Giuseppe
Barbera, Conca d’oro, Sellerio
editore Palermo, 2012, pp. 155, € 12,00
Da ASUR, 2013
Un prezioso
libro, l’autore docente di Colture arboree all’Università di Palermo, narra in una lingua densa e chiara nello
stesso tempo, delle trasformazioni della Conca d’oro di Palermo, un paesaggio
meraviglioso che è stato coinvolte in tanti sommovimenti e cambiamenti fino
alla sua, di fatto, distruzione, frutto
dell’incontro perverso e si potrebbe
dire contro natura, tra amministrazione locale e mafia edilizia. A Palermo
questo incontro più che perverso è stato per tanto tempo naturale. Mafia e
amministrazione locale, come in molte località dell'isola, non è che hanno
convissuto ma hanno intrecciato strettamente le loro decisioni.
Non si
tratta di un libro sulla mafia, ma di un libro su un paesaggio, la Conca d’oro, che ha segnato nei secoli la città e che
dalla città ha assorbito umori, trasformazioni, modifiche culturali, ma tutte,
fino ad un certo periodo, all’insegna
del meraviglioso. “L’ordine produttivo degli orti e dei frutteti che hanno
cinto Palermo, la diversità biologica accresciuta secolo dopo secolo cogliendo
opportunità offerte dalla posizione geografica e dalla storia con il concorso di differenti civiltà agrarie, la
presenza rinfrescante dell’acqua, la forma degli alberi, i profumi, i sapori, i
colori, hanno segnato come ‹fruttifero e
dilettevole› il suo paesaggio agrario, attraverso un percorso di lavoro e di
ingegno che inizia con la storia della città”.
L’autore
insegue, si potrebbe dire, le trasformazioni legate alle diverse vicissitudini
della città, ai popoli che vi si sono insediati, originari di “differenti
civiltà agrarie”, ciascuno dei quali ha contribuito a creare, conservare e
trasformare un paesaggio che era contemporaneamente estetico e produttivo. Cioè
il vero paesaggio dell'uomo.
Va
sottolineato come la Sicilia
e Palermo sono stati sedi di convivenza, molto spesso pacifica, fin dalle
origine e come a Palermo sono riscontrabili le testimonianze che, fin dal
quarto millennio, trovava insediata una “cultura evoluta”, oggi nominata come
cultura Conca d’oro.
Palermo
come città di frontiera, cioè luogo di scambio culturale tra diverse popoli e
tra gli insediamenti diversificati al mare, in collina sui monti. La
descrizione che l’autore fa della forma delle coltivazioni, soprattutto
all’inizio della vite, dell’olivo e dei cereali (“trinità figlia del clima e
della storia” la definiva Braudel), e come si inseriscano poi, duraturi nel
tempo gli agrumi, segnando il paesaggio con i colori sgargianti dei frutti, è
piena di passione, ma soprattutto esplicita con attenzione le trasformazioni,
le ibridazioni, la costruzione di una civiltà.
Particolare
attenzione viene posta alla rivoluzione agraria introdotta dagli islamici, con
la loro attenzione all’acqua. L’autore esalta la visione complessiva di questa
cultura che lega uomini, animali e piante; la città con la campagna; “bisogni e
desideri”; la sussistenza e il commercio, la bellezza e il piacere. L’acqua
come elemento fondamentale per la vita e la coltivazione ma anche per la sua
capacità di contribuire a creare la bellezza del luogo. “Utilità e
contemplazione, cioè frutti e fiori, contemporaneamente presenti, sono
prerogativa dell’albero del limone: la coltura che, con gli altri agrumi, segna
l’ultima gloriosa pagina della Conca
d’oro e ne rappresenta al meglio il fascino paesaggistico fiorendo
ininterrottamente nel corso delle
stagioni”. Questi “giardini”, spesso promiscui di “melaranci, melangoli,
limoni, limoncelli, lumie, cedri, cedrati, cetrangoli” stregano quanti arrivano
a Palermo.
