Diario 220
14-21 aprile 2013
- Bersani,
dalle stelle alla polvere: ingenuità e un po di ... incapacità
- E ora?
- I
voti che valgono
- Citazioni: nel bene e nel male (Rossana Rossanda, Angelo Tirrito)
Bersani, dalle stelle alla polvere: ingenuità e un
po di ... incapacità
In questi giorni,
campanello di amici, scambi di opinioni via telefono e mail con amici lontani,
lettura di giornali, riflessioni, considerazioni, ecc., permettono di stendere una sorta di resoconto
di tutta la vicenda. Certo si tratta solo di un interpretazione, che riprende
anche idee già espresse in questa sede.
Premetto che giudicavo e
giudico Bersani una persona per bene, ma in tutta la vicenda post elettorale
vengono fuori le sue debolezze, ma anche una strategia per la distruzione del
PD. Ma andiamo con ordine.
Il Presidente Napolitano,
a Camere insediate, incarica Bersani quale presidente del consiglio. Ma non gli
conferisce un “incarico pieno” ma un incarico
esplorativo per la verifica dell’esistenza di una “maggioranza
numericamente certa”. Napolitano ha
in mente un governo PD-PDL, una soluzione che Bersani non condivide e che sa
spaccherebbe il PD (ma questo è il disegno di Napolitano). Il primo errore di
Bersani è quello di non aver messo il Presidente con le spalle al muro
pretendendo un incarico pieno e se negato rifiutare l'incarico esplorativo.
Doveva fiutare la trappola e capire il disegno di Napolitano, non assecondarlo.
Dopo un po’ di traccheggi
di varia natura nei quali Bersani dichiara la volontà di costruire un governo
per il cambiamento antagonista al centrodestra e cerca di ottenere l'appoggio
del M5*, il tempo passa e si avvicina la scadenza delle lezioni del Presidente
della Repubblica. A questo punto Bersani
cede alla pressione che vuole il Presidente della repubblica “condiviso”
(soprattutto col PDL) avanza la proposta
di separare l’elezione del presidente
della repubblica, che va condivisa tra tutte le forze politiche, dalla questione
del governo. La partita del governo sarebbe stata affrontata dal nuovo
Presidente della repubblica. Napolitano, più che preoccupato è stufo e
amareggiato di non aver saputo e potuto piegare il pD all'accordo con il PDL,
così si inventa i “dieci saggi” (cioè il
perdi tempo o il guadagna tempo).
Il PDL, si scrive cosi ma
si legge Berlusconi, della separazione delle due questioni non è d'accordo. Un
presidente della repubblica condiviso va legato anche ad un accordo sul
governo, da chiamare come si vuole (grande alleanza, governo del presidente,
governo di scopo, ecc.) purché sia
esplicitamente formato dal PD e dal PDL). Bersani fa finta di non
sentire e di non capire, per di più pensa di avere un partito compatto e
comprensibile, in realtà non è compatto ed egli non lo capisce.
Pensando di fare bene,
Bersani evita la “rosa” dei nomi e privilegia un nome secco, che sottopone al
PDL, che sembra approvare, poi lo sottopone all’assemblea dei suoi grandi
elettori, nella supposizione che l’aver convenuto di eleggere un presidente
condiviso fosse compito suo cercare il nome adatto. Ma tra i grandi elettori
del PD, non tutti condividono la candidatura di Marini.(Renzi in modo esplicito
che candida Chiapparino, come uomo di bandiera). Marini, come è noto viene abbattuto
in aula.
Emerge con evidenza che
dentro il PD si sta combattendo una battaglia di potere e singole ambizioni la
fanno da padrone.
Il PD entra in
fibrillazione e in confusione. A questo punto Bersani cambia approccio, non più
un Presidente condiviso, ma un presidente di parte, e lancia Romano Prodi
(candidatura invisa oltre ogni misura dal PDL, altro che presidente
condiviso), un presidente eletto
soltanto dal PD con la speranza di avere qualche altro voto da racimolare tra i
montiano e da M5* (che ha inserito Prodi tra le possibili personalità da votare
come Presidente), per raggiungere il quorum..
Tutto sembrava fatto,
mentre si stava preparando una enorme frittata. Bersani si illudeva che ilnome
di Prodi avrebbe ricompattato ilo PD, e così sembrava. All’assemblea dei grandi
elettori Prodi trionfa, un’ovazione e una elezione all’unanimità. Nelle urne i
franchi tiratori impallino Prodi, che
ritira la sua candidatura.
