Il Manifesto, 5 maggio 2020
Ho
sempre sostenuto che la città costituisce la nicchia ecologica della specie
umana, cioè l’ambiente che ha permesso l’evoluzione stessa della specie. Una
nicchia ecologica offre alla specie insediata occasioni positive, ma anche
accidenti negativi che la specie deve superare
pena la sua scomparsa. Storicamente e sinteticamente possiamo dire che
la città ha offerto grandi occasioni di evoluzione (ambiente e rapporti
sociali, strumenti di conoscenza, avanzamenti tecnici e scientifici, ecc.), ma
anche accadimenti negativi (guerre, pestilenze, disoccupazione, fame, ecc.), e
che sostanzialmente la specie ha saputo affrontare e superare questi aspetti
negativi, magari caricando gli esiti negativi su una sola parte della
popolazione, e ogni volta, utilizzando la sua intelligenza e la collaborazione
con i suoi simili e non raramente il “potere”, ne è uscita più forte.
In
questo processo una costante: la città ha
costituito, per la specie umana, l’ambiente “rifugio”: il luogo di sempre crescente
concentrazione e la zona adatta per continui rilanci verso livelli superiori di
civiltà. Come sarà il dopo coronavirus, che forma e caratteristica avrà la città?
Intanto
guardiamo alla città durante
l’epidemia: la città vuota di persone fa impressione, anche perché viene negata
una delle sue prerogative fondamentali: strade e piazze luoghi di
socializzazione. Ma pare interessante che i cittadini prendano coscienza che
una città con uno scarso vissuto sociale è una contraddizione in termine, forse
da questa consapevolezza possono, forse, scaturire comportamenti diversi.
Il
secondo aspetto che molti osservatori declamano è la limpidezza dell’aria e dei
corsi d’acqua. Il cielo è trasparente, le albe e i tramonti hanno una
colorazione inusitata, le stesse nuvole, quando ci sono, ci appaiono diverse.
L’assenza della circolazione automobilistica, la chiusura di molte fabbriche,
la riduzione del riscaldamento domestico per effetto della buona stagione, sono
tutte le cause di eliminazione dello smog e della conseguente limpidezza
dell’aria.
Assumendo
queste due variabili come sintomatiche della situazione delle città durante
l’epidemia è possibile in modo del tutto ipotetico ragionare sulla eventuale trasformazione della città ad
epidemia finita. Ma non ci si può nascondere dietro un dito, la possibilità di
una riaffermazione che, contrariamente a quanto desiderato, tutto sarà come prima è reale. Perché tutto
potrebbe essere come prima? Perché mi pare che il governo (italiano ma non
solo) è animato dalla volontà di far ripartire il processo produttivo come era ex ante coronavirus, a parte di
qualche generica affermazione il tema è quello di pompare risorse verso il
sistema produttivo affinché riparta. Inoltre, si può osservare, che la
televisione mentre continua a elogiare i cittadini per il loro buon
comportamento, e continua ad informarci sul numero dei contagiati, sul numero
delle persone in terapia intensiva e sul numero dei decessi, poi e contemporaneamente
ci somministra dose massicce di pubblicità come nel passato, sostanzialmente degli
stessi prodotti e beni.
Il
tutto come prima significa la
riaffermazione di un liberismo, sul piano economico produttivo, la ripresa di
un consumismo irragionevole, una distribuzione della ricchezza fortemente
sperequata, , una disoccupazione endemica, una povertà crescente. E nella città
questo non può non significare una ripresa e aumento della mobilità meccanica
individuale, un ritorno dell’inquinamento dell’aria, una distribuzione della
popolazione secondo il principio dell’organizzazione sociale dello spazio,
determinato dalla rendita, la crescita dei poveri per strada, il deperimento
crescente dei beni collettivi, quartieri marginali e in alternativa, per chi se
li può permettere, zone molto attrezzate. Per non parlare di chi descrive le
meraviglia di tornare ad abitare in piccoli borghi; ma lasciamo stare.
Ma
potrebbe essere anche peggio. L’epidemia sta facendo sperimentare meccanismi di
controllo della popolazione, oggi ci garantiscano che questi strumenti non
comportano identificazione personale, ci credo, ma mi domando se una volta
sperimentati questi strumenti di controllo non saranno applicati in modo
generalizzato e segreto, per il “nostro” bene, privandoci da quote rilevanti di
libertà. Costruendo nuovi muri invisibili.
Si
potrebbe immaginare la trasformazione della città in senso ambientalista (non nella versione che considera l’ambientalismo
come una possibilità di “affari”), per il quale in Italia, ma non solo,
esistono forze, culture e, dopo il coronavirus, un’opinione diffusamente
positiva. Un sentiero di questo tipo non mette in discussioneil nostro sistema
economico produttivo (è uno dei suoi limiti) ma, nel migliore dei casi ne
indirizza le produzioni. È evidente che questo tipo di soluzione prevede diverse linee di approfondimento, resta
il fatto che una linea di questo tipo porta ad un miglioramento della città, ma
intacca meno i processi sociali-produttivi.
Una
terza soluzione potrebbe essere una che denominiamo genericamente socialista.
Un sentiero di questo tipo presuppone delle modifiche sostanziali nella
struttura economica-sociale. Si tratta di un punto di vista che fa perno sui
beni collettivi, a discapito di quelli individuali; che punta su un
innalzamento culturale della popolazione (istruzione permanente), su un
continuo tentativo di rendere reale un “buon vivere” per tutti, sullo sviluppo
di un strutture sanitarie pubbliche adeguate alle necessità, di un sistema di
infrastrutture di mobilità efficiente ed efficace, su un ambiente che recuperi
molto delle opzioni del sentiero ambientale su un principio di uguaglianza al
riparo di qualsiasi possibile discriminazione.
Ma
come sarà dipenderà da noi, dalla volontà di cambiamento che si sarà in grado
di introdurre nel dibattito politico e culturale, nell’organizzazione di forze
determinate e capaci. In realtà continuiamo a cincischiare e non abbiamo consapevolezza
di cosa sia necessario per cominciare a liberarci di alcune catene.
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