mercoledì 13 aprile 2016

Attilio Belli, Memory cache. Urbanistica e potere a Napoli (CLEAN, Napoli, 2016)

Da ASUR, 2017
Non ci si lasci ingannare dalla dichiarazione di “mitezza” dell’autore, il suo racconto delle vicende universitarie all’interno della Facoltà di Architettura, nonché le questioni che riguardano le vicissitudine del governo della città di Napoli è tutto fuorché mite. Non perché Belli coltivi l’astio, ma perché la “testimonianza” di queste vicende, che è uno spaccato di potere pubblico e accademico,  di invidie e tradimenti, di intrighi e tentativi frustrati, in quanto portando le stigmate della realtà ne mostrano la “violenza”. Se c’è una cosa che meraviglia è la capacità di “resistenza” dell’autore dentro queste vicissitudini: guardate con ironia queste vicende portano il segno di una determinazione, che ancorché frustrata resiste e si ripropone. Si tratta della consapevolezza di un ruolo, della convinzione circa l’utilità della propria disponibilità, della sicurezza nei propri mezzi intellettuali e della certezza dell’interesse collettivo esercitato dalla propria disciplina. .  
Quella dell’autobiografia è un esercizio pericoloso, nell’introduzione Belli espone i pericoli di tale esercizio (con abbondate bibliografia), la consapevolezza dell’autore di navigare in un mare pieno di pericoli lo porta a costringere il lettore quasi a dimenticare la soggettività biografica per concentrare l’attenzione al “contesto”.  Il contesto sia della vita universitaria, sia della politica, sia delle tragedie che investano Napoli costituisce la trama alla quale si intreccia l’ordito delle esperienze dell’autore. Da sempre Napoli è il soggetto dell’attenzione di Belli, nei suoi lavori teorici, in quelli di ricerca fino alle  sue prove letterarie.
Nel primo capitolo, l’ossessione di una passato glorioso, l’autore ricostruisce i tratti della sua formazione. Gli incontri e i testi che costituiscono i mattoni di questa formazione sono rilevanti e ampiamente citati dall’autore: tutto omogeneo e compatto, sicuramente no, testi e personalità costituiscono un caleidoscopio. Tutta l’evoluzione culturale dell’autore è caratterizzato da legami e rotture, da adesioni e rifiuti. Cosi per la sua prima formazione, che schematizzando è possibile nominare come “pianificazione scientifica”, paga il prezzo della rottura con Quaroni, che a Belli pesa molto.
Al periodo di formazione si accompagnano esperienze professionali di pianificazione nonché un primo ingresso all’università, prima con una borsa e poi come tecnico. Tutti rose e fiori, non è da crederlo, ma il peggio dovrà venire più avanti:, più si arricchisce la sua esperienza, più la sua professionalità e la sua elaborazione diventa più ricca, in sostanza, più cresce Belli, più crescono opposizioni, sgarbi, tradimenti.
Ma anche il contesto cambia, cresce, “dal  1968 al 1972 si sovrappongono, si intrecciano, e infine si elidono due modi di vita e due paradigmi disciplinari molto diversi tra di loro. Il passaggio dall’empirismo logico, dal planning scientifico, al marxismo, all’analisi del conflitto urbano e dell’uso del territorio nel diagramma delle trasformazioni sociali; la svolta politica e ideologica del periodo prenderà corpo in campo disciplinare. È molto interessante, potrei dire educativo, seguire il rapporto dell’autore con il contesto e come questo diventi metodo. Il grande movimento di politicizzazione di massa non lo lascia indifferente, e forte è l’attrazione nei riguardi dei tentativi di porre su basi diverse sia l’analisi che l’intervento nella città e nel territorio. Belli si impegna molto su questa riflessione, partecipa ad alcune iniziative editoriali che questo nuovo punto di vista cercano di approfondire. La sua attenzione si focalizza sui territori del mezzogiorno fornendo in un suo saggio una interpretazione molto interessante (Potere e territorio nel mezzogiorno d’Italia durante la ricostruzione 1943-1950) che non accresce le simpatie dei “poteri forti”, economici, politici e culturali, fuori e dentro l’università per il nostro autore. È anche un periodo di impegno politico nella “nuova sinistra, e cerca, nell’organizzazione napoletana di questa, declinare l’importanza delle questioni urbane e in particolare del Nuovo centro direzionale di Napoli. Scarso successo. Così come, in rappresentanza politica di questa sinistra entra a far parte della Commissione edilizia del comune di Napoli, ma solo e isolato può poco.
