Da ASUR, 2017
Non ci si lasci ingannare dalla dichiarazione di “mitezza”
dell’autore, il suo racconto delle vicende universitarie all’interno della
Facoltà di Architettura, nonché le questioni che riguardano le vicissitudine
del governo della città di Napoli è tutto fuorché mite. Non perché Belli
coltivi l’astio, ma perché la “testimonianza” di queste vicende, che è uno
spaccato di potere pubblico e accademico,
di invidie e tradimenti, di intrighi e tentativi frustrati, in quanto
portando le stigmate della realtà ne mostrano la “violenza”. Se c’è una cosa
che meraviglia è la capacità di “resistenza” dell’autore dentro queste
vicissitudini: guardate con ironia queste vicende portano il segno di una
determinazione, che ancorché frustrata resiste e si ripropone. Si tratta della
consapevolezza di un ruolo, della convinzione circa l’utilità della propria
disponibilità, della sicurezza nei propri mezzi intellettuali e della certezza
dell’interesse collettivo esercitato dalla propria disciplina. .
Quella dell’autobiografia è un esercizio pericoloso,
nell’introduzione Belli espone i pericoli di tale esercizio (con abbondate
bibliografia), la consapevolezza dell’autore di navigare in un mare pieno di
pericoli lo porta a costringere il lettore quasi a dimenticare la soggettività
biografica per concentrare l’attenzione al “contesto”. Il contesto sia della vita universitaria, sia
della politica, sia delle tragedie che investano Napoli costituisce la trama
alla quale si intreccia l’ordito delle esperienze dell’autore. Da sempre Napoli
è il soggetto dell’attenzione di Belli, nei suoi lavori teorici, in quelli di
ricerca fino alle sue prove letterarie.
Nel primo capitolo, l’ossessione
di una passato glorioso, l’autore ricostruisce i tratti della sua
formazione. Gli incontri e i testi che costituiscono i mattoni di questa
formazione sono rilevanti e ampiamente citati dall’autore: tutto omogeneo e
compatto, sicuramente no, testi e personalità costituiscono un caleidoscopio.
Tutta l’evoluzione culturale dell’autore è caratterizzato da legami e rotture,
da adesioni e rifiuti. Cosi per la sua prima formazione, che schematizzando è
possibile nominare come “pianificazione scientifica”, paga il prezzo della
rottura con Quaroni, che a Belli pesa molto.
Al periodo di formazione si accompagnano esperienze
professionali di pianificazione nonché un primo ingresso all’università, prima
con una borsa e poi come tecnico. Tutti rose e fiori, non è da crederlo, ma il
peggio dovrà venire più avanti:, più si arricchisce la sua esperienza, più la
sua professionalità e la sua elaborazione diventa più ricca, in sostanza, più
cresce Belli, più crescono opposizioni, sgarbi, tradimenti.
Ma anche il contesto cambia, cresce, “dal 1968 al 1972 si sovrappongono, si
intrecciano, e infine si elidono due modi di vita e due paradigmi disciplinari
molto diversi tra di loro. Il passaggio dall’empirismo logico, dal planning
scientifico, al marxismo, all’analisi del conflitto urbano e dell’uso del
territorio nel diagramma delle trasformazioni sociali; la svolta politica e ideologica
del periodo prenderà corpo in campo disciplinare. È molto interessante, potrei
dire educativo, seguire il rapporto dell’autore con il contesto e come questo
diventi metodo. Il grande movimento di politicizzazione di massa non lo lascia
indifferente, e forte è l’attrazione nei riguardi dei tentativi di porre su
basi diverse sia l’analisi che l’intervento nella città e nel territorio. Belli
si impegna molto su questa riflessione, partecipa ad alcune iniziative
editoriali che questo nuovo punto di vista cercano di approfondire. La sua
attenzione si focalizza sui territori del mezzogiorno fornendo in un suo saggio
una interpretazione molto interessante (Potere
e territorio nel mezzogiorno d’Italia durante la ricostruzione 1943-1950)
che non accresce le simpatie dei “poteri forti”, economici, politici e
culturali, fuori e dentro l’università per il nostro autore. È anche un periodo
di impegno politico nella “nuova sinistra, e cerca, nell’organizzazione
napoletana di questa, declinare l’importanza delle questioni urbane e in
particolare del Nuovo centro direzionale di Napoli. Scarso successo. Così come,
in rappresentanza politica di questa sinistra entra a far parte della
Commissione edilizia del comune di Napoli, ma solo e isolato può poco.
