Ci
sono degli avvenimenti che lacerano la rete dei nostri riferimenti e che ci
spiattellano l’inconsistenza
della nostra conoscenza della realtà. Avevamo una idea del mondo che non
corrisponde completamente alle trasformazioni avvenute. Una ignoranza dettata
da pigrizia, dall’essere affezionati ai nostri idoli, di cui si era in parte
consapevoli ma che, in un certo senso, l'allontanavamo per paura. La
trasformazione dell’essenza dei rapporti sociali di produzione, gli effetti della
globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia, l’aumento delle diseguaglianze
sociali, l’emarginazione di molto
lavoro, la modifica dei riferimenti culturali, la trasformazione delle
relazioni sociali, l’individualismo esasperato, l’egoismo, la violenza come
essenza dell’individuo, l’incapacità di riconoscersi in altri, la diversità, di
qualsiasi tipo, assunta come “vezzosa” conquista ma anche come
insopportabile…di tutto questo si aveva cognizione ma contemporaneamente i
nostri occhi erano opachi e non riuscivano a distinguere forme e colori del
quadro complessivo.
Sentivamo
che molti dei valori ai quali eravamo legati, come libertà, uguaglianza,
solidarietà, accoglienza, giustizia sociale non vivevano più come sistema
nervoso della nostra società, ma ci sembrava di dover attribuire, questo nostro
sentire, al pessimismo.
Ma
ecco che il 5 di marzo questa società e le sue trasformazioni si materializza
sotto forma politica. Una società che molti di noi non riconoscono e nella
quale non vogliono riconoscersi diventa evidente. Ma mettere la testa sotto la
sabbia non serve a niente. Credo che anche in questa situazione si può essere
comunisti o progressisti o anticapitalisti, forse questa società più di ogni altra ha
bisogno dei contenuti della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello
spirito di accoglienza. Ma essere comunisti significa fare i conti con la
società reale, non con una immagine di essa. Non intendo dire che la politica,
in particolare la politica progressista e riformatrice possa essere un semplice
adagiarsi sulle pieghe della società, deve influire, determinare, contenuti e
senso di questa società a partire dalla precisa conoscenza della realtà e da un
disegno di futuro. Chi ci dice che
non sia più possibile fare progetti di futuro, in realtà ci vuole convincere , con successo,
che non siamo padroni del nostro destino, altri penseranno e si adopereranno
per noi.
Se
il “populismo” è l’adesione alla pancia, come si suole dire, della gente, non
occuparsi della pancia è sintomo di insufficienza politica. Una politica
di progresso è una politica di ragioni, è una politica che fa ragionare, ma non
basta avere ragione, questa deve diventare senso comune, deve essere patrimonio
della maggioranza delle persone: è questo è il lavoro politico. È chiaro che in
una società che cambia, mostrare le proprie ragioni è più difficile, ci vuole
più impegno e intelligenza politica. Per andare contro corrente i vogatori
devono non solo avere ragione, non solo cogliere la realtà, ma avere anche
muscoli formidabili.
Il
capitalismo ha ormai concluso la sua spinta progressiva, i sintomi sono molto
evidenti; sempre più tede a trasformarsi
in un regime di vessazioni e di violenza, la sua crisi come regime sociale si
proietta negli individui, ne avvelena le relazioni, ne esaspera le aspettative
individualistiche, frustra ogni speranza. I medici attenti ci dicono che
cambiare si deve e si può, e che solo nel cambiamento sarà possibile utilizzare
a beneficio di tutti le grandi risorse della scienza, della tecnologia e della
cultura disponibili, ma che senza una
modifica della natura della società questi
elementi possono essere (sono) strumento di oppressione e di degrado sociale.
La sapienza dell'homo sapiens ha consistito, in questi milioni di occupazione
della terra, nella sua capacità di cambiare continuamente l'organizzazione
sociale, e se questo non è avvenuto mai in forma egualitaria, per molte ragioni
non ultima la dimensione delle risorse disponibili, oggi siamo al paradosso,
abbiamo risorse per tutti, ma un’organizzazione sociale e di potere che
discrimina e privilegia. Il rinascimento per l'intera umanità può avvenire
soltanto abbattendo gli ostacoli individuati.
I
risultati delle ultime elezioni sono state una sorpresa? In parte, le tendenze
erano evidenti; per molti di noi un’enorme frustrazione, per i partiti di
sinistra (sic!) e progressisti un terremoto solo in parte inatteso. Discettare
su quale sarebbe stata una sconfitta onorevole, o quale cifra percentuale
avrebbe segnato la disfatta sono i sintomi di un ottimismo di facciata che
sperava nel miracolo che è mancato.
Cercare
gli errori, accusare dei cattivi risultati gli scissionisti o, al contrario,
l'incapacità di liberarsi del tasso di pduismo portato nella nuova formazione;
cogliere difetti programmatici, carenze propagandistiche, ecc. pare il segno di una incomprensione: non avere consapevolezza del deficit di
conoscenza accumulato circa la natura del sangue che scorre nelle vene della
società. Continuare a pensare che poteva essere diverso, perché i piccoli aggiustamenti avevano
garantito e avrebbero garantito di soddisfare la domanda popolare. Può darsi
che mi sbaglio, faccio un errore di ottimismo, ma credo che le scelte delle
persone sono state dettate dall'assenza di un disegno di futuro. L'assenza di
una linea di costruzione tra passato, presente e futuro, la maggioranza ha
scelto l'offerta più ricca, quella che sembrava liberarla dalla paura, quella
che promuoveva un nuovo che più vecchio non poteva essere. Chi giustifica la
sconfitta del PD perché riconosciuto partito della borghesia. Cosa pensa che
siano 5* o FI o anche la Lega? E che dire allora del misero risultato di UeL? I
giovani, le donne, i votanti aspettavano una narrazione, come si dice oggi o
era già ieri, del futuro, ma questa la sinistra non è stata capace di offrirla,
allora si lasciano affascinare da una identità meschina più rivolta al passato
che al futuro, o un incerto baldanzoso giovanilismo (ormai in giacca e
cravatta).
Credo
che i problemi più grossi e rilevanti in un prossimo futuro li avranno i
vincitori di oggi, le loro offerte sono miserabili e non al livello di quello
che la gente sente nel profondo; non parlo della loro capacità di fare o non
fare un governo, né della difficoltà di trovare le risorse per quanto promesso,
si tratta di qualcosa di più profondo: del mantenimento di un sistema sociale che
tutti sentono decrepito e in agonia (qualsiasi sia l'apparenza che offre). Gli
sconfitti di oggi hanno nel loro dna, come si suol dire, ma più correttamente
alcuni di loro hanno nella loro cultura i giusti elementi per affrontare la
situazione, ma a due condizioni, da una parte avere coscienza e consapevolezza
della realtà e dei suoi mutamenti (il che comporta qualcosa di diverso che
tornare nel “territorio”), dall'altra parte, rielaborare gli strumenti e i
mezzi necessari per trasformare questa realtà sociale, per immaginare e pensare
che può esserci un mondo senza il Kapitalismo, ma liberarsene è impresa ardua,
lunga e bisognosa di passaggi che non devono sembrare né oscuri né risolutivi.
A
Napoli direbbero "hai detto un prospero" (fiammifero), ma di questo
si tratta, di svincolarsi dalla dittatura del presenta per immaginare un futuro
attraente e desiderabile, sciogliere i nodi che ci legano a meccanismi di
trasformazione ormai obsoleti per pensarne e sperimentarne di nuovi.
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