All’inizio
del ‘900 l’attenzione è ancora per il giardino ornamentale, ancora
per qualche tempo è possibile passeggiare negli agrumeti, godere di queste
bellezze “fruttifere”. Poi venne la
guerra, la seconda guerra mondiale, con
i terribili bombardamenti sulla città e, soprattutto, per il tema che qui
interessa venne il “dopoguerra”. La ricostruzione, non della città che per
decenni si caratterizzerà ancora per le zone sventrate dalle bombe, ma
piuttosto la costruzione della nuova Palermo, una costruzione senza sapienza,
senza cura, senza estetica, ma sola attenta al guadagno e con la speculazione
edilizia in mano alla mafia. Si può dire che quello che non fecero le fortezze
volanti delle forze alleate lo fece la mafia. Si distrusse un pezzo di città, i
villini della via libertà, spesso manufatti appartenenti al miglior liberty
italiano, per costruire palazzoni. Una distruzione-ricostruzione sistematica e
quando si paventava la possibilità, per altro molto rara data la permeabilità
della mafia, di un blocco amministrativo
(in difesa del patrimonio) per la distruzione di qualche villa, si procedeva
rapidamente con un incendio notturno. Intanto la città si ampliava e questo
ampliamento invadeva la Conca
d’ora, mentre il centro storico (uno dei più grandi d' Italia) degradava sempre
più e veniva abbandonato. Solo negli ultimi anni è iniziato un’opera di
recupero (anche se non sistematica).
Il “sacco
di Palermo”, un episodio di “mani sulla città” tra i più feroci sul piano
urbanistico e ambientale, con l’Amministrazione locale a tenere il sacco.
Un’amministrazione non tanto e non solo collusa con la mafia, ma fortemente
infiltrata dalla mafia. La mafia palermitana nominava, di fatto, sindaci e
assessori, con propri uomini di fiducia o direttamente con propri affiliati.
Nonostante un opposizione spesso vivace e qualche volta distratta, la
distruzione della Conca d’oro si è consumata. E se qualche parte si è salvata,
come quella del mandarino tardivo di Ciaculli,
non dipende tanto da un ripensamento, né dalla vittoria dell'ambiente e
dell’estetica sul soldo, ma solamente perché era (è?) utile alla mafia per organizzare la
trasformazione della droga.
L’autore
illustra bene questa parte della storia
di un pezzo di Palermo, rende edotti,
chi della città o è un abitante “distratto” (tanti sono gli abitanti
“distratti”) o un visitatore più o meno frettoloso. Rendendo esplicito che la
città, ancora, nonostante tutto, bella,
i chilometri di rettilineo che tutta
l’attraversano, costituiscono un'eccezione urbanistica, come il suo patrimonio
artistico testimonia della sua storia, sarebbe potuta essere ancora più bella e
attraente incorniciata dalla corona dei giardini. La Conca d’oro non è ormai più
godibile che per pezzettini minuscoli che non rendono la meraviglia di un tempo.
Questo di
Barbera è un libro di storia “naturale” e sociale, l’intreccio reale della
trasformazione, ma è anche una sorta di
galateo filosofico, le citazioni potrebbero essere diverse ma questa mi appare
come molto significativa: “la Conca d’oro conferma un
basilare dogma ecologico e culturale. Insegna che è solo il confronto tra
diversi, l’incontro reso possibile e non ostacolato o negato, che si compie
attraverso margini permeabili e non barriere invalicabili (muri, fili spinati,
recinti e respingimenti), a generare nuova vita, saperi e paesaggi che rispondono ai bisogni, sempre in
evoluzione, del mondo.”
Un libro
gradevole, leggero e profondo, una lettura da raccomandare a tutti ma
specialmente ai giovani che studiano e si interessano di territorio, di
ambiente e di paesaggio e che spesso guardano con occhi che semplificano troppo
i processi di trasformazione.
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