Il Manifesto 2/11/2018
Francesco Indovina
Un tarlo sta
allegramente banchettando con le gambe di legno del sistema capitalistico
occidentale, si tratta dell’iniqua distribuzione della ricchezza: a pochi molto e
sempre più, a molti poco e sempre meno. Questa situazione sconquassa il sistema
sociale, le aspettative dei singoli, le prospettive di futuro e, per quanto il
capitalismo si sia acconciato a fare denaro con denaro (D-D*), piuttosto che
attraverso la produzione di merci (D-M-D*), finisce per erodere la consistenza sociale
del capitale e ne riduce il fascino.
La bibliografia in
proposito è molto estesa, sia quella partigiana che quella critica, e guarda
con sospetto o preoccupazione questa situazione e immagina lo sfaldamento delle
opportunità. Quello che appare indispensabile (sia ai riformisti che ai
radicali) è un meccanismo che possa redistribuire la ricchezza. Chi
sostiene che solo lo sviluppo economico può operare questa redistribuzione, non
riflette che l’attuale squilibrata distribuzione della ricchezza è figlia
dell’attuale modello di sviluppo e che essa, inoltre, costituisce un vincolo allo
sviluppo..
Ci sono altri vincoli
e ostacoli alla costruzione di una società caratterizzata da giustizia sociale,
ma quello della distribuzione della
ricchezza sembra uno dei principali.
Alcuni ironizzano sullo Stato “Robin Hood”, senza riflettere che non di questo si tratta ma piuttosto di un principio di equità sociale. Le linee che in generale tendono a prevalere sono due: quella che affida allo sviluppo economico una catartica minore sperequazione distributiva; e quella che punta ad alleviare le condizioni di chi meno ha (senza cioè incidere sullo squilibrio strutturale. Nessuna ipotesi, le vedremo in concreto per quanto riguarda la situazione italiana, si pone il problema dei modi di come intervenire in questo squilibrio (sociale ed economico).
Alcuni ironizzano sullo Stato “Robin Hood”, senza riflettere che non di questo si tratta ma piuttosto di un principio di equità sociale. Le linee che in generale tendono a prevalere sono due: quella che affida allo sviluppo economico una catartica minore sperequazione distributiva; e quella che punta ad alleviare le condizioni di chi meno ha (senza cioè incidere sullo squilibrio strutturale. Nessuna ipotesi, le vedremo in concreto per quanto riguarda la situazione italiana, si pone il problema dei modi di come intervenire in questo squilibrio (sociale ed economico).
Si può essere d’accordo
sul fatto che il “lavoro” sia qualcosa di più che la semplice opportunità per
ottenere un reddito, esso è anche
soddisfazione, identificazione, occasione di socializzazione, esperienza
tecnica e sociale, opportunità di costruire relazioni sociali e politiche, e
altro ancora. D’accordo! ma non possiamo continuare a dire che il mondo del
lavoro e il lavorare sono cambiati e continuare a proporre ricette non più
adeguate. In realtà, un vero programma di cambiamento, come si dice oggi,
imporrebbe la predisposizione di strumenti non solo per la redistribuire la
ricchezza prodotta e accumulata, ma anche la redistribuito del lavoro,
del tempo di lavoro, modifiche profonde alla vita lavorativa, al tipo di
lavoro, ecc. ma di questa necessità la politica non si cura con la conseguenza
che queste trasformazioni si imporranno con costi sociali e umani enormi.
I governi di centro
sinistra della redistribuzione della ricchezza non si sono occupati, se non
nella tradizionale affermazione della lotta all’evasione fiscale. La ricchezza
accumulata non poteva toccarsi onde evitare che questa fuggisse dall’Italia. Si è provveduto, malamente, ai
più bisognosi con gli 80 euro e con il “reddito di reinserimento” (vuoi mettere
l’impatto comunicativo rispetto al “reddito di cittadinanza”?). Questi
provvedimenti, per altro modesti, sono stati realizzati a debito non potendo intaccare la distribuzione della ricchezza.
Il governo di destra (Lega + 5*) ha adottato la stessa linea in modo più radicale e aggressiva sul piano della comunicazione (mi riferisco al tema della redistribuzione; ma un riflessione simile si può fare per tutti gli altri temi). Lo slogan del cambiamento è quanto mai falso: identica filosofia e logica sociale ma più ricca articolazione:
Il governo di destra (Lega + 5*) ha adottato la stessa linea in modo più radicale e aggressiva sul piano della comunicazione (mi riferisco al tema della redistribuzione; ma un riflessione simile si può fare per tutti gli altri temi). Lo slogan del cambiamento è quanto mai falso: identica filosofia e logica sociale ma più ricca articolazione:
- la
ricchezza accumulata non si tocca, da questo punto di vista la riforma del
sistema fiscale con la flat-tax, è una dichiarazione esplicita di questa
fondamentale opzione. Si butta a mare ogni progressività fiscale, tra l’altro
prevista dalla Costituzione (art.53).
- creare un clima di accanimento e di odio contro specifici settori sociali
e questi colpire dando il senso di un “far giustizia”. Tipico è il caso delle
pensioni d’oro, talvolta una stortura da
correggere, o gli stipendi della casta.
- far mostra di colpire gli evasori, mentre si predispongono concreti e
ampi condoni per rendere più facile la vita di chi ha accumulato richezza
I punti di forza, nell’ambito che qui interessa, sono la quota 100 per le
pensioni e il reddito di cittadinanza. Due provvedimenti allo stato dei fatti
necessari e mi azzardo a dire di un riformismo di sinistra ma per come
realizzate di destra. Questi provvedimenti, infatti, non sono realizzati mettendo in moto un redistribuzione della ricchezza, ma sono
realizzati a debito, fanno cioè
aumentare il debito pubblico, cioè, per dirla in chiaro essi non gravano sui
detentori della ricchezza accumulata, ma graveranno sulle generazioni future.
Che poi i meccanismi e le regole della UE faranno si che questo debito aumenti
anche perché i “mercati” (composti nel caso specifico anche da quelli sui quali
non si è voluto intervenire) non si fidano della solidità del paese, dipende
anche dall’incapacità di questo governo.
Il più giovane
vicepresidente ha dichiarato di aver sconfitta la povertà (in realtà è stato
più drastico, ma lasciamo stare) può dirlo perché ignora da dove nasce la
povertà e non sa il funzionamento del nostro sistema economico-sociale, ma non
perché non ha studiato ma perché è disinteressato alla realtà, gli interessa
l’immagine di sé e delle cose che propone.
Che palle Francesco! Smettila di scrivere cose intelligenti! Facci intravvedere una felicità futura con qualcosa di ironico e leggero, come spero tu continui ad essere
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