Si tratta anche di grandi travagli all’università, con il rifiuto riconoscere l’urbanistica come disciplina autonoma e importante, fino a rifiutare la costituzione di un apposito dipartimento; ma non si tratta solo di divergenze disciplinari e scientifiche, ma piuttosto di pesanti questione di potere e di carriera. Belli partecipa a diverse concorsi, entrandone come Papa e uscendone sconfitto.  Tradimenti, concorrenze tra diverse sedi, scarso appoggio della Facoltà, questo e altro fanno attendere l’ordinariato a Belli fino al 1988. Da qui un nuovo percorso universitario per il nostro. Dopo la chiamata è invitato ad afferire al Dipartimento di Conservazione, del quale viene eletto direttore, ma il nostro fa un eccellente lavoro di politica accademica per giungere alla formazione del Dipartimento di Urbanistica (1996) e, finalmente, nel 2002, riesce a istituzionalizzare il corso di laurea in Pianificazione territoriale. Ma non ci si lasci ingannare non si tratta di una “ascesa al potere” in sé, ma piuttosto della necessità di avere strutture istituzionali per garantire una crescita disciplinare, la cura di giovani ricercatori, affermare, si potrebbe sintetizzare, le ragioni della pianificazione in relazione anche alla città. La ricerca metodologica assume la forma, nel 1994, della rivista CRU  i cui temi e il cui impegno ora è transitato nella rivista CRIOS:.  Mentre molte sono le iniziative di ricerca, le pubblicazioni e la partecipazione a ricerche internazionali.
Ma Belli non distrae il suo occhio dalle questioni della sua città. Non si tratta solo di impegni e di responsabilità di incarichi, vedi il piano territoriale, ma esercita il suo occhio critico sulle trasformazioni della sua città. Continua il suo impegno sulle questioni napoletane. Una delle vicende che più hanno interessato Napoli (“una delle vicende più assurde e indecorose, di cui siamo tutti responsabili”, scrive Belli) a cavallo dei sue secoli è la vicenda di Bagnoli. A cominciare dal 1990 l’acciaieria di Bagnoli declina e chiude nel 1993.  Una grande iattura per l’economia e l’occupazione dell’area ma anche, si disse, una grande occasione di rinascita. Ma ecco che tra paure di speculazioni e un ambientalismo estremo, una “pubblicità” esaltata contro il coinvolgimento dei privati, l’incertezza dei progetti, al di là del riferimento ad attività innovative,  l’esistenza di gruppi di interesse forti (ma inetti) e l’incapacità di governo, mostra in tutta la sua crudezza il disastro. Bagnoli è ancora là; oggi si ricomincia con le speranze, poche idee ma grandi annunzi ed esaltazione.
Il libro di Belli cade a pennello nel dibattito politico che dovrebbe animare la città in vista della prossime elezioni amministrative. O per meglio dire cadrebbe a pennello se le forze politiche coinvolte fossero effettivamente interessate ad un bilancio del passato e a riflettere su disegni e prospettive per il futuro. Detto francamente a molti dei protagonisti il tema sembra estraneo, mentre la sinistra si automacella tra antagonismi accettabili e processi di selezione discutibili.
Sebbene non tema esplicitamente centrale del libro la questione del necessario aggiornamento della teoria e della pratica urbanistica attraversa tutto il percorso di Belli. Passaggi netti, chiarezza di intenti, ma, personalmente, non convicente. Non si tratta di negare il necessario allargamento del punto di vista, non si tratta di negare anche inefficienze e lentezze del sistema di pianificazione, ma piuttosto di garantire il governo pubblico delle trasformazioni urbane e territoriali, un governo guidato da obiettivi strategici, che certo tengono conte delle trasformazioni in atto ma non ne sono vittime. Così come l’ascolto non mi sembra una stranezza per un urbanista, ma al contrario un elemento costitutivo della sua metodologia. La dinamica della società non mette in discussione il governo pubblico delle trasformazioni, ma solo la cattiva urbanistica, così come la richiesta di una maggiore flessibilità non richiede la cancellazione del piano ma piuttosto un articolata strumentazione per la sua realizzazione in grado di cogliere i cambiamenti significativi. L’urbanistica, come in più punti riconosce Belli, ha rapporti stretti con la politica, e questo perché le scelte urbanistiche non sono tecniche ma politiche, ma spesso, tutta la vicenda di Napoli ne è una  dimostrazione, la scelta politica si muove per soddisfare appetiti più che bisogni, si fa condizionare da un ideologismo estremizzato, al punto da essere pura astrazione, o mostra tutta la sua inettitudine. Con Belli, alla lettera, “l’urbanistica … meriti di essere vissuta a pieno e difesa da accuse che sparano con troppo faciloneria nel mucchio”.
Il volume contiene anche il racconto grafico di Paolo Ceccarelli di un incontro allo IUAV centrato sulla figura di Belli:  Attil neapolitan o avventure del prof. Belli in padania.



      

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