domenica 5 settembre 2021

R. Scannavini, Al centro di Bologna, 1965-2015 (da Città bene comune, Casa della Cultura, Milano)

 

Il capoluogo emiliano, nel periodo di cui si occupa il libro di Roberto Scannavini – Al centro di Bologna, 1965-2015. Mezzo secolo di urbanistica (Costa Editore, 2020) –, è stato il cuore di una innovativa sperimentazione urbanistica che ha prodotto non pochi risultati eccellenti. Alcune fasi cruciali di questa esperienza hanno giustamente catalizzato l’attenzione della cultura urbanistica nazionale e internazionale per l’intelligenza politica e tecnica con la quale sono stati utilizzati gli strumenti di pianificazione disponibili e per le innovazioni introdotteGli anni presi in considerazione dall’autore, soprattutto i meno recenti, sono quelli in cui nel nostro paese sono state varate leggi importanti che avevano l’obiettivo di migliorare la gestione delle nostre città. Bologna, tuttavia, ci ha messo del suo ed è andata oltre la loro mera applicazione tecnica. Grazie all'impulso di assessori di grande spessore politico e disciplinare (come Giuseppe Campos Venuti, Armando Sarti, Pierluigi Cervellati), si è infatti avvalsa di consulenti esterni di primo piano (cito solo Leonardo Benevolo), ma soprattutto di un gruppo di giovani tecnici, molto impegnati e preparati, che ha supportato scelte politiche e urbanistiche coraggiose costituendo, di fatto, l’armata dell’intervento. A questo proposito, scrive Scannavini, andrebbe attribuito «…un riconoscimento particolare all’assessore Armando Sarti, … per la capacità d’iniziativa e la decisione coraggiosa – soprattutto per i tempi – di dare piena fiducia, da subito, ai giovani architetti neolaureati appena assunti in Comune» (p.18). Non è azzardato affermare che questa “fiducia ai giovani” possa essere considerata una chiave di lettura per spiegare, almeno in parte, il successo dell’urbanistica bolognese che non ha paragoni con quella praticata da altre città italiane nello stesso periodo. È questo l’ambiente politico e culturale nel quale l’esperienza bolognese è maturata e si è potuta affermare, assumendo il tema della conservazione della forma urbis e del centro storico come asse portante di ogni intervento urbanistico ed edilizio della città. Una scelta non priva di contrasti sul piano politico – perché si toccavano non pochi interessi immobiliari (quelli che nel nostro paese si sono sempre configurati come centri di potere, con grande rappresentanza politica, così come quelli delle cooperative) –, sul piano culturale e su quello disciplinare. Su quest’ultimo fronte, anche se il consenso è stato ampio, non sono infatti mancate le voci critiche (se ne trova traccia anche solo sfogliando la raccolta di Archivio di studi urbani e regionali degli anni Settanta).

Il libro di Roberto Scannavini – di fatto un resoconto di tutta questa esperienza che finisce per configurarsi come un bilancio della storia urbanistica di una città – mi pare interessante per due ordini di motivi. Da una parte, perché descrive gli strumenti adottati, gli interventi che sono stati realizzati e i loro esiti nell’arco di mezzo secolo. Dall’altra perché questo racconto si intreccia con la biografia professionale dell’autore; e non poteva essere diversamente dato che Roberto Scannavini è stato uno dei pilastri su cui si è costruita questa esperienza.

Partiamo dal primo ambito. Il volume è organizzato per grandi tematiche. I piani di tutela e i progetti di restauro, che comprende il piano per il Centro storico 1967-69; il piano di edilizia popolare nel centro storico 1973-85; verso il PRG del 1985; il PRG per il centro storico del 1985; il piano dei servizi e di sviluppo dell’Università; il sistema storico del verde; il recupero degli spazi pubblici e delle piazze storiche. Ho voluto elencare questi strumenti – che poi sono le tappe salienti dell’intera vicenda e che nel testo sono illustrati in modo dettagliato e corredati di molte immagini – per rendere esplicito che il risultato ottenuto, comunque lo si giudichi, non è un prodotto estemporaneo, né la semplice affermazione di un’idea astratta, ma l’esercizio di un significativo lavoro di pianificazione condotto attraverso l’utilizzo di strumenti urbanistici utilizzati in modo innovativo. Il piano di edilizia popolare nel centro storico, per esempio, esprime un’idea di città e di salvaguardia del corpo fisico della città non disgiunta da quello sociale. Nello stesso periodo, invece, generalmente l’intervento nei centri storici si caratterizzava per una modifica delle destinazioni d’uso degli immobili con l’allontanamento della popolazione; o per il restauro e il ripristino dell’edilizia esistente finalizzati all’aumento della rendita e dunque, anche qui, con la conseguente espulsione della popolazione; infine, per l’inserimento nei tessuti storici di edilizia nuova, spesso mostruosa, al posto di quella esistente con analoghi esiti. Al contrario, l’intervento pubblico di Bologna, appunto di edilizia popolare, apre un’altra strada (per altro non molto seguita): l’acquisizione pubblica di parte del patrimonio edilizio del cuore della città, il relativo restauro e la risistemazione della popolazione già insediata negli stessi immobili. Un approccio che ha permesso la conservazione, il recupero e la ristrutturazione del tessuto edilizio storico senza snaturarne l’anima. Cosa che ha fatto scuola e persino da traino per altri interventi privati.

