Diario 340
24 febbraio 2017
Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente
e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento contro il progresso. Rifugiarsi
nella “bellezza” della piccola comunità, esaltare come elemento di progresso il
ritorno all’artigiano, immaginare che l’identità di luogo possa risolversi in
costruzione di società, ecc. è un’illusione. Fare gli scongiuri per ogni nuovo
fattore di progresso cantando le lodi del bel tempo che fu, nel momento in cui
gli avanzamenti della scienza e della tecnica ci promettono benessere, una vita
più lunga e più sana, libertà dal lavoro più alienato, ecc. mi sembra di una
miopia tragica.
Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente
e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento che affida con ingenuità,
spesso con furbizia, e quasi sempre con ignoranza, alle nuove tecnologie la
soluzione di tutti i nostri problemi sociali.
Né il ritorno al passato, predicato ma mai realizzato, né
l’attesa che la tecnologia ci porti in paradiso, ci faranno fare un passo
avanti nella conquista generalizzata di un livello di vita dignitoso, libero,
denso, per tutti (per l’intera umanità). La strada per raggiungere una
possibile età dell’oro sarà faticosa, irta di pericoli, ma sicuramente porterà
alla meta.
Questa
strada presume che si accetti che la grande rivoluzione capitalista (“La borghesia
ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria” Marx e Engels) abbia
perso la sua spinta propulsiva (usando le parole che Berlinguer ha adottato con riferimento al
socialismo realizzato) e si assuma piena consapevolezza che lo sviluppo delle
forze produttive è in contrasto e trova un ostacolo nei rapporti sociali di
produzione. Sempre più emergono elementi e nessi che pongono, anche con una
certa urgenza, la necessità di un cambiamento della struttura sociale
capitalistica.
Il “capitalismo”
non è più “rivoluzionario”, i suoi cambiamenti, la sua finanziarizzazione, la
concentrazione della ricchezza l’hanno trasformato non più in un fattore
(contradittorio) di progresso, ma piuttosto in un agente della discriminazione,
della rottura di ogni vincolo sociale, della distruzione dello stesso
territorio della specie.
All'interno
della struttura sociale capitalistica lo sviluppo tecnologico non potrà che
produrre disoccupazione, quindi miseria, e concentrazione della ricchezza. Sono
ormai numerose le ricerche che indicano come l’avanzamento tecnologico, in
tutti i settori compresi i servizi, e soprattutto lo sviluppo della robotica
(per l’industria, i servizi e le famiglie) ridurrà drasticamente l'occupazione
(negli Stati Uniti è stata calcolata una riduzione del 80% a fronte di un
incremento derivato di solo il 5%). In sostanza l'ipotesi che lo sviluppo
tecnologico tagliasse posti di lavoro da una parte ma ne creasse più numerosi
da un'altra parte risulta non corrispondente al tipo di rivoluzione tecnologica
in atto. Non si tratta di luddismo, ma piuttosto della presa d’atto che lo
sviluppo tecnologico, dentro l’attuale regime sociale, non si combina con la
crescita sociale (opera discriminazione, segmentazioni, divergenze, ecc.).
Il
crescente sviluppo del settore di ricerca e della struttura economica/produttiva legata al genoma, costituisce, insieme alla
robotica e alla rete, un settore
trainante. Non si tratta solo di “soldi” (di molti soldi), ma di qualcosa che
riguarda da una parte il diritto alle cure non legate alla propria condizione
di reddito, e dall’altra a questioni etiche non marginali che hanno a che fare
con la eredità della specie, con interventi su altre specie, ecc. Sviluppo
tecnologico e “manipolazione” dei geni, aprono all’umanità prospettive di
grandi miglioramenti, ma al contempo non bisogna chiudere gli occhi davanti ai
possibili esiti negativi, drammatici e sconvolgenti che ne possono derivare se
il potere di decidere la direzione di queste innovazioni e il loro scopo
restano in mano a chi “razionalmente” vuole accumulare ricchezza.