Il PD sembra finito, la Bindi si dimette, Bersani
comunica che eletto il presidente della rapubblica si sarebbe dimesso anche
lui. Mentre le correnti si accusano vicendevolmente di tradimento.
Una cosa è certa il PD
non è in grado più di fare una proposta, anche perché nessuno accetterebbe di
essere maciullato nel trita carne che è diventato il PD.
L’operazione Prodi è
stata portata avanti in modo maldestro. Dato che non è possibile, come è noto,
trattare con il M5*, si poteva (doveva)
fare da parte di Bersani, una nobile dichiarazione che mettesse in luce la grande
portata della candidatura avanzata dal M5*, che sempre ha votato Stefano Rodotà
e che ha raccolto sempre più voti dei grandi elettori del M5*, ma anche la
caratura (esperienza, rapporti internazionali, ecc.) di Prodi; due personalità
che insieme avrebbero potuto fare uscire l'Italia dalla crisi economica e
istituzionale. Una dichiarazione che
affermasse esplicitamente o implicitamente che l’elezione di Prodi alla
Presidenza della repubblica avrebbe avuto come esito l'incarico di formare il
governo a Rodotà. Ma così non è stato, Bersani è stato preso dalla sindrome
dell’auto sufficienza. La bocciatura di Prodi getta il PD in marasma. Non ha
un'idea, non ha una possibilità.
Approfittando di questa
situazione, Berlusconi in accordo con
Monti (c'era da dirlo) hanno imposto a Bersani di andare tutti insiemi
e premere su Napolitano perché si
ricandidasse. Bersani è dovuto andare dal suo nemico e chiedergli di levarlo
dai guai e di continuare la demolizione del PD.
Napolitano, buon ,
grande, sicuro, ecc. presidente fa forza su se stesso (di questo non dubito)
e accetta alle sue condizioni (Governo
di tutte le forze, cioè governo PD/PDL); che ci siano queste condizioni è
evidente dalla dichiarazione e precisazione
non richiesta della presidenza della repubblica: “ Naturalmente, nei colloqui di questa mattina, non si è
discusso di argomenti estranei al tema dell'elezione del Presidente della
Repubblica”.
Napolitano è stato
eletto, l'allenza PD/SEL è stata rotta, e siamo in attesa del nuovo incarico a
formare il governo.
E ora?
Berlusconi canta vittoria
e pensa ad Alfano come vice presidente del Consiglio dei ministri.
Minniti, esponente del
PD, dichiara la sua contentezza per la vittoria riportata dal PD, n on avendo
la virtù dell'ironia i casi sono: non ha capito quello che è successo; il
disegno era quello di far fuori bersani e la maggioranza uscita dal Congresso e
dalle primaria; felice per ottura con SEL mal digerita da una parte del PD. Ma
Minniti a parte, i guai del PD sono solo all'inizio:
-
c'è una
parte, non piccola, che non accetterà un
accordo di governo con il PDL. É pronta fino alla spaccatura? Non si sa. Anche
perché alcuni “giovani turchi” parlano come vecchi politicanti;
-
Renzi non è
chiaro che cosa farà, non è certo che questo sia il suo tempo, ha paura di
farsi tritare dentro la guerra che c'è nel PD, guerra che ha contribuito a
innescare;
-
la
dichiarazione di Fabrizio Barca a proposito della candidatura di Napolitano
sembra farne un polo di riferimento degli scontenti, soprattutto di quelli
fuori dal parlamento.
SEL ha rotto l'alleanza
con il PD e si presenta come una polarità che potrà contribuire a ricostruire
una sinistra.
Il M5* sembra, insieme a
Berlusconi, esito scontato, uno dei vincitori. Ma forse un miliobne di voi in
più (che non so se ci saranno) non risolve nessun problema.
Il PD, o quello che
rimarrà, pagherà un prezzo elettorale enorme. Non è detto che il PDL alla fine
non prema per elezioni magari entro l'anno. Avrebbe molto da guadagnare.
Certo il tempo non è
favorevole, non solo in Italia, per una sinistra in grado di contrastare la
destra fallimentare sul piano sociale ma potente sul piano politico. Ma su
questo converrà riflettere, non ci sono facile ricette ma sicuramente amare
medicine.
