanza si tratta assumere che si tratta
di una realtà in attesa di essere governata per realizzare le sue molte
potenzialità; la realizzazione, cioè, di una metropoli territoriale.
Tesi n. 2. Nuove forme di governo
L'articolazione
dei “poteri territoriali”, nel nostro paese (ma non solo) non sono il migliore viatico
per il governo di una possibile metropoli
territoriale. La struttura del governo territoriale è assestata su una
situazione oggi non più esistente, essa si basa, infatti, sulla presupposta autonomia
di ogni centro (comune) e sull'ipotesi che le relazioni di ogni centro con il resto (del mondo) siano minime e comunque non influenti sulla
realtà locale.. Per intenderci ed estremizzando essa fa riferimento ad una
situazione territoriale di campagna con
all'interno degli agglomerati urbani, mentre la situazione, esaltata nel caso
specifico del Veneto, può meglio descriversi come un territorio caratterizzato
da unica città con qualche frammento di campagna.
Bisogna
osservare che da anni questa discrasia è stata rilevata (si rimanda ancora al
citato paragrafo del saggio sulla metropolizzazione apparso su questa rivista),
ma la persistente gelosia dei poteri territoriali esistenti, nonché l'ignavia
dei governi centrali,
non ha permesso di
mettere mano ha una ragionevole riforma di questa situazione. Non è un caso che
nonostante leggi, reiterazioni di principi, scelte politiche ecc. le “città
metropolitane” restano soltanto delle espressioni letterarie, senza nessun
rilievo ed effetto sull’organizzazione del territorio
.
L'Italia
possiede una serie molto ampia di strumenti di pianificazione, ma gli unici con
vero potere sono quelli comunali, gli altri definendosi di “coordinamento”, il
che la dice lunga sul loro reale potere, non riescono ad incidere che in misura
minima. Ma una situazione di metropoli
territoriale ha bisogno di un governo unitario, in grado si superare, in
una visione di maggior respiro, gli interessi puntuali e a questi offrire una
prospettiva migliore.
Si
vuole affermare, con forza, che la possibilità di utilizzare al meglio le
condizioni generate dal processo di metropolizzazione del territorio impone la
individuazione di un livello di governo complessivo e che sfugga agli interessi
localizzati in un ottica di interesse dell'insieme dell'aria. Un governo che
abbi forza per coordinare
l'articolazione delle decisioni autonome, che abbia il potere di determinare le
scelte dei diversi operatori pubblici che operano in un qualche regime di
autonomia, che sappia determinare scelte opportune per esaltare le condizioni
di metropoli territoriale.
Tesi . 3. Polarizzazione e infrastrutturazione
Sostanzialmente gli obiettivi del governo della metropoli
territoriali potrebbero essere sintetizzati nel rendere, per quanto possibile,
identiche le opportunità dei singoli punti del territorio e collegare in modo
efficiente ed efficace tutti i punti del territorio. Non si tratta ovviamente
di far diventare ogni punto del territorio omologo ad ogni altro, o, da un
altro punto di vista, ogni localizzazione indifferente al luogo, ma al
contrario esaltare la “specificità” trasformandola in una opportunità per tutto
il territorio., È evidente che si tratta di obiettivi relativizzati, la mappa
del territorio non sarà mai piana, ma le sue rugosità (le diverse specificità) dovrebbero
costituire i nodi delle reti e la condizione base della metropoli territoriale.
La rottura delle gerarchie territoriali, o il passaggio,
come prima definito, dalla gerarchia hard
ad una gerarchia soft, dovrebbe
comportare che molti punti del territorio
diventino luoghi di insediamento di funzioni (servizi, attività economiche,
ecc.) che servono l'intera area. Tanto più questi “poli” si moltiplicano
tanto più il territorio risulta metropolizzato e aumenta l’offerta dei servizi
e crescono le opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale.
Perché questo avvenga, perché le funzioni localizzate siano al servizio di
tutta l'area è necessario che ciascuna di queste sia accessibile,
l'accessibilità nelle diverse sue forme, costituisce una delle caratteristiche
fondamentali, il caposaldo, si potrebbe dire,
di una metropoli territoriale.
