Diario
27
novembre 2020
Informazioni
frammentarie ed esaltate, commentatori di varia collocazione politica e di
varia specializzazione, esperti e giornalisti, ci vogliono convincere che è
iniziato il declino della città, soprattutto della grande città. La pandemia, dicono, dimostra che le grandi città sono il centro di
ogni focolaio, è soprattutto lì che la gente si infetta, si ammala e muore, ma
da queste è iniziato l’esodo.
Ci
dicono quanti abitanti hanno lasciato Londra, New York, Parigi, ecc. ma non ci
dicono se queste persone hanno abbandonato la città trasferendosi
definitivamente o solo hanno raggiunto le loro seconde case. Ma tutto fa brodo
per acclarare la tesi dell’abbandono della città. Un tema agitato già prima
della pandemia di corona-virus.
Non
voglio assolutamente negare che ciascuno abbia il diritto di decidere dove
risiedere, così come non nego che ci possono essere delle persone e delle
famiglie disposte ad abbandonare la grande città. A questo proposito ricordo
che in Liguria si sono restaurati dei piccoli centri abbandonati, dotandoli di
tutte le tecnologie più moderne di collegamento, mettendo a punto un “rifugio”
per chi voleva abbandonare la città, per chi doveva compiere un lavoro nella
pace e senza rumori molesti, vicini, ecc. tipico il caso dello scrittore. Ma non
di questo si parla, ma piuttosto di una nuova
tendenza della popolazione a lasciare la grande città, perché ai “suoi mali
tradizionali” si è aggiunta la sua infettività.
Ma
siamo sicuri che una delle più importanti invenzioni sociali che l’umanità ha
prodotto circa 4.000 anni prima di Cristo, la città, sia destinata ad essere smantellata. La città
che ha superato distruzioni, guerre, saccheggi, terremoti, maremoti, violenze
di ogni tipo sia destinata a tramontare? Siamo sicuri che una tendenza storica
e naturale dell’umanità di assembrarsi, si trasformi nel suo contrario? Abbiamo
sempre visto, fino ad ieri, che dai piccoli centri, dalle piccole comunità, i
giovani le persone più intraprendenti fuggivano per raggiungere la … città,
mentre oggi, ci dicono il movimento si fa inverso. Si dice che le nuove
tecnologie, che sempre nella città e nell’ambiente urbano hanno avuto il
massimo della loro diffusione e della loro utilizzazione, siano invece oggi le
più adatte per smembrare la città.
La
città cambia e resiste, per ovvi quanto chiari motivi. La città è il motore
della produzione della ricchezza, è il centro dello sviluppo e dell’innovazione
culturale, è il meccanismo che sollecita la socialità, il riconoscimento dell’altro,
uguale o meno, del diverso, è la produttrice di bisogni sociali, è il luogo dove si organizzano le forze sociali
per il cambiamento (il cambiamento della stessa città), dà la possibilità di
sperimentare la curiosità, per le cose e le persone, e ancora per lo scambio di
esperienze. L’incontro tra le persone, occasionale o di prassi genera società,
la colloquialità urbana è una opportunità importante del vivere quotidiano, per
costruire la memoria individuale e collettiva, per esercitare le passini. Non
nego che alcune di queste possibilità si possono realizzare a “distanza”, penso
a come si possa guadagnare con il lavoro a distanza, che tuttavia mi ricorda il
“lavoro a domicilio e in nero”, fonte di enorme sfruttamento.
Ma
torniamo alla pandemia del virus. È certo che nella città e soprattutto nella
grande città è più facile contrarre il contagio, si incontrano molte persone,
si frequentano luoghi affollati, si prendono mezzi di trasporto che non
rispettano la rarefazione e la distanza, non sempre la popolazione che si incontra
è ligia nel rispettare le regole imposte. Tutto vero, nella città è più facile
infettarsi che non vivendo in una cascina tra i monti o in un piccolo centro. Ma attenzione, se tutto questo è vero non bisogno
dimenticare che nella città si trovano gli ospedali più attrezzati, che nella
città è più attiva una catena sanitaria a cui fare riferimento, autoambulanze,
pronto-soccorsi, centri di ricerca che si occupano di salute o se si preferisce
di malattie, ecc. Nella città si intende
dire si trovano tutte e due le facce della medaglia, quelle condizioni che ci
possono infettare ma anche quelle strutture che ci possono salvare.
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