Diario
19 novembre 2020
In questo periodo c’è
molto da meravigliarsi, molto da scandalizzarsi, molto da restare senza parole.
Chiunque, politico, giornalista, commentatore, o “uomo della strada”, prende
parola non mette limite al proprio pensiero (sic!), elaborando ragionamenti
spesso incoerenti, contraddittori e … scandalosi.
Ma tutto è niente a
fronte della dichiarazione dei “reggitori” (sic!) della Regione Calabria.
Questi rivendicano il loro diritto all’autogoverno,
una sorta di autogoverno estremo, e per questo richiedono che il commissario
alla sanità debba essere calabrese. La Calabria, dicono, ha risorse umane di
eccellenza e in grado di provvedere alle necessità del momento.
Non mi è chiaro se
tutto questo sia l’effetto della vulgata sull’identità, o se invece si
nascondono questione più pelose, l’unica cosa certa è che bisogna avere una
faccia di bronzo quale non si trova in nessuna parte del mondo, per rivendicare
la calabresità nella gestione della sanità regionale, quando proprio la Regione
ha ridotto la sanità regionale nello stato descritto dalle cronache.
Non voglio entrare
nel merito dell’utilità o meno del regionalismo, segnalo l’esistenza di
governi regionali virtuosi, come per esempio
il Veneto e l’Emilia-Romagna (certo tutti hanno qualche piccolo scheletro nell’armadio),
insieme a governi disastrosi, uno per tutti quello della regione Lombardia. Ma
appunto senza sfiorare questo tema, pare indispensabile che l’opinione pubblica si attrezzi a valutare
gli esiti delle azioni di governo, ma non una valutazione politica, dove la
fede prevale sulla ragione, ma una valutazione tecnica specifica.
Si potrebbe pensare
ad una sorta di Corte Regionale, che ogni anno sottoponesse le singole regione
ad una valutazione degli effetti delle
singole scelte. Non quindi sul contenuto delle scelte, che è questione
eminentemente politica, ma sugli effetti attesi e su quelli realizzati. Sarebbe
anche un modo per uscire dal pantano della rissa politica.
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