Le reti infrastrutturali sia fisica che telematica, in tutte le loro accezioni
costituiscono il passo fondamentale per far uscire il territorio
metropolizzato, cioè fondato sull'auto-organizzazione, verso la metropoli territoriale, fondata sull’organizzazione.
Le reti, cioè, da una parte dovrebbero “rispondere alla domanda” esistente e,
dall'altra parte, dovrebbero creare nuove opportunità territoriali e se del caso
modificare la domanda preesistente.
Il governo della metropoli territoriale, quindi, dovrebbe porsi gli obiettivi di
moltiplicare le polarità nel territorio e infrastrutturare il territorio in
funzione non delle gerarchie esistenti ma della loro riduzione per rendere, per quanto possibile, omogeneo
il territorio (fermo restando differenze orografiche, storiche, ecc.).
Tesi n. 4. Dai distretti all’integrazione e
all'innovazione
La perdita di potenza della forza dell’agglomerazione, così
come ha inciso e incide profondamente nella densità urbana, incide anche
nell'economia distrettuale, inoltre, questa, nella ricerca di situazioni più
convenienti (delocalizzazioni) ha teso a disgregarsi.
L'economia di piccole e medie imprese, inoltre, nella
maggior parte dei casi, sembra soffrire per carenza di integrazione e di
innovazione (le responsabilità di questi fenomeni sono diversi ma non è questo
il luogo per approfondire tale tema). La situazione di piccole e medie imprese,
infatti, presenta notevoli vantaggi sul piano della flessibilità e
dell’organizzazione, ma mostra forti carenze sul piano dell’innovazione.
Pare in qualche modo assodato che il “sistema” di piccole e
medie imprese ha necessità di un processo evolutivo che lo porti sia verso
dimensioni maggiori, sia verso processi di integrazione e di innovazione. Si dà per acquisito che, tranne
casi particolari, questa evoluzione non è nelle possibilità delle stesse piccole
e medie imprese. In questa situazione
c'è la possibilità di trovare sostenitori di una sorta di darvinismo economico,
che cioè accetta la “selezione economica” delle imprese come un meccanismo di
miglioramento della struttura economica, data la sopravvivenza delle imprese “migliori”. Da una parte va sottolineato che questa
soluzione presenta un costo sociale ed economico non sopportabile e, dall'altra
parte, non è detto che a sopravvivere siano le “migliori”. È possibile prevedere un intervento diretto dello Stato (o
della Regione) che nella situazione data e per esperienze passate non sempre
positive, appare sconsigliabile: il sistema di selezione difficilmente
risulterebbe oggettivo ed efficiente.
Un punto di vista accettabile non è tanto quello del
“salvataggio”, quanto piuttosto quello di creare le condizioni perché in forma
autonoma le imprese in difficoltà riescano a salvarsi e a migliorare la loro
situazione.
Nella situazione della metropoli
territoriale c'è spazio per un intervento diretto e a guida pubblica teso a
creare le condizioni opportune perché le imprese in situazione migliori possano realizzare obiettivi di sviluppo
lungo la linea indicata.
Le reti (in tutte le loro versioni) costituiscono un potente
mezzo d’integrazione economica e, se
fosse possibile usare un paradosso, possono fornire
l'occasione per la strutturazione di quello che è possibile chiamare “distretto non concentrato”, che
collocherebbe l’economia distrettuale in una dimensione adeguata a tempi e,
contemporaneamente, utilizzerebbe il patrimonio di esperienze professionali e
imprenditive del passato. È indispensabile, inoltre, che si dia corpo a centri di innovazione e di
diffusione dell'innovazione effettivamente operanti, con efficacia ed
efficienza, modificando profondamente situazioni nelle quali le ragioni sociali non
corrispondano alle effettive operatività. In ultimo enti pubblici associati,
secondo le loro specifiche competenze, devono contribuire a determinare un
clima culturale in grado di influenzare le scelte delle singole imprese nella
direzione dell'innovazione e dell'integrazione.
La metropoli territoriale con la moltiplicazione dei poli e con la
loro qualificazione costituisce un tessuto adatto per modificare la situazione
delle piccole e media imprese a condizioni che siano fortemente sviluppate le
reti, siano effettivamente messi a punto
centri in grado di promuovere con efficacia il trasferimento d'innovazione
promuovendo l’integrazione e innovazione tecnologica delle imprese e al
contempo si contribuisca a creare un
clima favorevole all’innovazione.
