Diario
10
settembre 2021
Se
con un po’ di attenzione, e combattendo il filo di noia che prende, si
seguissero le trasmissione di discussione politica, per esempio in TV, si scoprirebbe,
con poca meraviglia, che alcuni degli interlocutori più critici (filosofi, professori,
giornalisti, ecc., con un passato più o meno da estremisti), riescono ad
appuntare sul governo delle critiche relative al metodo. Il decreto, la legge,
il provvedimento poteva essere fatto meglio, essere più chiaro, senza
contraddizioni, ecc., ma nessuno elabora una critica sulle prospettive di trasformazione
della società.
Alcuni
affermano la necessità di una trasformazione, ma si tratta di una affermazione
senza spessore. Sono consapevole che non è facile indicare una “via di
trasformazione” che non segua modelli storici fallimentari, ma tuttavia meriterebbe
misurare quale tasso di trasformazione inducono i provvedimenti governativi.
Niente di tutto questo. Quella operata da Mario Draghi è una vera e propria
restaurazione, le innovazioni essendo limitate a quanto impone l’innovazione tecnologica e a quanto conviene integrare le
trasformazione sociali indotte dal passare del tempo, senza sconvolgere
rapporti di potere.
Non
si tratta di una critica agli “intellettuali”, questi infatti non sono tutti
uguali, si diversificano per cultura, esperienza politica, punti di vista sulla
società, ecc. ma piuttosto pare necessaria una riflessione tragica, il pensiero
critico sulla società e la individuazione dei processi di trasformazione (non
di cambiamento) sono scomparsi dall’orizzonte del pensiero e della politica di
sinistra.
Che
suonino, che suonino pure, ma la musica pare inadatta alle necessità.
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