L’età dell’oro ci
è davanti
Diario n. 276
In questa fase di crisi si può essere disorientati fino a
pensare che l’età dell’ora è passata, è quella che ci sta dietro le spalle. Ma
mai come oggi è possibile un futuro migliore e mai come oggi non riusciamo a
cogliere questo frutto (la mitica e simbolica mela).
Mai come oggi lo sviluppo scientifico e tecnologico è stato così potente e mai come oggi questo
viene utilizzato contro di noi; mai come oggi il sistema di produzione
capitalistico mostra non solo i propri limiti ma anche la sua natura oppressiva
e mai come oggi esso si celebra e si “adora”; mai come oggi il “mercato” mostra
in se stesso la sua incapacità di regolare l’economia verso il progresso
collettivo e mai come oggi ogni controllo sul suo funzionamento è visto come un
attentato alle generazioni future; mai come oggi l’ansia di libertà incarna aspirazioni
di donne e uomini e mai come oggi siamo tutti vittime di un conformismo
oppressivo; mai come oggi vediamo nella laicità la vera dimensione umana e mai
come oggi si espandono credenze e fedi oppressive e di controllo delle nostre
vite, fino a stupide credenze; mai come oggi esaltiamo la giovinezza come
fondamentale per un migliore futuro e mai come oggi i giovano sono emarginati;
mai come oggi viene esaltata la sapienza dei vecchi, il loro sapere, la loro
esperienza e mai come oggi i vecchi costituiscono un peso; mai come oggi si
aspira a relazioni libere ed emancipate e mai come oggi ci si chiude dentro
recinti; mai come oggi abbiamo scoperto la possibilità della comunicazione
infinita tra di noi e mai come oggi questa comunicazione è ridotta al xme,
6fantastica, condivido, ecc.; mai come oggi avanza il disgusto verso la corruzione
e mai come oggi essa è invadente; mai come oggi la violenza ci pare vigliaccheria
e mai come oggi si usa violenza sulle donne, sui diversi e sui bambini.
I mai come oggi potrebbero riempire pagine e pagine, la
sua natura retorica è evidente, ma il problema è perché non si riesce a realizzare
le opportunità offerte?
Credo che ogni atteggiamento nostalgico, per i buoni partiti, la buona terra, i vecchi
sapori, la seria scuola, i bravi dottori, ecc. costituisce un sentimento che
non permette di raccogliere la mela. Il passato non deve riempire i nostri occhi,
ma le nostre coscienze e consapevolezze mentre gli occhi devono guardare
avanti. Niente di tutto il passato che ci sembra bello e buono è stato di fatto
bello e buono. Esso rappresenta un’esperienza da non rinnegare, che ha reso la
specie umana per quello che è, nel bene e nel male, ma da trasformare, da rivoluzionare.
Si è pensato che la trasformazione della società (la sua
rivoluzione) avesse bisogno di un reagente nella società, di una rivoluzione
culturale. Non poteva essere solo politica, in senso tradizionale. Si è anche
detto che oggi non c’è un “palazzo d’inverno” da conquistare, la microfisica
del potere intreccia i suoi fili con la nostra vita quotidiana, si insinua nei
nostri rapporti familiari, nelle nostre relazioni più intime. Non si tratta di
rinnegare niente di queste osservazioni e riflessioni (che costituiscono,
comunque, patrimonio di élite) ma cercare di capire cosa e come sia possibile
fare.
Personalmente non credo che questa rivoluzione culturale
passi per le micro-esperienze. Si lo so, così dicendo rischio molto
politicamente e teoricamente. Le micro-esperienze, ciascuno le faccia, a me
sembrano una nascosta esaltazione di individualismo. Così come tutte le lotte,
e parlo di una cosa seria, su singole questioni che non mettano in discussione
la formazione sociale capitalistica (decrepita) sono destinate a non incidere
realmente. In alcuni discorsi, ma forse le mie orecchie sono faziose, sembra
che con un po’ di buona volontà individuale e politica, senza toccare niente di
sostanziale dei rapporti sociali di produzione, sia possibile costruire una
migliore e giusta società.
Una rivoluzione culturale ha bisogno di fascinazione, non di fanatismo; ha
bisogno di leader, a tutti i livelli,
in grado di parlare la stessa lingua e segnare lo stesso cammino, non di un
capo; ha bisogno di svelare che il viaggio è più importante della meta, che non
si sa come sarà la meta ma che invece è chiaro i passi che bisogna compiere, ha
bisogno di sapere che niente ci è donato e che tutto dobbiamo conquistare.
Dire che si tratta di un impresa ardua e improba è poco; dire
che è necessario conoscere la realtà, capire il perché delle cose è il minimo, solo
così si sa dove “intervenire”; dire che se si osserva con attenzione si vedono
brandelli di futuro, alimenta la speranza. È chiaro che solo i giovani (di età, di vigore,
di determinazione, di sapere) possono guidare questo viaggio.
Voglio avanzare un’affermazione azzardata, in contrasto con
quello che ho sempre pensato: oggi più di ieri la presa del palazzo d’inverno
sembra essenziale. Mi sembra di capire che solo la relazione tra la rivoluzione
culturale dentro la società e una trasformazione delle stanze di quel palazzo
permette di avanzare. Certo c’è sempre il pericolo che chi entra in quelle
stanze si sieda sui divani e si addormenta, ma forse se e contemporaneamente
avanza la rivoluzione culturale il sonno sarà di breve durata.
Si possono avere giuste e importanti idee, sul denaro,
sulle modalità di organizzare la vita lavorativa di ciascuno, sull’equità, sui
diritti, sulla libertà, ecc., ma se non si possiedono le leve, o alcune leve,
per trasformare lo stato di fatto le richieste che vengono dalla società
rischiano di essere senza risposta. È la relazione funzionale e vitale che
bisogna costruire tra rivoluzione culturale e leve del potere che può garantire
che la strada sia quella giusta, che il viaggio è incamminato sui giusti
binari.
È possibile, a condizione che si sconfigga, anche in noi
stessi, l’idea che l’età dell’oro sia un ritorno al passato, ma piuttosto un
cammino.
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