Tesi n. 5. La logistica
Una metropoli
territoriale che vuole continuare ad essere
anche zona economica di esportazione non può non avere un punto di forza
nella logistica. Le attrezzature esistenti pur presentando un grande potenziale
non paiono ancora adeguate a sostenere l’economia della zona e,
contemporaneamente, l’economia della zona non pare sufficiente a sostenere una
struttura logistica avanzata e di dimensioni tali da garantirsi economie di
scala. La soluzione di questa contraddizione, tuttavia, va trovata nello
sviluppo del porto al servizio dell’economia non solo della metropoli territoriale ma di grande
parte del Nord d’Italia. L’utilizzazione di alcune delle aree di Porto Marghera
a questo scopo, nonché i programmi innovativi proposti, sembrano muoversi in
questa direzione, tuttavia tale struttura logistica vive di integrazione, ha
cioè bisogno di reti di supporto che paiono non solo oggi insoddisfacenti ma
carenti nei programmi futuri.
Un ragionamento simile può farsi per l’aeroporto di Venezia
che costituisce una struttura di servizio sicuramente per la metropoli
territoriale, ma anche per un’area più
ampia.
La metropoli
territoriale costituisce, proprio perché
a suo fondamento si colloca lo sviluppo delle reti, un contributo notevole alla
realizzazione di impegnativi e innovativi programmi di sviluppo della
logistica, contemporaneamente, la realizzazione di una logistica avanzata ed
efficiente costituisce un apporto rilevante per il consolidarsi della struttura
economica della zona. Una correlazione, questa, che può diventare un punto di
forza sia nella realizzazione della metropoli territoriale sia nello sviluppo economico di tale realtà
territoriale, sia nell’affermarsi di una logistica avanzata.
Tesi n. 6. Le nuove energie
L’economia della metropoli
territoriale ha un punto di forza nella struttura economica realizzata
negli anni passati nella zona, una realtà che è stata, essa stessa, la materia
prima sulla quale si è iniziato a costruire la metropolizzazione del territorio,
tuttavia oggi, come già rilevato, sembra necessarie emergano nuove energie
umane e professionali.
È sempre difficile, o può essere espressione di faciloneria,
indicare quali potrebbero essere i “nuovi settori” economici sui quali
l’economia della zona dovrebbe assestarsi. Tuttavia qualche indicazione molto
generale è possibile individuare sia nei processi economici generali sia da
quanto già avviene nella zona. È possibile individuare attività il cui sviluppo
è collocabile in tempi medio-lunghi, come quelli legati all’energie rinnovabili
da idrogeno, o quelli, forse già più immediati, legati all’utilizzazione in
vari settori delle nano-tecnologie; altri settori non possono non far riferimento
alla tradizione dell’economia della zona (tessile e abbigliamento e meccanica,
mentre più complesso appare il comparto della chimica).
Lo sviluppo di queste attività non può che far perno sulle
energie umane e professionali che la
zona riuscirà ad esprimere, ma, non si tratta di patate, ma della capacita di
sollecitare attraverso la creazione di
nuove opportunità nuove energia umane.
Nel passato questa zona è stata una formidabile creatrice di nuove energie
professionali e imprenditive che hanno garantito anni di crescita economica e
di una dinamica della demografia delle imprese sempre positiva. Distorsioni
socio-culturali hanno pesato negativamente su una prospettiva di lungo periodo,
resta il fatto un tessuto umano capace rischia di frantumarsi e disperdersi
infruttuosamente.
Va sollecitato, e questo costituisce un impegno politico e
delle istituzioni, un processo di innovazione, e una nuova cultura d’impresa, le
professionalità maturate nella fase dell’espansione e che oggi rischiano di
deperire devono essere rafforzate con un’iniziative finalizzata allo scopo.
Il passaggio dalla
precedente struttura economia della zona ad una nuova struttura economica,
adeguata anche alla nuova situazione dell’economia mondiale, non può che avvenire appoggiandosi a tre punti
forti: sulle nuove energie imprenditoriale e professionali che la zona riuscirà
ad esprimere; sulle nuove condizioni di organizzazione territoriale e
infrastrutturale che potranno essere realizzate nell’ambito della metropoli
territoriale; sui possibili trasferimenti
di innovazione promossi.