Quello
che deve spaventare non è l'innovazione,
non è la tecnologia, non sono le ricerche più avanzate e ardite ma il loro uso,
il fine che si vuole raggiungere ( i “soldi” non sono un buono scopo,
accecano).
Dallo
sviluppo delle nuove tecnologie ci si deve attendere grandi miglioramenti per la
vita di tutti. Ma non c’è garanzia, anzi è possibile avvenga il contrario, è il
vincolo del rapporto sociale capitalistico che è necessario rimuovere, in forme
più riflessive di quanto si sia fatto nel passato.
Se si
guardasse con attenzione all’oggi non si potrebbe non vedere la crescita delle
diseguaglianze economico-sociale (sia interne che internazionali). Non è
casuale che nella crisi che ha attanagliato l'economia mondiale negli ultimi 10
anni, ad una riduzione generalizzata delle condizioni di vita della gran parte della
popolazione corrisponde una crescita della ricchezza di pochi. Questo, si osservi, vale per tutti i sistemi economici
qualsiasi sia il regime politico di governo. Come è stato simbolicamente
indicato si tratta dell’1% contro il 99% della popolazione, ma bisogna
riflettere anche sul fatto che questa sperequazione non riguarda soltanto i
“grandi finanzieri”, ma si riferisce anche ad una sorta di “mentalità” che
tende a stravolgere la “concezione” del guadagno, i parametri con i quali
misurarlo e i rapporti con gli altri (“approfittare” è il verbo più declinato
dai singoli).
L’individualismo
e l’egoismo (alimentato anche dal bisogno e dalla paura di perdere il poco che
si ha) incide profondamente sulle relazioni sociali e tende a frantumare ogni
relazione che non sia di mera convenienza, di difesa corporativa, o che non
abbia a sua base una identità fasulla.
Ma come
garantire che di tutto il progresso possibile
possa godere l’umanità tutta e non solo una sua porzione (di ceti e popoli
privilegiati)? Come garantire che tutto
il progresso possibile sia portatore
di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza per tutta l’umanità e non
invece di discriminazioni, di diseguaglianze e di oppressione? Domande che interrogano
la “politica”, la politica di sinistra, che ha bisogno di interrogarsi sia sui
suoi fini che sui suoi mezzi.
La
sinistra (quella che qui interessa) ha perso molto (tutto?) il suo potere di
attrazione, la sua lingua non pare più adeguata, il disegno di società futura, quella di cui piacerebbe
sentire parlare, non emerge e non attrae quel 99%. Eppure quello che avviene
nel mondo, pur nella sua contraddittorietà, appare interessante. Si nota un
riemergere di consapevolezza. Gruppi, movimenti, partiti di “sinistra” si fanno
evidenti.
Quando
questi assumeranno che va infranto il rapporto sociale di tipo capitalistico, che
una forma nuova di società sarà possibile costruire (senza prescrizioni che non
siano di uguaglianza e libertà), allora le questioni del lavoro, della dignità di
vita, della disponibilità dei beni, dei vincoli all’accumulazione personale, della
parità, dell’accesso al sapere e alla cultura, ecc. potranno essere risolte. Affrontare
ciascuno di questi aspetti, e altri ancora, senza affrontarne la matrice rischia
di dare l’impressione di una soluzione sul punto specifico, che non solo
risulterà temporanea e non risolutiva, ma la “soluzione” si scaricherà su altri
aspetti.
Il
rapporto capitalistico che nella cultura dei nostri giorni viene considerato un
“rapporto tecnico”, per sua natura originaria si costituisce come “rapporto
sociale”. Pensare che qualche “regola” può aiutare il “rapporto tecnico” ad
essere di vantaggio a tutti è una illusione; il “rapporto sociale” ha bisogno
di una trasformazione (sociale), di una “rivoluzione” creatrice di nuova
ricchezza, di nuova socialità, di uguaglianza, libertà e democrazia.
I vecchi
non possono che sperare che i giovani, la massa di quel 99%, prendano in mano
la trasformazione della società e portino verso l’età dell’oro, che continuerà
ad essere una meta sempre da raggiungere.
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