venerdì 5 aprile 2013

Rossana Galdini, Palcoscenici urbani. Il turista contemporaneo e le sue architetture


Rossana Galdini, Palcoscenici urbani. Il turista contemporaneo e le sue architetture
Liguori Editore, 2011, pp.  121, € 19,90
Francesco Indovina
(in Archivio di Studi Urbani e Regionali, 2013) 


Il lavoro che si recensisce, appare di notevole interesse su due piani: da una parte perché affronta un tema conosciuto ma molto poco frequentato per la difficoltà di mettere ordine sistematico su una materia non solo molto articolata ma che presenta, insieme, costanti e variazioni. Il secondo motivo di interesse è come l’autrice documenta il fenomeno. Non mi riferisco solo alle immagini, ma anche alle accurate descrizione.  Il  recensore spera e si augura che l’autrice abbia potuto  viaggiare molto tra queste architetture alberghiere, in una sorte di “viaggio di istruzione” in un mondo piacevole, anche se connotato di qualche stuccevolezza. So che si è capaci di descrivere anche il “non visto”, ma spero che abbia potuto fare esperienza diretta, se non di tutte almeno di una parte delle situazioni descritte, e che ne abbia goduto.
Il punto di partenza dell’autrice si può riassumere, in parte con le sue stesse parole, è l’indagine di come le architetture, soprattutto, ma non solo, alberghiere, tentino di rispondere alla “dimensione di evasione dal quotidiano, di richiesta di autenticità o, al contrario, di inautentica dimensione onirica, le architetture creano scenari adeguati alla rappresentazioni richieste: palcoscenici urbani costruiti con elementi spettacolari e soluzioni architettonici sorprendenti, citazioni del passato, echi del contesto, ipermoderne tecnologie e richiami alla tradizione”.  
Le architetture, come è banale osservare, non sono state mai neutre (le architetture non l’edilizia) esse hanno avuto una componente, spesso non piccola, celebrativa, vistosa evidenza del potere (spirituale o materiale), apparato educativo, per  chi il potere non aveva, ma adatte a far riconoscere (e se possibile rispettare) differenze, scale sociali ed esclusioni. Quelle di cui si occupa Galdini pare che sfuggano a questo ruolo, esse sono, secondo l’autrice,  una risposta alla nuova caratterizzazione della  “domanda” turistica. Certo che la domanda ha un ruolo, ma come si risponde a questa domanda non sfugge, secondo la mia opinione, ai determinanti della società. “L’architettura postmoderna visibile nelle architetture turistiche contemporanee è soprattutto apparenza, fantasia, sogno. Al di là della funzionalità è pura invenzione formale, immaginaria, simbolica, metafora di una società dinamica  e complessa, e trova la sua collocazione in una città sempre più frammentata, luogo di sosta permanente, di passaggio, di consumo di mille tribù metropolitane che l’abitano l’attraversano e la vivono nella quotidianità”.  Non so se sono completamente d’accordo con questa formulazione, ma non è questo il tema, quello che mi pare utile mettere in  evidenza è che tale formulazione “distingue” poco, per così dire.     
Il turista è felice, è contento, che tutto questo sia stato costruito, organizzato, pensato, per lui, per i suoi bisogni interpretati e individuati senza neanche il bisogno di esporli. L’affetto che lo circonda lo gratifica, si gode questa, molto interessata, attenzione. Avendo fatta la sua scelta sa quello che lo aspetta e lo meraviglierà (l’atmosfera medievale o orientale, per esempio), tante sorprese nell’ordine del convenzionale.
Ma chi è il turista? L’autrice non tenta una classificazione, impossibile, ma mette in chiaro alcune delle contradditorie esigenze del turista contemporaneo.  Non la semplificazione secondo l’ambiente prediletto (il mare, piuttosto che la montagna, per esempio), non già secondo le esigenze dettate dall’appartenere ad una determinata fascia d’età (la tranquillità per l’anziano, il divertimento per il giovane), ma piuttosto soffermandosi su due sue caratteristiche “Una pluralità di domande vengono rivolte alla scena turistica, caratterizzate da due aspetti principali: varietà e ibridazione”. Si tratta di due aspetti che rendono impossibile qualsiasi tipo di identificazione: la varietà si presterebbe ad una possibile classificazione ma quando ogni varietà è ibridata da “esigenze, desideri, e aspettative diverse” allora ogni classificazione va a farsi benedire. Se fosse, quello di cui si scrive, uno studio sul turismo, questa impossibilità di classificazione risulterebbe grave, ma trattandosi di una ricerca sulle architetture che rispondono a domande varie e ibridate, danno senso alla varietà di queste architetture ciascuna delle quali “crea” un simulacro di una “cosa” desiderata.
All’interno di questo studio mi pare sia possibile distinguere la parte che riguarda gli alberghi,  dalla parte che riguarda le trasformazioni della città attraverso  la costruzione di architettura, in un certo senso, “eccezionali” ma adatte a soddisfare il turista. Trasformazioni, che nella terminologia dell’autrice, si configurano come “bolle” o come “set”. “La differenza tra la bolla e il set riguarda il fatto che la bolla implica il sentirsi a casa anche in un luogo lontano; è un prolungamento della casa. Il castello di Neuschwanstein è invece il set esterno alla bolla, espressione di partecipazione e full immersion, un set dove  il turista possa sentirsi altro e giocare un ruolo”.