Tesi n. 7. Il sistema
dell'istruzione
La realizzazione del processo di strutturazione di una nuova
economia di cui si è detto prima deve trovare un ulteriore punto di forza in un
innalzamento della professionalità delle energie umane già impegnate nei
processi produttivi e in una sempre maggiore qualificazione delle nuove
generazioni. Come è noto la struttura sociale della zona soffre dell’esistenza
di un deficit di preparazione culturale, a questo deficit dettato da
“atteggiamenti” sociali e culturali deve aggiungersi una probabile non adeguata
situazione delle strutture a cui sono demandati questi compiti.
È inutile far riferimento a processi di innovazione se le
strutture di formazione non corrispondono a questo obiettivo. La scuola, in
ogni ordine e grado, oggi soffre di una carenza di mezzi, di un’indeterminata
programmazione, di una incerta elaborazione di contenuti.
La metropoli
territoriale se volesse raggiungere gli obiettivi possibili sul piano dello
sviluppo economico e sociale deve porre attenzione a questo aspetto, il che
comporta non tanto una rivisitazione dei programmi allo scopo di esaltare
aspetti identitari, ma piuttosto un impegno per superare i limiti di
preparazione professionale e culturale della zona.
L’idea di un ateneo metropolitano sembra un passo adeguato
in questa direzione purchè esso non costituisca un’esaltazione della “massa
critica”, ma piuttosto si manifesti come un processo di razionalizzazione e di
realizzazione di nuove esperienze. Non si tratta tanto di diffondere nel
territorio corsi di laurea, master ecc. ma di determinare le condizioni perché
l’Ateneo metropolitano presenti una molteplicità di punti di eccellenza, perché
la dislocazione nel territorio sia funzionale agli obiettivi formativi e non
risponda alle rivendicazioni ambiziosi di singoli amministratori locali, perché
le localizzazioni nel territorio assumano
qualità e le strutture siano adeguate ad un corso universitario.
La formazione professionale o la “ri”formazione
professionale ha bisogno di una nuova progettualità e di una nuova
finalizzazione, deve da perdere quella che oggi pare la sua caratteristica
principale essere ammortizzatore sociale e non già momento efficiente di riqualificazione.
La metropoli
territoriale proprio per la sua natura di
strumento di “governo” e di qualificazione del territorio verso polarità
diverse e qualificate costituisce lo strumento perché la programmazione e
localizzazione delle strutture di formazione, di ogni ordine e grado, sfugga
alla settorialità per trovare giusta integrazione, con i riconosciuti livelli
di autonomia, in un ambito generale di bisogni e di opportunità.
Tesi n. 8. Il patrimonio culturale
Come è noto il patrimonio storico e culturale dei territori
della metropoli territoriale è
ricchissimo, tra i più ricchi dell’intero paese. Esso costituisce una “ricchezza”,
quello che potremmo chiamare un “capitale culturale” o anche, come è stato
chiamato in altri periodi un “giacimento”, tuttavia l’ottica con la quale
spesso si fa riferimento ad esso è quello della “valorizzazione”, esso cioè
deve rendere in termini economici (non a caso i termini usati per evocarlo a
questo particolare aspetto fanno riferimento).
Mentre non deve essere escluso
che tale patrimonio “renda”, l’ottica, tuttavia, non può essere soltanto questa,
si tratta di un patrimonio che deve qualificare anche la cultura della metropoli territoriale e dei suoi
abitanti.
La metropoli
territoriale costituisce, in quest’ambito,
un potente strumento di messa in circolazione del patrimonio culturale ai fini
della qualificazione della cultura dei suoi abitanti. Non è necessario mettere
in discussione i “diritti” locali (delle amministrazione o anche dei privati,
enti associazioni, ecc.) ma piuttosto sarà utile creare le condizioni di
integrazione e di utilizzazione più opportune. In questo quadro la moltiplicazione
dell’accessibilità diventa strumento di
governo e di esaltazione del patrimonio stesso.
Tesi n. 9. La
metropoli territoriale e la salvaguardia del territorio
La diffusione della funzioni nel territorio proprio per la
sua natura attuale di autorganizzazione presenta alcuni aspetti negativi, primo
tra tutti il consumo di suolo. Il passaggio da una situazione di
autorganizzazione ad una situazione organizzata costituisce da questo punto di
vista un salto verso soluzioni più sostenibili in generale e tali da garantire un
uso razionale delle risorse territoriali e la salvaguardi del territorio
stesso.
