giovedì 14 agosto 2014

Il renzismo: improntitudine e lentezza Abolire le regioni

Diario 260

Il renzismo: improntitudine e lentezza
Abolire le regioni

Il renzismo: improntitudine e lentezza
Il renzismo ha un connotato di improntitudine che neanche i peggiori democristiani hanno mai avuto, ma non si tratta di una caratteristica solo del “capo”, e tutta la squadra di governo e no che ha assunto questo connotato.
Per esempio il consulente economico del Presidente del consiglio dei ministri,  giorni fa, quando è stato reso pubblico il dato fortemente negativo del PIL del trimestre ha dichiarato, credo per rassicurare i cittadini, che non c’era da preoccuparsi perché fra tre anni l’Italia sarebbe stata una delle maggiori economie europee.  Quante volte, a partire da Monti, ci hanno assicurato che tra un mese, tra sei mesi, che l’anno prossimo saremmo usciti dal tunnel, che già si vedeva la luce? Una luce che non illuminava mai la crisi, la crescita delle povertà e della disoccupazione, ecc., adesso il consigliere più ascoltato ci dice di avere pazienza altri tre anni. 
È improntitudine dichiarare che non ci sarà nessun manovra correttiva, quando contemporaneamente si sposta tutto sul prossimo documento finanziario. È pericolosissima improntitudine quando si dice che nel prossimo anno avremo 16 miliardi di riduzione della spesa pubblica, e nel 2015 la riduzione sarà di 35 miliardi, sia che si tratti di contrazione dell’occupazione sia che si tratti di una contrazione degli acquisti, si configura una ulteriore gelata sull’economia italiana. Quella della spesa pubblica non è la sua dimensione, inferiore a quella di molti paesi europei, ma la razionalizzazione del settore.
L’unico sprint di velocità il governo l’ha avuta sulla riforma del Senato, che a prescindere della forma data la nuovo senato, per adesso e chi sa per quanto tempo, non serve a niente, leggi e decreti saranno sottoposti a doppia lettura, quella che Renzi individua come il gran male del paese.
Sull’economia il passo è lento, quasi inesistente, mentre si annunzia una nuova battaglia sul decreto relativo al lavoro. E se la preoccupazione per un possibile scontro anche interno al PD, ne rallenta l’emanazione, resta confermato l’idea, tanto cervellotica quanto pericolosa, che una nuova legislazione farà aumentare l’occupazione.
Se conquisterà la poltrona del commissario per la politica estera Renzi pensa ad un rimpasto con un ridimensionamento della presenza del NCD, premesso che Alfano è intoccabile, sarebbe bello liberarsi di Lupi, ma CL non darà il via libera, per cui a farne le spese sarà quella che è sembrata una ministra coraggiosa cioè la Lorenzini.  


Abolire le regioni
Bisogna prendere atto che l’istituzione regionale, che trovava la sua maggiore giustificazione nell’efficacia della propria azione perché a “contatto diretto” con la popolazione da “governare”, è risultata non solo un fallimento, ma peggio un concentrato di inefficienza, di corruzione, di male affare e di sprechi. 
Il nuovo governo ha abolito le provincie, un passo fondamentale, ma molto timido. Tipico di questo governo, roboante nelle dichiarazioni ma molto modesto di risultati concreti.
Se due o tre regioni possono essere classificate, con alcune forzature, virtuose, il resto di queste istituzioni sono impresentabili. Non sono certo le istituzioni in se stesse a determinare il mal governo; non pare convincente l’dea che  oggi tende a prevalere che siano le istituzioni in quanto tali a determinare il decadimento della gestione pubblica, sono gli uomini corrotti e criminali, i soggetti prevaricatori, le corporazioni, il cancro. Del resto meno di sessanta milioni di abitanti non giustificano la divisione in 20 regioni (alcune con un popolazione da grande città). Se la Costituente ha dovuto prendere atto delle differenze locali, se ha dovuto accettare la volontà storica di indipendenza (parziale) di alcune regioni,  se la storia del nostro paese ha esalato la peculiarità di ogni contrada, oggi tutto questo è decaduto non ostante l’esplosione di un localismo micragnoso, la divisione si configura come fattore di potere, di promozione politica, di clientele, di un punto di vista tanto individualista quanto corporativo. Tutto questo ha prodotto, in generale, una classe di governo inadeguata (per non dire di peggio).
Eppure le grandi trasformazioni nell’organizzazione del territorio, le grandi possibilità offerta dalle nuove tecnologie, se sposate con un visione prospettica coraggiosa, con una rinnovata idea di governo, avrebbe potuto dar luogo ad una diversa e forse più efficace organizzazione dei poteri locali.
Abbolire le Provincie e le Regioni, per darsi nuove strutture forse più efficaci e adeguate alla realtà. Certo non lavorando sulle carte geografiche o di pennarello, con l’occhio rivolto verso singoli interessi di potere o elettorali, ma a partire dalle concrete situazioni di organizzazione del territorio, si sarebbero potuti aggregare comuni appartenenti ad un unico contesto territoriale (economico, paesaggistico, culturale, ecc.), individuando nella forma della metropoli territoriale l’elemento aggregante e capace di un governo consapevole ed effettivamente sotto un più diretto controllo della popolazione. La “città metropolitana” non un’eccezione, ma un modo normale di organizzare il governo del territorio.
Sarebbe stato utile e necessario rendere omogenei a livello nazionale, e nazionalmente governati, alcuni servizi collettivi, dalla salute, all’organizzazione della scuola, alla raccolta dei rifiuti, alla gestione dell’acqua, al trasporto collettivo, ecc. Sarebbe stato necessario un’uguaglianza effettiva dei cittadini a fronte di loro diritti/doveri come quelli della trasformabilità del territorio, della salvaguardia del paesaggio e dei beni storico culturali, ecc. Tutte cose messe in discussione dai poteri assegnati alle regioni e che hanno dato luogo ad una più forte differenziazione spaziale delle condizioni di vita delle popolazioni.
Sarebbe necessario elaborare  strategie di sviluppo di macro aree, all’interno di una visione nazionale, anche di differenziazione economica (a parità di diritti). Bisognerebbe ridisegnare i poteri sul territorio (da troppi padroni fioriscono sconnessioni, diseguaglianze e privilegi). 
Insomma una rifondazione istituzionale e di governo di questo paese, non appiattendo o negando differenze o possibili identità (sempre pericolose), ma non dando a questi connotati di potere, ma piuttosto garantendone la vitalità e l’esistenza.    
Nella riforma costituzionale è prevista la possibilità del governo di commissariare regioni e comuni in dissesto, che poi il governo lo faccia è da vedere, ma questo provvedimento non incide sulla struttura (oggi la maggior parte delle regioni e moltissimi comuni dovrebbero essere commissariati).
Certo oggi toccare le regioni e comuni è un esercizio mortale (non è un caso che i più accesi critici degli sprechi regionali, non hanno mai accompagnato la denunzia con un’ipotesi di cancellazione dell’istituzione. Poteri costituiti, codificazioni di relazioni di potere, privilegi, inefficienze, ecc. garantiscono lo stato quo: 20 presidenti, 200 circa assessori, alcune migliaia di capi-divisioni, dirigenti, ispettori, ecc, costituiscono un fronte di opposizione insormontabile, figuriamoci se Renzi o la Madia pensano di affrontarlo, eppure sarebbe un modo per “cambiare verso”, ma alle parole non seguono i fatti.


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