Diario 31 marzo 2022
Festa e pianto (di gioia), la notte tra l’8 e il 9 novembre del 1989: dopo 28 anni, il muro di Berlino si sgretolava sotto la spinta della marea dei berlinesi e dei “tedeschi orientali” che lo attraversavano per portarsi nella parte di Berlino occidentale. La festa non era solo dei tedeschi ma mondiale, era l’espressione materiale della fine della guerra fredda.
Gorbaciov
a Mosca, con la sua politica e le sue riforme aiutava a credere a questa
speranza.
Il
mondo usciva dal terrore di una sempre possibile guerra atomica. La gente
sperava, sorrideva, ballava; la pace alleggeriva
i cuori di tutti.
Oggi,
33 anni dopo quelle giornate gioiose, siamo nuovamente oppressi dalla
preoccupazione e paura che l’evento catastrofico per l’umanità non è stato
scongiurato come credevamo, non è scomparso, ma si presenta ai nostri occhi
nella forma della distruzione, dei morti, dei feriti, delle bombe, dei
bombardamenti aerei, della cannonate navali, della fuga di donne e bambini, delle
menzogne contrabbandate per verità dalle due parti. E tutto questo nel cuore
dell’Europa.
Ma
che è successo? Cosa abbiamo fatto, o
meglio cosa non abbiamo fatto per conservarci la gioia di quei giorni di
speranza?
Non
ci siamo fidati della gente, del popolo, affidandogli la gestione del “potere”,
e permettendo che esso in parte del mondo fosse manipolato e in altre parte
reso muto, e in altre ancora schiavo.
Abbiamo
accettato che solo una era la forma “democratica”, e che questa andava imposta
con la forza. Volevamo, per quieto vivere, evitare
che si trovassero forme diverse di equilibrio tra gli interessi presenti.
Abbiamo
chiuso gli occhi alle guerre che si combattevano lontane da noi, dal Vietnam
fino alla Siria e all’Afghanistan.
Ci
siamo convinti che lo sviluppo economico fosse funzionale alla produzione di
biscotti e caramelle e non abbiamo voluto vedere come cresceva l’industria
degli armamenti.
Ci
siamo fatti convincere che la nostra sicurezza dipendeva dall’equilibrio
atomico, mentre questo è, forse, la debolezza di tutti.
Molto
tiepido è stato il nostro coraggio nell’incontrare gli altri popoli, fino alla
rinnovata esplosione di razzismo.
Abbiamo
presa per buona la lezione della storia che da Napoleone a Hitler, ci suggerivano
che la Russia doveva essere distrutta, facendoci dimenticare che la Russia è Europa; che europea è la sua
cultura, la sua letteratura, la sua musica.
Non
c’è dubbio che Putin sia l’assalitore crudele e forse instabile, che non ha
nessun diritto né nessuna giustificazione di fare quello che fa; non c’è dubbio
che c’è un popolo, quello ucraino, che sta pagando un prezzo enorme di sangue,
non c’è dubbio anche che la politica degli Stati Uniti, della Nato e del
governo ucraino era avviata sulla strada di mettere in discussione la sicurezza
della Russia. Niente giustifica nessuno, ma tutto crea distruzione.
Si
tratta di fare tesoro di questa circostanza per avviare una convivenza
pacifica, possibile solo con l’apporto del popolo.
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