I voti che valgono
In queste settimane molto
spesso per auspicare la coalizione PDL-PD, gli esponenti della destra hanno
rivendicato il rispetto per i voti ottenuti alle elezioni. Quello del rispetto
dei 10 milioni di voti è stato un tema ricorrente il rifiuto veniva presentato
come un'offesa ai milioni di elettori. Questa posizione, in realtà, sotto
traccia ha un’altra considerazione: che gli 8 milioni di voti ottenuti dal M5*
non meritassero lo stesso rispetto. Quello che si ripeteva
non era la maggiore forza del PDL rispetto al M5*, cosa in un certo senso legittima,
ma tutt’altro: che i voti del M5* non
meritassero lo stesso rispetto, insomma voti di catagoria B.
I democrazia i voti si
contano, non si pesano diversamente, e siccome non c’è nessuno in grado di
avere la maggioranza assoluta, si tratta di costruire qualche forma di
alleanza, ed eventualmente una alleanza PD-M5*, non disprezza gli elettori del
PD, ma solamente mette in chiaro una differenza politica.
Citazioni: nel bene e
nel male
Rossana Rossanda, sito Sbilanciamoci, 19 aprile 2013
La cosa più significativa
non è dunque solo che è mancato il primo nome per il Quirinale del
centrosinistra, forza seppur di poco maggioritaria, ma è venuta meno la
prospettiva di un governo di unità nazionale, che inglobava Silvio Berlusconi.
Bastava vedere il suo volto livido ieri sera, furente forse anche perché era
persuaso che quelli che lui chiama i comunisti, cioè i democratici, sarebbero
stati di una disciplina di ferro, mentre non hanno rispettato nessuna
decisione. Bersani avrebbe fatto per ieri pomeriggio un nome diverso “per uno
scenario del tutto diverso”, questo nome sarebbe Prodi con furore del Pdl e
giubilo della Margherita. Ma non è detto che Prodi sia molto gradito al Pd di
generazione ex comunista. Alcuni osservatori sottili mi spingono a pensare che
l’invito alla ribellione della base sarebbe stato sollecitato o addirittura
orchestrato da Massimo D’Alema il quale lavora sì per le larghe intese ma,
anzitutto, non è nel cuore dei grandi elettori e in secondo luogo preferirebbe
di gran lunga governarle lui medesimo; si darebbe dunque da fare per fucilare
uno dopo l’altro i nomi che a questo scopo erano stati fatti, da Marini in poi.
Si sa che D’Alema sarebbe gradito al cavaliere, perché le maglie delle larghe
intese nella versione dalemiana sono assai larghe.
Può darsi che il nome
del vincitore appaia da oggi pomeriggio ma, vista l’improvvisazione dei vertici
dei partiti, è possibile che gli sgambetti continuino, nella piazza del
Quirinale, come in quella di Palazzo Chigi”. (come si è constato è finito
peggio del previsto, con la riproposizione ferrea delle larghe intese, la
vittoria di Berlusconi. Mentre forse D'Alema ride sotto i baffi)
Angelo Tirrito, “A”, rivista anarchica, numero in stampa
“Non so quante volte ho scritto sia in questa rivista, ...
che quello cui tendeva il capitalismo finanziario attaccando per prima
l'Europa, iniziando dall'Italia, non era quello di fare soldi, perchè i soldi
li avevano già in abbondanza, ma per eliminare quanti più diritti civili e
politici dei cittadini
fosse loro possibile eliminare. Scuola, sanità, lavoro,
pensioni, libertà politica ecc. ecc. Inoltre cercavo di ricordare ai più
disattenti che l'attacco ai diritti civile condotta attraverso la gestione
della miseria, avrebbe resa necessaria la più capillare e bestiale repressione.
...
E l'Italia, per il semplicissimo fatto che ha una
costituzione più protettiva tra le altre contro i soprusi del potere, ha per
conseguenza assoluta e necessaria la firma del Presidente della Repubblica per
approvare una qualsiasi legge. E chi credete che sia il capo della magistratura
e delle forze armate? Bene, è il Presidente della Repubblica. E il potere sa
benissimo che senza magistratura e forze armate ben comandate la repressione
sarà una parola vuota di fronte alla
forza ed alla giusta disperazione dei lavoratori.
Ecco perchè Rodotà non poteva, per nessuna ragione al mondo
diventare
presidente della repubblica. Lo conosciamo e lo conoscono e
sanno che mai e
poi mai
Rodotà firmerebbe leggi di tali contenuti”.
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