lunedì 26 gennaio 2015

Tsipras in Grecia, Podemos in Spagna. E noi? Maurizio Landini


Diario 278

Tsipras in Grecia, Podemos in Spagna. E noi? Maurizio Landini

La grande vittoria di Tsipras in Gregia, intanto dice una cosa chiara: arrivato ad un certo punto il popolo dice “basta!”. Ma dice un’altra cosa altrettanto chiara ci vuole qualcuno, un partito, un movimento, un leader pronto ad ascoltare e a guidare. Questo è avvenuto in Grecia questo sembra stia accadendo in Spagna.
Si tratta di movimenti “comunisti”? non so è troppo presto per dirlo e poi il “comunismo” ha bisogno di rinnovarsi (il come non è sempre chiaro), ma sono sicuramente movimenti contro la finanza internazionale, e non è poco, ma forse sono anche dei movimenti anticapitalisti e progressisti sul piano sociale e culturale. Si è vero: senza teoria niente rivoluzione, ma anche senza popolo niente rivoluzione.
Non si può che essere felici di questa vittoria, non si può che pensare che questa vittoria sia un buon viatico per la Spagna, non si può non sperare che la politica europea possa essere in mora e non mi riferisco solo all’austerità, ma all’avvio di una rifondazione dell’Europa.
E noi? Perché in Italia niente che vagamente somigli a quanto avviene in Spagna e in Grecia si muove? Non stiamo molto meglio di quei due paesi, i problemi del debito pubblico (cioè il laccio della finanza attorno al collo) ci accomuna, molto simile la disoccupazione, l’abbraccio della depressione ci cinge insieme, eppure in Italia niente si muove a quel livello.
I tre scotti che dobbiamo pagare per questa arretratezza  sono di tale entità che potrebbero deprimerci:
a)      Il primo di questi scotti riguarda il PCI e la sua trasformazione fino al Partito democratico, la sua incapacità e mancanza di volontà di essere il catalizzatore dell’insostenibilità della situazione e quindi della protesta. Il suo vestire gli abiti del “perbenismo politico”, l’assunzione piena del mercato capitalista come regolatore della vita economica, il rispetto degli “impegni” presi anche quando evidentemente si trattava di imposizioni. Infine di essere in parte compromesso con la cattiva, per usare un eufemismo, gestione della cosa pubblica.
b)      Il secondo scotto da pagare è alla “nuova” sinistra, a quell’insieme di forze di sinistra incapaci da vent’anni a darsi una struttura unica, aperta e dinamica. Contrasti di dottrina, contrasti di politica immediata, contrasti di leadership hanno reso improduttivo e distruttivo ogni ipotesi aggregativa. Per non parlare dei grandissimi danni prodotti dalla lotta armata. Ora si ricomincia lungo la stessa strada facendosi forti del successo in Grecia e di quello possibile in Spagna, senza capirne la lezione.
c)      Il terzo scotto da pagare, che è una derivazione dei primi due, dobbiamo pagarlo alla Lega e al Movimento 5*. La lega ha messo le sue radici nella pancia del nord alimentando una polemica contro Roma prima, contro il Sud dopo, contro gli immigrati adesso. Mai mettendo in discussione il meccanismo sociale complessivo, contenti dell’autonomia regionale grande fonte di corruzione. L’avventura politica imprenditoriale di Casaleggio e Grillo, è stata rapida a cogliere la protesta, è stata rapida a cogliere l’insostenibilità della situazione ed ha indirizzato questa e quella contro la “casta” (tutti ladri, tutti corrotti, ecc.). Si sono inventati dei meccanismi fasulli di democrazia diretta, hanno costituito uno sfogatoio della protesta nel web. 
Si, so, sono analisi sommarie, ma l’intento non era quello di analisi puntuali, ma quello di richiamare quelli che possono essere considerati degli ostacoli al manifestarsi di una protesta popolare (tipo indignatos) e soprattutto di mettere in luce una sorta di incapacità, perché fuori dal loro orizzonte culturale e ideologico, ad indirizzare la protesta verso obiettivi di trasformazione.  
Ma l’Italia è destinata all’inconsistenza dentro questo processo europeo (il cui sbocco a sinistra, per altro, non è garantito)? È possibile pensare di no?
Si è possibile, fermenti di movimento si colgono a più livelli e in varie occasioni, quanto legittimamente oggi è legato sia alla Lega (meno) che al M5*(molto di più), che nella sinistra del PD e nella frammentazione della sinistra può trovare una diversa opportunità di manifestarsi e finanche di organizzarsi. Si può dire che manca un leader, né un leader è possibile trovarlo nel panorama della sinistra, ma io credo che questo leader forse esiste è individuabile in  Landini. Il mio è uno sproposito azzardato, non so, ma sono convinto che quanti esaltano l’obbligo di Landini di restare dentro il sindacato, non abbiano colto né la gravità della situazione, né il ruolo di un leader necessario per avviare  un vero cambiamento, né abbiano riflettuto a come  il sindacato abbia bisogno di uno fronte politico che ne condivide l’azione.

Landini ha testa, Landini ha carisma, Landini ha seguito. Non ha bisogno di alcuna investitura, non ha bisogno  di garanti,   ha bisogno di prendere le redini di quel poco che c’è e di farlo crescere su un programma di progresso e contro la finanza (almeno): il popolo non ne può più.

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