Una struttura reticolare funzionale determina una tendenza
all’intensificazione pur mantenendo una situazione di bassa densità, sono
proprio le opportunità offerte da un territorio organizzato e funzionalizzato
che può spingere le scelte individuali delle famiglie, senza abbandonare loro
specifiche preferenze per determinate forme di insediamento, a una migliore
dislocazione sul territorio a vantaggio sia della propria condizione che della
stessa organizzazione spaziale. Ovviamente i processi di organizzazione devono
essere accompagnati da nuove regole che facilitino un uso più parsimonioso del territorio e che
contemporaneamente permettano entro regole stabilite, il manifestarsi dei
processi innovativi delle pratiche sociali relative all’abitare.
Va sicuramente controllato e riorganizzato la localizzazione
delle attività produttive, tenuto conto, tuttavia, che probabilmente le
tradizionali “aree industriali” o produttive non corrispondono più alle
necessità delle imprese o di molte imprese, e che quindi sarà necessario individuare soluzioni nuove e più corrispondenti alle
esigenze dei nuovi processi produttivi e alla loro nuova organizzazione.
I poli di eccellenza e di servizio, proprio perché si
pongono come polarità al servizio di tutta la metropoli territoriale troveranno sempre più conveniente la loro
localizzazione nei punti di maggiore accessibilità, ma essendo proprio
dell’organizzazione della metropoli
territoriale la moltiplicazioni di tali poli, la questione andrà analizzata
in dettaglio.
Tesi n. 10. Organizzazione
del territorio e sviluppo economico,
sociale e culturale: la governance
Il riferimento alla governance spesso si basa su una
rappresentazione non realistica dei processi reali. Già all’interno
dell’impresa, dove tutto dovrebbe essere facile data l’esistenza di un unico obiettivo
unificante, la governance deve fare i conti con gli interessi particolari dei
singoli soggetti (i diversi segmenti delle imprese, le sue diverse funzioni, i
singoli dirigenti che perseguono anche strategie personali proprie) i cui
obiettivi parziali spesso mal si combinano con quelli parziali degli altri. A livello territoriale, dell’organizzazione del
territorio, la cosa appare molto più
complessa i singoli portatori di
interessi, appunto portatori d’interessi singoli, mal si combinano con ogni altro e molto spesso sono tra di loro
concorrenti.. Detto questo, tuttavia, va riconosciuto che nei processi di
organizzazione del territorio e nel governo della metropoli territoriale i
soggetti attivi, e i soggetti che subiscono gli effetti di determinate
scelte, ciascuno dei quali può portare
un contributo alla realizzazione della migliore organizzazione della metropoli territoriale, contemporaneamente,
tuttavia, ciascuno cercando di utilizzare a proprio fine il processo di
governance può determinare dei punti di attrito fino a vere situazioni di crisi.
Per altro, data la numerosità dei soggetti,
le relazioni molteplici che legano questi soggetti e i fenomeni di feedback che spesso caratterizza
le relazioni e le risposte agli stimoli, non è pensabile effettuare una “previsione” precisa negli esiti complessivi
e parziali di singole e determinate politiche.
In questa situazione una relazione governo/governance appare del
tutto auspicabile. Una relazione cioè che assume una polarità di governo
(forte) che tuttavia svolge anche un’azione di governance allo scopo di
risparmiare risorse, garantire (per quanto possibile) esiti positivi e
utilizzare opportunamente la spinta dei singoli soggetti.
5. Qualche
considerazione conclusiva
La prima di queste considerazioni vuole richiamare
l’attenzione sulla natura della metropoli
territoriale così come è stasa trattata in questa sede. Si spera sia
risultato chiaro che questa forma di organizzazione e di governo del territorio
costituisce, insieme, una risposta ad esigenze già manifeste e la
determinazione di nuove opportunità sia sul piano dello sviluppo economico, che
su quello della qualità della vita degli abitanti, che, ancora, sulla
salvaguardia del territorio. In un momento nel quale si impone una
trasformazione della struttura economica della zona, la costituzione della metropoli territoriale può costituire,
di per sé, un mezzo per facilitare questo processo di trasformazione.