Si tratta anche di grandi travagli all’università, con il
rifiuto riconoscere l’urbanistica come disciplina autonoma e importante, fino a
rifiutare la costituzione di un apposito dipartimento; ma non si tratta solo di
divergenze disciplinari e scientifiche, ma piuttosto di pesanti questione di
potere e di carriera. Belli partecipa a diverse concorsi, entrandone come Papa
e uscendone sconfitto. Tradimenti,
concorrenze tra diverse sedi, scarso appoggio della Facoltà, questo e altro fanno
attendere l’ordinariato a Belli fino al 1988. Da qui un nuovo percorso
universitario per il nostro. Dopo la chiamata è invitato ad afferire al
Dipartimento di Conservazione, del quale viene eletto direttore, ma il nostro
fa un eccellente lavoro di politica accademica per giungere alla formazione del
Dipartimento di Urbanistica (1996) e, finalmente, nel 2002, riesce a
istituzionalizzare il corso di laurea in Pianificazione territoriale. Ma non ci
si lasci ingannare non si tratta di una “ascesa al potere” in sé, ma piuttosto
della necessità di avere strutture istituzionali per garantire una crescita
disciplinare, la cura di giovani ricercatori, affermare, si potrebbe
sintetizzare, le ragioni della pianificazione in relazione anche alla città. La
ricerca metodologica assume la forma, nel 1994, della rivista CRU
i cui temi e il cui impegno ora è transitato nella rivista CRIOS:. Mentre molte sono le iniziative di ricerca, le
pubblicazioni e la partecipazione a ricerche internazionali.
Ma Belli non distrae il suo occhio dalle questioni della sua
città. Non si tratta solo di impegni e di responsabilità di incarichi, vedi il
piano territoriale, ma esercita il suo occhio critico
sulle trasformazioni della sua città. Continua il suo impegno sulle questioni
napoletane. Una delle vicende che più hanno interessato Napoli (“una delle
vicende più assurde e indecorose, di cui siamo tutti responsabili”, scrive
Belli) a cavallo dei sue secoli è la vicenda di Bagnoli. A cominciare dal 1990
l’acciaieria di Bagnoli declina e chiude nel 1993. Una grande iattura per l’economia e
l’occupazione dell’area ma anche, si disse, una grande occasione di rinascita.
Ma ecco che tra paure di speculazioni e un ambientalismo estremo, una
“pubblicità” esaltata contro il coinvolgimento dei privati, l’incertezza dei progetti,
al di là del riferimento ad attività innovative, l’esistenza di gruppi di interesse forti (ma
inetti) e l’incapacità di governo, mostra in tutta la sua crudezza il disastro.
Bagnoli è ancora là; oggi si ricomincia con le speranze, poche idee ma grandi
annunzi ed esaltazione.
Il libro di Belli cade a pennello nel dibattito politico che
dovrebbe animare la città in vista della prossime elezioni amministrative. O
per meglio dire cadrebbe a pennello se le forze politiche coinvolte fossero
effettivamente interessate ad un bilancio del passato e a riflettere su disegni
e prospettive per il futuro. Detto francamente a molti dei protagonisti il tema
sembra estraneo, mentre la sinistra si automacella tra antagonismi accettabili
e processi di selezione discutibili.
Sebbene non tema esplicitamente centrale del libro la
questione del necessario aggiornamento della teoria e della pratica urbanistica
attraversa tutto il percorso di Belli. Passaggi netti, chiarezza di intenti,
ma, personalmente, non convicente. Non si tratta di negare il necessario
allargamento del punto di vista, non si tratta di negare anche inefficienze e
lentezze del sistema di pianificazione, ma piuttosto di garantire il governo
pubblico delle trasformazioni urbane e territoriali, un governo guidato da
obiettivi strategici, che certo tengono conte delle trasformazioni in atto ma
non ne sono vittime. Così come l’ascolto
non mi sembra una stranezza per un urbanista, ma al contrario un elemento
costitutivo della sua metodologia. La dinamica della società non mette in
discussione il governo pubblico delle trasformazioni, ma solo la cattiva
urbanistica, così come la richiesta di una maggiore flessibilità non richiede
la cancellazione del piano ma piuttosto un articolata strumentazione per la sua
realizzazione in grado di cogliere i cambiamenti significativi. L’urbanistica,
come in più punti riconosce Belli, ha rapporti stretti con la politica, e
questo perché le scelte urbanistiche non sono tecniche ma politiche, ma spesso,
tutta la vicenda di Napoli ne è una
dimostrazione, la scelta politica si muove per soddisfare appetiti più
che bisogni, si fa condizionare da un ideologismo estremizzato, al punto da
essere pura astrazione, o mostra tutta la sua inettitudine. Con Belli, alla
lettera, “l’urbanistica … meriti di essere vissuta a pieno e difesa da accuse
che sparano con troppo faciloneria nel mucchio”.
Il volume contiene anche il racconto grafico di Paolo
Ceccarelli di un incontro allo IUAV centrato sulla figura di Belli: Attil
neapolitan o avventure del prof. Belli in padania.
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