Diario 191
24 – 30 settembre 2012
- Voglio essere incoronato
- Bersani e Vendola vogliono vincere?
- Il “Ponte di Messina”
- L’età dell’oro ci sta davanti
- La Polverini si è dimessa
- Caso Sallusti
Voglio essere
incoronato
No, No, No, No, No, No, No, Ni, Ni, Ni, Ni, Ni, Ni, Si. Finalmente il presidente Monti ha dato la sua
disponibilità un reincarico, sempre che
i partiti lo volessero e se il paese ne avesse bisogno. Una disponibilità
condizionata: non è disponibile a fare il ministro di un governo politico, ma
solo il
Presidente. Ormai è affezionato a questo titolo, ogni altra
denominazione gli sembra non adeguata alla sua personalità, al suo prestigio e
al gran lavoro che ha fatto. Quindi Presidente del Consiglio dei ministri o
della Repubblica.
Per tre volte Cesare allontano da sé la corona che Antonio
gli offriva. Monti non sembra resistere, vuole
essere incoronato.
Il professor Monti è un abile politico per non sapere che la
sua dichiarazione rimbalzando da New York avrebbe messo in difficoltà il più
dissanguato suo sostenitore: Pier Luigi Bersani che del sostegno a Monti ha
pagato e rischia di pagare il più alto prezzo.
E se il mondo politico italiano è entrato in fibrillazione
dopo questa dichiarazione, la borsa ha … apprezzato. E ci mancava che non lo
facesse: Monti è una garanzia per la finanza, disposto com’è ad affamare il
popolo per garantire la “giusta” remunerazione per la finanza (“giusta” in
quanto risultato di mercato, che poi il mercato sia determinato dalla stessa
finanza, sembra non turbare il suo liberismo e quello dei suoi proni).
Del resto cosa ci si può aspettare da un uomo che viene
riconosciuto come il “salvatore della patria”. Esiste nella storia un
“salvatore della patria” che la patria non vuole più continuare a salvare?
Ha salvato il paese? Ma non scherziamo! L’ho scritto tante
volte, mi scuseranno gli amici se lo ripeto: l’unica cosa che il professor
Monti ha salvato e il capitale e la remunerazione di investimenti ad alto tasso
di rischio; un investimento rischioso, come dice il termine sono a rischio ed
uno può perdere tutto. Quanti hanno prestato soldi all’Italia sapevano che
rischiavano, i loro consulenti analisti sicuramente stilavano dei rapporti
sulla situazione italiana e sulla sua solvibilità. Se hanno investito su Italia
sapevano di correre un rischio, di perdere cioè capre e cavoli, lo hanno fatto
lo stesso. Monti non ha fatto altro che annullare tale rischio e metterlo a
carico di tutti (se uno sbaglia l’investimento è logico che perda tutto a meno
di un angelo custode).
Giunti a questo punto, nella prospettiva di una
restaurazione montiana dopo le elezioni, conviene spacchettare la famosa agenda Monti e
sfogliarne le pagine.
L’unica pagina con un saldo positivo è la garanzia alla
finanza nazionale e internazionale che non avrebbe pagato pegno per i suoi
rischiosi investimenti. Bisogna dire che la finanza, come si addice agli
stomachi pelosi, non è stata neanche riconoscente: lo spread sta sempre molto
in alto e tutti affermano che dopo la
Spagna toccherà ancora all’Italia (e poi in fila ….).
La pagina dell’occupazione non può che essere segnata con la
matita blu.
Due o tre segni blu sulla pagina dell’occupazione giovanile.
La politica industriale non ha neanche una sua pagina, il
professore non crede all’interventismo pubblico, è il mercato che decide chi
investe e dove investire.
Le crisi industriali (Fiat, Alcoa, ……………..) vengono
appuntati ai margini della pagina occupazione con tanti punti interrogativi che
indicano incertezza di pensiero e indeterminatezza di intervento.
I consumi ha una pagina dove spiccano non provvedimenti di
crescita ma modalità di interventi fiscali.
Disagio sociale, disagio economico, disagio sanitario,
disagio alimentare, disagio scolastico, … fanno parte tutti di una paginetta
dal titolo ineliminabili “costi delle riforme”, il tempo provvederà.
È l’agenda di un cinico, di un carnefice, di un sadico, no,
assolutamente no! Il professor Monti è sensibile, come la sua ministra del
lavoro pensa con disagio al disagio di milioni di persone, ma sa di non poter
fare nulla. Il suo credo liberista, più forte della sua fede religiosa, gli
suggerisce che solo un mercato libero garantirà sviluppo, che i grandi capitali
vanno garantiti perché portatori di investimenti, che nella storia ci sono
sempre dei costi sociali da pagare, o meglio che gli altri, i più, devono
pagare, si tratta di una legge di … natura.
Il paese ha bisogno del professor Monti? Credo di no; forse
è meglio che il professor Monti torni a fare il presidente ma della Bocconi.
Bersani e Vendola
vogliono vincere?
Dopo il colpo assestato da Monti a Bersani e per suo tramite
a tutto il centro sinistra, non è chiaro
se la coalizione abbia voglia di vincere. Se lo volessero dovrebbero
essere molto chiari sul programma di
governo; altro che agenda Monti, altra agenda con in prima pagina riforme
popolari; che al primo posto non c’è la finanza, ma i lavoratori, i
disoccupati, i giovani. Avere accettato i “due tempi”, da sempre avversati, è
stato un errore, partiamo da qui.
