mercoledì 13 aprile 2016

Referendum, astensione, la “politica”


Diario n. 313
13 marzo 2016

Astenersi dal voto si può, è una possibilità e un diritto. I miei amici anarchici in generale non votano.
Ma quale è il significato del “non” voto? Pare di poter dire, senza possibilità di smentita, che il senso di questo atteggiamento  è il “tirarsi fuori”, e questo vale sia per chi esercita questo diritto per apatia o per convinzione. Il non voto esprime indifferenza verso le istituzioni, verso i meccanismi della democrazia, verso la “politica”. E questo vale per ogni manifestazione di voto, senza nessuna differenza tra voto politico e voto referenziale.
Ma questo diritto non pare possa essere esercitato da chi di politica vive, per così dire, di chi cioè di professione o temporaneamente svolge un ruolo dentro una istituzione (Parlamento, Governo, Comune, ecc.), o addirittura dirige un partito, corpo intermedio fondamentale di espressione politica e di sua organizzazione. Fa scandalo, non trovo termine diverso, leggere che il Presidente del consiglio, Matteo Renzi, o il Ministro Graziano del Rio, o i vicesegretari del PD Lorenzo Guerrini e Debora Serracchiani, o il capo gruppo al senato di Forza Italia Paolo Romani e tanti altri ancora in posizione più o meno rilevante di quelli citati, reputando il referendum “inutile”,  invitano gli elettori a “non votare” a disertare le urne, come si dice.
Quale è il ragionamento di questi pseudo dirigenti politici è presto detto: sono convinti che se si raggiungesse il quorum vincerebbero i “Si”, che reputano un errore economico e sociale. Allora per far vincere quello che per loro sarebbe il “No”, invitano a non votare, cioè a far mancare il quorum. Una vittoria con un sotterfugio.
Nel giugno del 1985, uno scontro durissimo oppose Bettino Craxi a Enrico Berlinguer, quando il PCI, sostanzialmente da solo, con anche il non pieno consenso della CGIL di Lama,  propose un referendum per abrogare il taglio di 4 punti di scala mobile decretato dal Governo Craxi. Una battaglia a viso aperto che segnò un’affluenza del 77,9% e decreto la vittoria dei “no” (il taglio rimase). Questo esempio ci dice che la politica ha il dovere di fare le proprie battaglie senza sotterfugi. In unj altro referendum, Craxi, imitato da Renzi per questo aspetto, invito all'astensione, e dette una precisa indicazione agli elettori: “invece di andare a votare andate al mare”.
Renzi e compagnia pensando che nel caso che fosse raggiunto il quorum vincerebbero i “Si” riconoscono di fatto che le ragioni del “Si” sono più convincenti. Ma perché le ragioni del “No” sono meno convincenti? Per ragione di comunicazione, per ragioni di contenuto, per la faciloneria con cui risultano sempre di più le decisioni del governo? Qualsiasi sia il motivo, si tratta di una causa politica. Questa non la si affronta e si fugge nell’astensione sollecitando la pigrizia dell’elettore, l’indifferenza e l’una e l’altra alimentando. Renzi e compagnia vengono meno al loro ruolo politico e istituzionale, non solo ma commettono un grosso errore politico.
Questo governo sembra appeso al referendum non quello sulle trivelle ma quello sulla modifica costituzionale: in quel caso Renzi vuole la vittoria dei “Si”, ma con quale faccia dopo avere invitato gli elettori a restare a casa dopo li inviterebbe a votare? Ma non è questione di faccia, per così dire, ma di credibilità.

Un politico ha il dovere di combattere per le proprie idee (giuste o meno), un uomo di governo ha il dovere di lottare per quello che pensa sia giusto per il paese (vero o meno che sia), non può scartare, non può nascondersi dietro un dito. Impegnarsi oggi per il “No” e domani per il “Si”, deve, insomma, invitare gli elettori a prendere sempre posizioni non all'agnosticismo a fisarmonica.   

Nessun commento:

Posta un commento