Una seconda tematica affrontata nel testo riguarda il restauro e l’adeguamento dei monumenti e la loro destinazione a nuovi usi: piazza Maggiore; palazzo d’Accursio; l’ex sala Borsa; ecc. Interventi che non solo hanno garantito la salvaguardia di un notevole patrimonio architettonico e monumentale ma che hanno avuto come esito quello di dotare la città di nuove attrezzature, funzioni e servizi.

Il libro tratta poi il tema dell’Università, una delle più importanti del paese, dal punto di vista degli spazi necessari al suo funzionamento e del suo parziale decentramento fuori dal centro storico, nell’area vasta. Una problematica che ha riguardato palazzi di grande valore architettonico, suscitando allo stesso tempo una discussione sul patrimonio militare dismesso e ceduto al Comune. L’ipotesi di un suo recupero per motivi diversi non è decollata ma a questa l’autore assegna un ruolo strategico per la Bologna del futuro: la rigenerazione di tali aree dismesse e dei relativi complessi architettonici, secondo Scannavini, dovrebbero «essere congrui e compatibili con il ruolo complessivo del centro storico, sempre nel quadro dello sviluppo qualitativo di tutta la città» (p. 137).

Infine, un’ultima tematica riguarda la Fondazione Carisbo, con gli interventi sul complesso San Colombano e del palazzo Fava, quali luoghi per esposizioni permanenti o temporanee.

In generale, il lavoro dell’autore è finalizzato a descrivere la logica di ogni intervento in rapporto agli strumenti utilizzati. Ne illustra con dovizia di particolari i presupposti e risultati, anche con il supporto di una documentazione per immagini che aiuta a comprendere meglio le situazioni. Tuttavia, come dicevo, l’interesse del volume sta anche nell’intreccio della biografia dell’autore con la vicenda dell’urbanistica di Bologna alla quale Scannavini ha dato il proprio contributo come funzionario del Comune e, negli ultimi anni, come libero professionista. Una biografia che si snoda dai tempi dell’Università, alla Facoltà di Architettura di Firenze, e arriva fino ai nostri giorni attraverso opere, restauri, piani, programmi, ecc., con i quali l’autore si è misurato. Un racconto narrato come «un lungo viaggio al centro di Bologna, che – scrive Scannavini – è iniziato in quella lontana mattina sulle rive dell’Arno nel 1957, e che si dovrebbe fermare qui, nel cuore della città antica. Un viaggio certo anche professionale, ma soprattutto un viaggio nella storia dell’urbanistica di Bologna che, nata dalla spinta politica dell’urbanistica riformista di matrice assolutamente emiliana e bolognese, negli anni ’60 del Novecento, ha saputo, nel suo filone storico della tutela, crescere e rendersi autonoma ed incisiva a livello locale, nazionale e internazionale» (p. 128).

C’è però qualcos’altro di importante che la lettura di questo libro mette in luce, ovvero come sia rilevante il governo politico della città per la sua salvaguardia e per garantire una buona vivibilità ai suoi cittadini e a quanti la frequentino. Niente di straordinario se pensiamo che un approccio di questo tipo era praticato da tutti i soggetti che di questa vicenda sono stati protagonisti. Molti di loro, infatti, sono stati promotori di un riformismo attento a tali aspetti, anche se qualche volta con qualche compromissione, oltre che finalizzato a una buona gestione e nel caso specifico a un governo urbanistico intelligente e razionale. Uomini e donne impegnati che hanno consegnato alle generazioni future non una città senza problemi – questo sarebbe stato impossibile (anche sul piano strettamente urbanistico) – ma una città con un alto livello di vivibilità e con una altrettanto alta dotazione di servizi di ogni genere, anche culturali.

Scannavini a proposito di alcune vicende ricostruite nel testo riconosce che forse «si poteva fare molto di più, ma non si è riusciti nonostante un impegno sia politico che tecnico professionale di durata quasi cinquantennale» (p.132). Questo libro, invece, a giudizio di chi scrive fa chiaramente emergere quanto si sia fatto e la distanza siderale che tuttora esiste tra Bologna e altre città italiane ed europee.

Francesco Indovina

 

 

 

N.d.C. - Francesco Indovina, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica all'Università IUAV di Venezia, dal 2003 insegna alla Scuola di Architettura di Alghero (Università degli Studi di Sassari). Da sempre è fautore di un approccio interdisciplinare agli studi sulla città e il territorio coniugato a un saldo impegno civile. È autore di numerose pubblicazioni e ha fondato e diretto i periodici "Archivio di studi urbani e regionali" e "Economia urbana" (già "Oltre il Ponte"); dirige inoltre la collana di Studi urbani e regionali edita da FrancoAngeli.

Per Città Bene Comune ha scritto: Si può essere "contro" l'urbanistica? (20 ottobre 2015); Quale urbanistica in epoca neo-liberale (3 febbraio 2017); Pianificazione "antifragile": problema aperto (23 giugno 2017); Una vita da urbanista, tra cultura e politica (24 novembre 2017); Non tutte le colpe sono dell'urbanistica (14 settembre 2018); Che si torni a riflettere sulla rendita (8 febbraio 2019); Un giardino delle muse per capire la città (4 ottobre 2019); È bolognese la ricetta della prosperità (20 marzo 2020); Come combattere la segregazione urbana (27 novembre 2020); Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città (12 febbraio 2021).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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03 SETTEMBRE 2021


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