giovedì 31 luglio 2014

Matteo Renzi: la distrazione come regola di governo.

Diario 258

Matteo Renzi: la distrazione come regola di governo.

La vicenda della riforma del Senato getta una luce sempre più chiara sul Presidente del consiglio. Intanto appare sempre più evidente che quella del Senato è un diversivo. Ci sono nel paese questioni che premono, cito alla rinfusa: disoccupazione, perdita di posti di lavoro, la povertà che colpisce un sempre crescente numero di famiglie, il mezzogiorno, cioè mezzo paese, che sta pagando un prezzo altissimo alla crisi, l’assenza della politica industriale, la crisi crescente dell’università, ecc. (si potrebbe continuare per pagine), ma di tutto questo il governo non si preoccupa. Il suo scopo  è fissare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla riforma del Senato (il presidente non solo prega che continui il braccio di ferro con l’opposizione, ma evita con cura qualsiasi decisione di accordo). Sempre in pasto all’opinione pubblica fornisce un altro elemento: la nomina del nostro ministro degli esteri come, poco credibile, ministro degli esteri della UE.

Insomma il suo credo fondamentale è la distrazione, distrarre l’opinione pubblica, che significa  stampa e  televisioni, dai veri problemi del paese. Ma, se ne ricordi, i problemi esistono e mordono la carne viva di uomini e donne che abitano questa contrada d’Europa, che magari sono creduloni, ma fino a un certo punto.
Non intendo dire che la riforma del Senato e della legge elettorale, siano questioni secondarie, ma solo che sono usate, appunto, per distrarre. La riforma che sarà votata dal Senato, non a caso, non sarà la riforma definitiva che entra in funzione subito, essa dovrà passare altre tre letture nelle due camere e infine sarà sottoposta a referendum. Dove sta l’urgenza?

Se Renzi fosse uno statista, ma non lo è, dovrebbe sapere che la Costituzione costituisce la legge fondamentale della Repubblica, che essa regola i rapporti tra i poteri e detta comportamenti alle forze politiche, essa ha valore in misura del consenso che riceve dagli attuali “rappresentanti”  del popolo che ancorché in modo illegittimo siedono in parlamento. Se fosse convinto di tutto questo non avrebbe che una strada, rinviare la riforma in Commisione affari costituzionale, magari trasformandola in una piccola camera costituente, perché fosse possibile riflettere sulle questioni che le opposizioni pongono, che una parte non marginale dei costituzionalisti avanza; discutere con calma senza l’assillo della scadenza d’agosto, fissando anche un termine a ridosso della fine dell’anno, accordandosi così per la fine dell’ostruzionismo, accogliendo, se del caso, da parte di una maggioranza che si forma a prescindere da quella di governo,  alcune delle proposte avanzate e lasciando atre questioni, che non trovano un consenso maggioritario, aperte al voto del parlamento.
Così facendo Renzi dimostrerebbe di essere vero uomo di governo, democratico e attento al futuro del paese, con in più la garanzia che il cammino della riforma non troverebbe ostacoli di percoso.
Certo, così verrebbe a cadere la regola della distrazione e il Presidente del consiglio sarebbe costretto ad affrontare la questione paese.

Ma Renzi non vuole farlo e non può farlo perché non sa cosa fare. Può nominare nuovi consulenti ma…
La questione economica-sociale non è più di alcuni paesi (i meridionali) ma investe in misura diversa tutti i membri della UE, compreso il paese più forte. Non si tratta di uscire dalla UE, palliativo populista pericoloso, ma di imporre alla UE una svolta, che non è solo la fine dell’austerità, ma l’apertura di un fronte di scontro con la finanza internazionale: una vertenza che non salvi il capitale finanziario contro i popoli, ma che, al contrario, fissi sull’interesse della grande maggioranza degli uomini e delle donne i riflettori e le decisioni  dell’azione politica. La UE ha la dimensione economica e politica per poterlo fare, o almeno per iniziare una nuova politica nei riguardi della finanza internazionale. È semplice, ma neanche per sogno, ma sicuramente non si cava un ragno dal buco cercando in tutti i modi di andare a braccetto con la cancelliera tedesca.  Ma anche in questo caso il diversivo è il credo del Presidente del consiglio nonché presidente di turno della UE, la questione della persona adatta a coprire la seconda carica della Commissione.
Renzi gioca d’azzardo, vuole il punto, contrariamente a quello che dice, per presentarsi in Europa e nel paese come il vincitore. Ma di che cosa? Gioca d’azzardo minacciando elezioni anticipate, risultato pisitivo non  garantito dalla legge elettorale venuta fuori dal giudizio della Corte Costituzionale (che non è quella approvata da una delle due Camere) se non l’alleanza permanente con il partito del condannato Silvio Berlusconi. Non è detto che questo vogliono gli italiani.

Non c’è solo furbizia, non c’è solo rischio (non) calcolato, ma c’è l’evidenza di una preoccupante incapacità politica.  Anche nell’epoca della politica spettacolo, non basta la fotogenia, non basta la capacità comunicativa, non basta la simpatia, ci vogliono anche contenuti che corrispondano alle preoccupazioni delle elettrici e degli elettori.

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