L’economia mondo presenta degli
elementi pericolosi di crisi, il “niente sarà come prima”, che spesso di sente
ripetere, non può essere, come spesso pare sia interpretato, come una sorta di
“mutamento tecnico”, se ha senso l’affermazione di una modifica rispetto al
passato questa non potrà che essere complessiva, anche se non è chiara la
direzione che questa potrà prendere. L’atteggiamento prevalente nel nostro
paese, tuttavia, sembra essere quello della “resistenza”: resistere fino a
quando la macchina non riparta. L’esito di un simile approccio, pare si possa
convenire, ci consegnerà un “dopo” non
solo diverso dal prima ma sostanzialmente peggiore. Dentro questa situazione
una struttura territoriale in grado di mobilitare energie nuove, di migliori i livelli
di efficienza, di determinare maggiori integrazioni, innalzamenti culturali e
professionali, non rappresenta in sé la soluzione alla crisi, ma può
contribuire ad una fuoriuscita da essa in modo innovativo.
Proprio nell’ottica precedente la metropoli territoriale non è stata interpretata solo dal punto di
vista “territoriale” ma si è cercato di farle assumere il connotato di una
nuova organizzazione del territorio in direzione di una nuova organizzazione
economia-sociale.
Non di economicismo, bieco economicismo (come si dice) si
tratta, ma di un punto di vista che non cerca di distinguere l’aspetto
territoriale da quello economico, da quello sociale e da quello culturale. La
città ha sempre rappresentato questo insieme intrecciato, lo stesso non può non
avvenire per le nuove forme urbane (e metropolitane) che rispondono alle nuove
condizioni.
L’attenzione politica e la buona capacità di governo devono
essere significativamente segnate dalla capacità di “governare le
trasformazioni”, sono le trasformazioni in atto che vanno guidate avendo chiaro
quali possano essere e debbano essere gli esiti di governo per raggiungere
migliori e qualificate situazioni nuove. L’organizzazione del territorio non
può assumersi come stabile (non lo è neanche il paesaggio), ma piuttosto in
continuo mutamento, l’obiettivo (politico e di governo) e dare a questa
trasformazione obiettivi di miglioramento generale promuovendo a questo scopo
le opportune politiche (territoriali e no).
Nel caso specifico i processi di auto-organizzazione hanno
di fatto determinato la metropolizzazione del territorio, che non costituisce,
tuttavia, un “ordine” territoriale nuovo, ma piuttosto una modalità attraverso
la quale i diversi interessi hanno cercato di realizzare i loro obiettivi,
insensibili sia agli obiettivi di ogni “altro”, sia agli obiettivi generali.
Non volendo un’ulteriore degenerazione del territorio, su questo tessuto di
trasformazioni in atto appare necessario innestare un processo di nuova
organizzazione, appunto la metropoli
territoriale, in grado di realizzare gli obiettivi generali ai quali più
volte si è fatto riferimento, e contribuendo a processi di trasformazione
complessiva, affinché il futuro non solo sia diverso rispetto al passato ma sia anche migliore.
Bibliografia
J. Borja, M. Castells (1997), Local & Global, Earthscan
Publications Ltd, London
(trad. Italiana, La città globale, De
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M. Castells (1989), The informational City: Information
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F. Indovina (1999), “Le trasformazioni metropolitane. Alcune
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F. Indovina (2003), “La metropolizzazione del
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mostra stesso
titolo, Compositori ed., Bologna;
O. Nel-lo (2001), Ciutat
de ciutata, Editorial Empùries, Barcellona
[4] Il
processo prima delineato non porta alla conclusione che la scala di produzione sia indifferente, ma piuttosto che si sono
modificate le condizioni per realizzare tali economie di scala. Le economie di
scala non si realizzano concentrando
la produzione, ma controllando la
catena di produzione del valore aggiunto.
Non si tratta solo del
caso italiano; a consolazione si
osservi che il “piano metropolitano dell'area di Barcellona”, in elaborazione
da più di quaranta anni (in vari versioni e in varie situazioni di governo
regionale) è stato approvato solo poche settimane fa. Va, tuttavia ricordato,
che altri paesi si sono dotati di strumenti di governo in qualche modo efficienti
sul piano territoriale.