mercoledì 5 gennaio 2022

Futuro. Tutto deve cambiare

 

Diario 5 gennaio 2022

 

Cosa ci si aspetta possa capitare domani? Credo che la grandissima maggioranza delle persone spera nella fine della pandemia; una maggioranza spera contemporaneamente nella fine dell’incertezza economica e un assetto economico più stabile e più inclusivo. Qualcuno spera  nell’arrivo di soldi,  qualche altro spera in un maggior potere, qualcuno spera di incontrare l’amore della sua vita, qualcuno più modestamente spera in una casa migliore e adatta alla sua famiglia, qualcuno, figuriamoci, spera nella felicità. Tutto ovvio e  anche insensato.

Dallo schermo televisivo filosofi, economisti, sociologi, uomini di cultura (chi sa qual è il significato reale di questa locuzione), sacerdoti e cardinali ci dicono che il futuro è nelle nostri mani.

Il che ha un significato chiaro: il nostro personale futuro sarà quello che l’attuale organizzazione sociale ed economica ci assegna, in un certo senso ci impone. Erediteremo dal nostro passato: miserie e nobiltà, ricchezza e povertà, ignoranza e cultura, grettezza e generosità… Pochi riusciranno a liberarsi dalla propria eredità.

Ma se il futuro personale è in minima parte nelle nostre mani, quello collettivo potrebbe essere la realizzazione di quello cercato e desiderato,  ma solo e  a condizione che lo si cerchi e lo si voglia tutti insieme.

Nella storia dell’evoluzione della nostra specie ogni forma di organizzazione sociale che ci siamo dati ha finito per giungere ad un punto in cui, per dirla con il linguaggio corrente della politica, la spinta propulsiva di quella organizzazione sociale si indeboliva e svaporava. Così città-stato, grandi nazioni, imperi, ecc. sono decaduti, travolti per la povera energia propulsiva espressa. Si,  congiure di palazzo, guerre, pestilenze, ecc. ma se si guarda bene dentro si vede come in ciascuna organizzazione ha finito per il decadere della propria forza innovativa e per la sua capacità di integrazione.

È tempo che si riconosca che la società odierna, nelle sue varie forme e articolazioni, che siamo soliti chiamare capitalista, o industriale, o consumistica, ecc. fino a socialista, appare giunta alla fine della sua corsa. Non solo non è in grado di garantire le sue promesse, ma addirittura sembra regredire e mettere in discussione la stessa sopravvivenza del pianeta che conosciamo. Nei dibattiti sull’ambiente, sulla disoccupazione o sulla natura “nuova” del lavoro, sull’immigrazione, sulla povertà, sul razzismo, ecc. in realtà di questo si parla sotto le righe. E questo mette paura.

Imboniti come siamo dal piccolo schermo, accidiosi, impauriti, terrorizzati davanti ai reali cambiamenti necessari, ci pare che lo stato della nostra società non possa essere cambiato, si non è perfetto ma insomma non ci si sta male. Nessuno riflette che lo star bene di uno corrisponde allo star male di un altro.

Non si tratta di contrapporre riforme a rivoluzione, ma piuttosto operare per riforme-rivoluzionarie, a partire della cancellazione della proprietà privata dei beni capitali, con tutto quello che ne discende in termini di organizzazione del lavoro, di scelte produttive, di sicurezza individuale e collettiva, ecc. Per non parlare delle forme di rappresentanza politica e di democrazia diretta. O ancora sulla durata, i contenuti e le forme organizzative della scuola.

Detto questo mi affiora un sospetto, ma di questo vi parlo nel prossimo diario.

 

 

 

 

  

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