venerdì 2 gennaio 2015

L’età dell’oro ci è davanti

L’età dell’oro ci è davanti
Diario n. 276

In questa fase di crisi si può essere disorientati fino a pensare che l’età dell’ora è passata, è quella che ci sta dietro le spalle. Ma mai come oggi è possibile un futuro migliore e mai come oggi non riusciamo a cogliere questo frutto (la mitica e simbolica  mela).
Mai come oggi lo sviluppo scientifico e tecnologico  è stato così potente e mai come oggi questo viene utilizzato contro di noi; mai come oggi il sistema di produzione capitalistico mostra non solo i propri limiti ma anche la sua natura oppressiva e mai come oggi esso si celebra e si “adora”; mai come oggi il “mercato” mostra in se stesso la sua incapacità di regolare l’economia verso il progresso collettivo e mai come oggi ogni controllo sul suo funzionamento è visto come un attentato alle generazioni future; mai come oggi l’ansia di libertà incarna aspirazioni di donne e uomini e mai come oggi siamo tutti vittime di un conformismo oppressivo; mai come oggi vediamo nella laicità la vera dimensione umana e mai come oggi si espandono credenze e fedi oppressive e di controllo delle nostre vite, fino a stupide credenze; mai come oggi esaltiamo la giovinezza come fondamentale per un migliore futuro e mai come oggi i giovano sono emarginati; mai come oggi viene esaltata la sapienza dei vecchi, il loro sapere, la loro esperienza e mai come oggi i vecchi costituiscono un peso; mai come oggi si aspira a relazioni libere ed emancipate e mai come oggi ci si chiude dentro recinti; mai come oggi abbiamo scoperto la possibilità della comunicazione infinita tra di noi e mai come oggi questa comunicazione è ridotta al xme, 6fantastica, condivido, ecc.; mai come oggi avanza il disgusto verso la corruzione e mai come oggi essa è invadente; mai come oggi la violenza ci pare vigliaccheria e mai come oggi si usa violenza sulle donne, sui diversi e sui bambini.
I mai come oggi potrebbero riempire pagine e pagine, la sua natura retorica è evidente, ma il problema è perché non si riesce a realizzare le opportunità offerte?

Credo che ogni atteggiamento nostalgico,  per i buoni partiti, la buona terra, i vecchi sapori, la seria scuola, i bravi dottori, ecc. costituisce un sentimento che non permette di raccogliere la mela.  Il passato non deve riempire i nostri occhi, ma le nostre coscienze e consapevolezze mentre gli occhi devono guardare avanti. Niente di tutto il passato che ci sembra bello e buono è stato di fatto bello e buono. Esso rappresenta un’esperienza da non rinnegare, che ha reso la specie umana per quello che è, nel bene e nel male,  ma da trasformare, da rivoluzionare.

Si è pensato che la trasformazione della società (la sua rivoluzione) avesse bisogno di un reagente nella società, di una rivoluzione culturale. Non poteva essere solo politica, in senso tradizionale. Si è anche detto che oggi non c’è un “palazzo d’inverno” da conquistare, la microfisica del potere intreccia i suoi fili con la nostra vita quotidiana, si insinua nei nostri rapporti familiari, nelle nostre relazioni più intime. Non si tratta di rinnegare niente di queste osservazioni e riflessioni (che costituiscono, comunque, patrimonio di élite) ma cercare di capire cosa e come sia possibile fare.
Personalmente non credo che questa rivoluzione culturale passi per le micro-esperienze. Si lo so, così dicendo rischio molto politicamente e teoricamente. Le micro-esperienze, ciascuno le faccia, a me sembrano una nascosta esaltazione di individualismo. Così come tutte le lotte, e parlo di una cosa seria, su singole questioni che non mettano in discussione la formazione sociale capitalistica (decrepita) sono destinate a non incidere realmente. In alcuni discorsi, ma forse le mie orecchie sono faziose, sembra che con un po’ di buona volontà individuale e politica, senza toccare niente di sostanziale dei rapporti sociali di produzione, sia possibile costruire una migliore e giusta società.

Una rivoluzione culturale ha bisogno di fascinazione, non di fanatismo; ha bisogno di leader, a tutti i livelli, in grado di parlare la stessa lingua e segnare lo stesso cammino, non di un capo; ha bisogno di svelare che il viaggio è più importante della meta, che non si sa come sarà la meta ma che invece è chiaro i passi che bisogna compiere, ha bisogno di sapere che niente ci è donato e che tutto dobbiamo conquistare.     
Dire che si tratta di un impresa ardua e improba è poco; dire che è necessario conoscere la realtà, capire il perché delle cose è il minimo, solo così si sa dove “intervenire”; dire che se si osserva con attenzione si vedono brandelli di futuro, alimenta la speranza. È  chiaro che solo i giovani (di età, di vigore, di determinazione, di sapere) possono guidare questo viaggio.

Voglio avanzare un’affermazione azzardata, in contrasto con quello che ho sempre pensato: oggi più di ieri la presa del palazzo d’inverno sembra essenziale. Mi sembra di capire che solo la relazione tra la rivoluzione culturale dentro la società e una trasformazione delle stanze di quel palazzo permette di avanzare. Certo c’è sempre il pericolo che chi entra in quelle stanze si sieda sui divani e si addormenta, ma forse se e contemporaneamente avanza la rivoluzione culturale il sonno sarà di breve durata.
Si possono avere giuste e importanti idee, sul denaro, sulle modalità di organizzare la vita lavorativa di ciascuno, sull’equità, sui diritti, sulla libertà, ecc., ma se non si possiedono le leve, o alcune leve, per trasformare lo stato di fatto le richieste che vengono dalla società rischiano di essere senza risposta. È la relazione funzionale e vitale che bisogna costruire tra rivoluzione culturale e leve del potere che può garantire che la strada sia quella giusta, che il viaggio è incamminato sui giusti binari.

È possibile, a condizione che si sconfigga, anche in noi stessi, l’idea che l’età dell’oro sia un ritorno al passato, ma piuttosto un cammino.  
       
   


     

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