lunedì 18 novembre 2019

Per una svolta di governo




Diario 18 novembre 2019

I soci del governo hanno dei compiti di cui non si rendono conto, piegati come sono sul loro ombelico. Il primo di questi compito è evitare lo sbocco a destra della crisi della società italiana, quello che la stampa, un po’ miope, chiama “evitare che Salvini vada al governo”. Salvini e la Meloni non sono che il sintomo evidente della crisi della società. Le destre propongono ricette modeste ma di gran presa su una società sempre più disunita e ripiegata sul singolo e immediato interesse (lotta all’immigrazione, autodifesa, “la famiglia”, e poco altro). Sbaragliare questa prospettiva non dovrebbe essere difficile, ma è impossibile senza la messa in campo di un’ipotesi di società basata su libertà, uguaglianza, e salvaguardia e difesa delle giovani generazioni presenti e future.
Il secondo compito, appunto, è quello di offrire uno sbocco progressista e di sinistra alla crisi della società. Non si tratta, infatti, di una crisi economica, ma di una crisi che è economica, sociale, culturale e di prospettiva insieme. Certo che ci sono punti di resistenza, certo che ci sono dei segmenti, sottolineo segmenti, della società che hanno consapevolezza, ma questo non riesce, per impossibilità oggettiva, a diventare una prospettiva. Per esempio mentre trovo meritevole di entusiasmo che ragazzi e ragazze riempiano le piazze in difesa dell’ambiente, trovo sconvolgente che un compito così arduo sia affidato ai giovani, che “sanno” ma non “possono”, mentre il governo si “arrischia” a mettere una modesta tassa sulle plastiche (contestata al suo interno dopo essere stata approvata).
Il governo, guidato  avvocato Conte, che non sa che pesci pescare e come ripararsi dalle pietre che crisi aziendali, andamenti atmosferici, e “disattività” dei suoi sostenitori politici gli lanciano continuamente sulla testa. Veste i panni da statista, moderno Cavour che deve rifare l’Italia, ma sono abiti che gli stanno bene. I suoi tiepidi sostenitori pensano ciascuno al proprio interesse: mitigare qualche tassa, eliminarne un’altra perché tocca qualche proprio interesse (come i produttori di una regione), togliere la distribuzione di reddito da una parte e metterlo in un’altra parte, ecc.. Meschini e miserabili, pensano che salvare il proprio partitino sia la salvezza del mondo. Così l’ineffabile Renzi tuona contro eventuali elezioni anticipate, non rendendosi conto che per quell’obiettivo sta lavorando, gioca con il fuoco e finirà con il bruciarsi.. Non è l’ambizione che lo rovina, ma la sua vanità e inconsistenza. Per non parlare di Di Maio, che non si rende conto che il suo elettorato è sfumato, ed è sfumato verso destra ma non perché il movimento si è spostato a sinistra ma perché non ha saputo contrapporre un’idea diversa di quella dell’allora ministro degli interni, ed allora meglio l’originale. Tutti hanno paura delle elezioni anticipate, ma tutti lavorano a questo sbocco anticipato.
Tre anni non sono molto, ma non sono neanche pochi se spesi bene. Non si tratta di richiamare alla compattezza le forze di governo, quanto piuttosto di costringerli. Da questo punto di vista le elezioni anticipate sono un fortissimo deterrente: per Italia Viva, sarebbe la morte nella culla; per 5* il declino o addirittura la sua scomparsa. Né sarebbe necessario sostituire Conte, ma piuttosto che il PD, non per fiducia ma per necessità, prendesse l’egemonia nel governo con una prospettiva chiara e di sinistra (scusate di centro-sinistra). Non si tratta di risuscitare vecchi rimedi, quando piuttosto fare un’operazione di verità da una parte, e di fiduciosa prospettiva dell’altra parte.
Di verità: va svelata fino in fondo la crisi della società, tutti i panni sporchi vanno stesi al sole, senza rispetto per nessuno, senza rispetto anche dei furbetti che a sinistra si cono acconciati a non vedere e a non sentire (o forse veramente non vedevano né sentivano) costruendosi piccole convenienze. La verità non perché sia rivoluzionaria, come si dice, ma perché trattasi di operazione necessaria per sapere dove smacchiare, cosa cambiare, chi scacciare. Cogliere la crisi della società come espressione della crisi sistemica del capitalismo.
Una prospettiva di società è altrettanto necessaria, (non mi stanco di ripeterlo) non si tratta di recuperare quanto si muove nel sociale, certo anche questo, ma quello di cui si ha bisogno non è una somma di esperienze positive, quanto di un progetto che faccia nascere molte e nuove esperienze coerenti tra di loro e rispetto ad una prospettiva di cambiamento. Né si tratta di vecchi rimedi. I potenti di oggi non sono quelli di ieri, a quelli di oggi devono essere posti limiti e vincoli nell’interesse collettivo. Basta, per favore, con la litania di abbassare o cancellare le tasse: la sopravvivenza della società ha necessità di risorse che deve trovare in una imposizione progressiva, che liberi i redditi minori e colpisca i maggiori anche con la patrimoniale (che non è solo case). La disuguaglianza frena la crescita ripete il premio Nobel Stiglitz, non un rivoluzionario; egli sostiene che il capitalismo non è ancora morto, ma credo che forse merita di essere seppellito in una prospettiva di cambiamento della società. So che è facile dire un progetto di Liberta, Uguaglianza e Difesa e Salvaguardia delle nuove generazioni presenti e future, e che la sua elaborazione appare difficile, ma di questo abbiamo necessità. Il PD è forse in grado di far questo mobilitando intelligenze e speranze, ma deve liberarsi dall’idea di essere un pezzo di questa società, dovrebbe considerarsi un pezzo di quella avvenire. I tre giorni di riflessione di Bologna non ha aperto una prospettiva di trasformazione sociale ma, almeno, non si sono sentite le solite cose. Il PD deve essere in grado di prendere la leadership del governo, non tanto in una prospettiva della trasformazione sociale, ma almeno per mettere a tacere le piccole ambizioni personali di piccoli leader e impostare dei provvedimenti coerenti almeno con i discorsi riformisti che il PD sembra esprimere. Questo potrebbe non pacificare ma stimolare le forze sociali, la loro aggressività progressista alimentata, potrebbe  mobilitare le forze per sempre che sentono la necessità di un più profondo cambiamento. È chiedere troppo? Forse; è sperare? la situazione ci spinge in questa direzione. Che Dio non accechi chi governa e le forze sociali mobilitate. Se non  fosse così non ci resterebbe che guardare sgomenti l’uscita a destra dalla crisi.    



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