Diario n. 304
15/11/2015
Terrorismo. Perché?
Ma no: perché?
Chi ha tutto non può chiedere a chi non ha niente: perché?
Chi ha usato la fede per “civilizzare” il mondo non può
chiedere a chi usa Dio contro di noi: perché?
Chi fabbrica armi e poi li dà a chi uccide non può
chiedere: perché?
Chi ha portato la guerra, inventando menzogne, in altri
paesi per puro interesse non può chiedere a chi ci porta la guerra: perché?
Chi costruisce nuovi equilibri internazionale combattendo,
forse, il califfato ma pensando ai
propri interessi, non può chiedere alla strategia del terrore: perché?
Perché, perché, perché………………..
Tutti i possibili perché non giustificano le crudeli
uccisioni; non giustificano e basta. Ma forse ci fanno capire qualcosa.
Ma capire non ci libera dalla paura, dall'angoscia, dall'impotenza.
Oggi piangiamo tutti assieme gli amici francesi trucidati, ma non abbiamo
pianto qualche giorno fa gli amici libanesi morti in uno stesso attentato. Non abbiamo pianto i
morti kurdi bombardati dalla Turchia. Non abbiamo pianto … La nostra
solidarietà, il nostro rispetto della vita non è generalizzato. Di fatto
distingue, e questo non ci aiuta ad
essere liberi, né a capire.
Siamo orgogliosi della nostra civiltà, della nostra
libertà, della nostra convivenza, dei nostri diritti; ma questa civiltà che ci
pare attaccata e che vogliamo difendere è il risultato di misfatti, di orrori,
di genocidi. E con il lavoro sulle nostre coscienze, utilizzando la nostra
intelligenza, riflettendo su noi e gli altri, che, forse, ci siamo liberati da
quegli orrori perpetrati fino ad ieri (il secolo scorso è stato il tempo di una
carneficina continua), costruendo un non mai raggiunto livello alto di civiltà.
Ma niente e concluso, gli interessi spesso ci acciecano. La
riunione a Malta dei capi di stato sull'immigrazione la dice lunga sulla nostra
disponibilità all'accoglienza. I muri, i fili spinati, i fossati che molti
paesi stanno materialmente costruendo contro l’immigrazione la dice lunga su l’Europa
unita. Queste frontiere oggi sono “contro”
gli immigrati ma finiranno per essere le frontiere interne di un Europa divisa.
La divisione sta nella logica delle frontiere. Ci aspetta un’Europa molto più
frammentata di come è uscita dalla seconda guerra mondiale e forse meno civile
di quello che pensiamo.
Certo bisogna resistere all'emozione che parla alla
pancia, alla paura che prende il cuore, al senso di insicurezza che diventa modo
di vita. Bisogna ragionare, bisogna avere politiche efficaci ed efficienti. Sapremmo
cosa fare nel medio-lungo periodo, ma non possiamo farlo; le nostre condizioni
economiche e sociali, i nostri rapporti sociali, gli interessi che giocano
anche sopra le nostre teste non ci permettono di fare quello che sappiamo
andrebbe fatto.
Quando i due militari dell’ISIS nel video che gira in rete,
chiamano quanti di “loro”, sono umiliati in terra straniera, costretti a
chiedere l’elemosina, disoccupati, sottopagati, e li invitano a unirsi a loro
nel nome di Allah, sanno di fare un gioco facile anche se non di sicuro successo, per nostra fortuna. Ma
li chiamano alla lotta là dove si trovano, li invitano a prendere le armi che
hanno a disposizione e ad uccidere. Terrorismo diffuso, questa è la nuova
situazione.
Quando qualche imbecille propone di distinguere gli
immigrati che vengono da zone di guerra da accogliere (con attenzione e
parsimonia), dagli immigrati per bisogno (fame, sottosviluppo, ecc.) da
rifiutare e mandare indietro, inconsapevolmente (ma è possibile
inconsapevolmente) contribuisce a creano
le migliori condizioni di accoglienza agli appelli dell’ISIS.
C’è una politica di medio-lungo periodo. Ma quello che
bisognerebbe fare in tale tempo medio-lungo non si farà; si dirà; si useranno molte parole; ma non si
farà. Così il tempo medio-lungo
diventerà infinito e alimenterà nuove rivolte, nuovi terrorismi, nuove bandiere.
Non si farà perché non lo permette il nostro sistema sociale, non lo permettono
gli interessi economici in gioco, perché i “soci” che dicono di combattere l’ISIS
fanno i loro giochi. Agli immigrati non
saranno riconosciuti diritti di cittadinanza; le risorse dei singoli paesi non saranno
lasciati agli stessi per lo sviluppo; non si faranno sostanziosi investimenti internazionali
per lo sviluppo; al contrario si continuerà a corrompere, a sostenere dittature
spesso feroci, a saccheggiare le risorse, si asserviranno popolazione, si affameranno,
si sottrarrà l’acqua, …..
Ma anche se si facessero per il medio lungo periodo le cose
positive previste e prevedibili, resta il grumo terribile del breve periodo: l’ISIS
e il terrorismo. Che fare? Pensieri poveri
e contraddittori. Contro questo pericolo non basta l’intelligenza dei servizi
(il terrorismo diffuso e individualista, non ha corpo, non ha bisogno di
centrali, basta la predicazione), la prevenzione, certo, se ne siamo capaci, ma
sarà necessaria anche qualche forma di repressione: bloccare l’espansione,
liberare chi volontariamente si è fatto schiavo, liberare chi è oppresso in
nome di un Dio crudele che lotta per la sua supremazia. C’è anche uno scontro
militare all'orizzonte. No contro Allah, non serve, non uno scontro di civiltà,
quale è la civiltà proposta dall’ISIS se non un futuro di sottomissione e
privazioni, ma contro il terrorismo, contro un regime criminale, contro un
dittatura politica che si crea il proprio Dio. Dovrebbe essere una “pulizia”
fatta dagli stessi musulmani uniti con le forze internazionali, in una guerra
di liberazione. Ma pare difficile che i regimi musulmani, date le loro
divisione interne che alimentano lo stesso terrorismo e che sostengono l’ISIS, siano
disponibili per tale guerra di librazione..
In realtà non si farà nulla per il periodo medio-lungo,
si farà nel periodo breve una guerra priva di prospettive. E sulle macerie
sorgeranno nuove bandiere, nuove rivendicazioni e nuovi terrorismi.
Sentendo i capi di governo, ascoltando la voce della
gente, che quando impaurita dà il peggio di sé, non mi pare si possa essere ottimisti.
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