Cresce il disaggio, chiamiamolo così, ma cresce anche il
rigetto, non della politica ma della cattiva politica. La gente vuole una buona
politica che guarda negli occhi i lavoratori e le loro famiglie, i giovani e le
loro speranze. Si è in grado di offrire questo? Questo è il dubbio. Il Pd
lacerato e in via di implosione (grazie anche a Monti), SeL poco concretamente
propositiva, il fango che travolge, i nuovi che premono. Se i due, assunti
emblematicamente, fossero in grado di mettere insieme un programma di contenuti
ma anche di fascinazione concreta potremmo farcela. Il popolo le forse sociali
aspettano.
Così la politica industriale deve essere vista come un
compito di governo che comporta scelte e indirizzi e che le aziende pubbliche
non sono un’anomalia ma forse l’architrave della società del xxi secolo. Le
banche tornino al loro mestiere alla legge del 1932. La riforma fiscale una
necessità e deve basarsi su equità, chi più ha più paga. Le pensioni non sono
un lusso mentre la pensione integrativa un imbroglio. La produttività non è
questione di salari e di ore di lavoro ma di investimenti tecnologici. Le
imprese si salvano con l’innovazione così come l’abbiente, e che mettere salute
e lavoro in contraddizione tra di loro è una furbizia di chi vuole ridurre il
paese al lumicino. Il mercato non può essere lo strumento per la sopraffazione
dei deboli, che esso va controllato, guidato e garantito; la mano invisibile, altrimenti,
finisce per essere la mano dei pochi contro i molti. La scuola e ricerca sono il domani della nostra società. L’organizzazione
pubblica va migliorata e riformata, perché sia più efficiente ed efficace ma
non per fare cassa per pagare la finanza. Stiamo in Europa per costruire una
società migliore, più giusta, solidale e accogliente e anche democratica.
Tutto questo, e altro ancora, andrebbe rappresentato in
provvedimento chiari ed espliciti. Un impegno con la società italiana. La gente
è stufa ma crede anche che il meglio sia possibile.
È questa la strada che potrà raccogliere la rabbia, il
malcontento ma anche la speranza che comincia a manifestarsi. Non c’è solo lo
schifo per la politica, c’è voglia di una buona
politica che guardi all’interesse dei più.
Il “Ponte di Messina”
Sembrava morto e defunto, cancellato dalle opere strategiche
della UE, eliminato come prioritario dal Cipe, ora i ministri Passera e Clini,
hanno ripreso la respirazione bocca a bocca del progetto per lasciarlo in
eredità al nuovo governo.
Un malaffare.
L’età dell’oro ci sta
davanti
Con questa affermazione apodittica e non commensurata al
presente vorrei sintetizzare il piccolo libretto di Antonio Pascale, Pane e pace. L’autore se la prende con
la nostalgia ignorante, e sulla base di quattro fotografie, quattro generazioni di uomini della sua
famiglia cerca di convincerci che il meglio può ancora accadere. Il tema è
sempre quello già trattato in Scienza e
sentimento, la ricerca, l’innovazione, le nuove tecnologie agricole sono
una risorsa ed un evento positivo per la specie.
Ne consiglio la lettura, appunto, come vuole la scienza,
critica e non fideista, ma aprire gli occhi si deve.
La Polverini si è dimessa
La presidente della Regione Lazio si è dimessa, ci mancava
non lo facesse, lei è parte non innocente ma partecipe della grande
spartizione. Ora cerca di resistere sulla fissazione della data delle prossime
elezioni, che vorrebbe allontanare da sé, governato senza il controllo neanche
del Consiglio. Entro tre mesi le elezioni, così detta la legge e così va fatto.
Dopo Lombardo, Polverini, aspettiamo Formigoni, ecc. Tutto
un personale politico frana nel malaffare, nell’approfittare, nell’incapacità,
nella volgarità. È tempo di rinnovo, ma non di facce, ma di carattere, di
competenza, di onestà, di senso del bene collettivo e anche di programmi. È
possibile.
Ma la cosa che stupisce e l’inconsapevole giustificazione
che molti protagonisti adottano, volando alto, come si dice, e appellandosi
alla “democrazia”, come quella di un gruppo consiliare costituito da una sola
persona (dal Lazio al Piemonte), alla “dedizione” al territorio (con rimborsi
annui di viaggi pari allo stipendio di tre operai), ecc. Sono queste le
posizione che alimentano l’anti politica, ma forse è proprio questo che si
vuole sperando nel … salvatore della patria.
Caso Sallusti
Sallusti deve essere contento, tutti i suoi maggiori nemici
si sono fatti in quattro per difenderlo dal carcere. Non voglio discutere se
l’ex direttore del Giornale meriti di
andare in prigione, è questione di diritto e di sua applicazione, ma forse
l’ordine dei giornalisti, oltre a difendere la sua libertà potrebbe avviare un
provvedimento di espulsione dall’ordine stesso. Non mi pare ci siano
giustificazione per un direttore di giornale che fa scrivere sul suo giornale,
sotto pseudonimo, un giornalista espulso dall’ordine per ragione in qualche
modo infamanti per un giornalista: informatore dei servizi segreti. Esiste o
meno una deontologia professionale anche per i direttori?
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