Il turismo è un settore economico sempre più rilevante nelle economie di certe città e di certe regioni. Le nuove architetture o l’immagine del passato costituiscono l’attrazione, lo strumento per tentare di  fare concorrenza ai molti luoghi che vorrebbero attrarre a loro volta il turismo, e dove gli abitanti locali fanno la figura delle comparse. Per parlare di un caso ovvio ricordiamo quello di Venezia, ove l’esaltazione dell’unicità della città, definizione dal significato insondabile, mette assieme 50.000 residenti e 22.000.000 milioni di turisti.       
Ma proprio il caso di Venezia mette in tensione, in un certo senso, una componente del saggio di Galdini; quella relativa alla tipicizzazione del turista, o per meglio l’impossibilità di tale tipicizzazione.  In realtà l’autrice in alcuni passaggi mette in evidenza che esiste un problema si status economico ma lo mette in discussione in relazione alla nuova fenomenologia del consumo: “Nella concezione di consumo come indicatore di status sociale l’acquisto di particolari merci corrisponde ad un preciso stile di vita. In quest’ottica il consumo è ridotto ad una logica distintiva di riproduzione della posizione sociale degli attori”. Ma si potrebbe sottolineare non solo per la “riproduzione”, ma per l’esplicitazione di una posizione sociale raggiunta o conquistata (nel nostro paese, con specifico riferimento ai politici gli esempi riempirebbero pagine e pagine). “Le tendenze emergenti a partire dagli anni sessanta pongono in discussione questa visione. Si osserva, infatti, lo sviluppo di una nuova prospettiva ‘culturale’ della società dei consumi che considera il fenomeno per la valenza sociale simbolica  in sé dell’agire del consumo, e non solo in base alle differenze sociali.”   
Non sono un esperto di sociologia del consumo, ma le osservazione sopra riportate sembrano plausibili a condizione che li applichiamo ad un segmento molto ristretto della popolazione (non dico quella dell’ 1% ma molto vicina ad essa).  Il consumo è possibile convenire, e quello turistico in particolare, è legato alla  capacità a pagare di ciascuno; la tassonomia costruita dall’autrice che non tiene conto di questa variabile non vale, o meglio vale per un segmento della popolazione.  Il turismo che utilizza le architetture di cui il volume si occupa, sarà differenziato, sarà rinnovato, sarà ibridato ma a questa parte della popolazione appartiene.  Ma il testo non intende entrare in questo campo e si riferisce ad  un tipo “ideale” che esiste ma che è solo una parte della massa di turisti.
L’analisi, anche tipologica, delle architetture turistiche pare interessante, come pura quella  parte dedicata alle trasformazioni che queste architetture inducono nelle città. Si tratta di un tema che forse avrebbe meritato una maggiore attenzione perché, almeno così mi pare,  esiste  un nodo non facile da districare. Esistono delle architetture che si definiscono come attrattive (un museo, Bilbao; un albergo, Parco dei Principi di Sorrento; ecc.), esse attraggono in se stesse;  ma esistono anche delle città che sono attrattive in quanto tali (Parigi, Londra, Barcellona, ecc.) e che in parte, solo in parte, sono trasformate dalle architetture turistiche.  La loro dimensione, in un certo senso, garantisce la tenuta della loro specificità.  In quest’ambito le architetture turistiche, continuando ad usare questa categoria, possono se del caso  influenzare una parte della città, ma la città, nel suo complesso, ne esce indenne.
Quando ci si trova di fronte ad un modello di insediamento a “saturazione”, come è il caso di Venezia (50.000 residenti e 22.000.000 di turisti), la risposta all’articolata domanda (anche dal punto di vista economico) produce  una profonda trasformazione della città. Gli edifici più rilevanti si trasformano in hotel il cui numero di stelle non sempre è un indicatore sicuro di qualità; mentre nel ginepraio, di quella che è definita architettura minore, si ha una trasformazione che, in modalità diverse, soddisfa domande turistiche altre. Ma non è finito: un monumento della storia turistica veneziana, il Gran Hotel de Bain, viene trasformato in appartamenti, nell’ipotesi, non ancora verificata, che in questo modo sia possibile risolvere una crisi che ha investito un “luogo” ormai usurato agli occhi di un certo tipo di turismo.
 Appunto, come dice Galdini, il turista cambia (cambiano i desideri, le domande, le aspettative, ecc.) e cambia anche l’architettura che lo ospita. Ma l’industria turistica non è settore economico “facile”, e per quello che qui interessa,  non è un settore economico leggero, ma piuttosto un’industria pesante, nel senso che le sue realizzazioni, non funzionali in senso stretto al luogo dove sorgono, costituiscono spesso un segno anomalo.
Lo studio di Rossana Galdini, appunto sui palcoscenici urbani, come già ho avuto occasione di dire, mi pare di notevole interesse per chi fosse attento alle trasformazioni urbane e territoriali, offre un punto di vista specifico e particolare ma non per questo di minore importanza.          

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