domenica 17 novembre 2019

PD: gli anni '20 del 2000, tutta un'altra storia; entusiasmo, novità, ...ma


Diario 16 novembre, 219

Ieri ho partecipato all’apertura, a Bologna, dell’assemblea del PD “gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia” dedicata ai lavori per la definizione del programma di quel partito per gli anni ’20 di questo secolo in contrapposizione agli stessi anni del ‘900.
Un’apertura molto partecipata, con una forte presenza di giovani. I discorsi che sono stati fatti mi son sembrati interessanti, per alcuni versi anche nuovi (con la riserva che dirò) e cercano di delineare una linea di intervento politico che affronti gli elementi di crisi della nostra società (definita anche, gramscianamente, “crisi di sistema”, con le implicazioni che questa definizione dovrebbe  comportare). Si è potuto notare uno sforzo per uscire dai luoghi comuni e dalle parole ormai usurate, tipo “sostenibilità”, anche se talvolta la lingua ha battuto denti non dolenti ma immaginati come tasti di successo, è il caso della riduzione delle tasse.
Oggi i partecipanti si riuniranno in sei laboratori ciascuno dedicata a singole tematiche. Un’assemblea plenaria, domenica, chiuderà queste giornate con un dibattito a cui parteciperanno personalità, amministratori, scienziati, sindacalisti, ecc. Saranno presentati gli esiti dei lavori dei laboratori. Conclude, come tradizione, il segretario Zingaretti.
Ho voluto esporre l’ordine dei lavori perché mi pare che si tratti di un tentativo serio di elaborazione, di fare i conti con la crisi della società e di provare, anche nell’incertezza della durata del governo, ad elaborare un progetto di futuro.
Eppure nell’assemblea, in cui sono stato attento uditore, i discorsi fatti, mi hanno determinato uno stato di inquietudine e la percezione dell’esistenza di un vuoto. Per un verso si sono ascoltate  testimonianze di persone impegnate in vari settori (dall’università, all’accoglienza), per un altro verso  sono state avanzate proposte di ordine generali che si aveva la sensazione volassero in un vuot , anche i discorsi dei ministri intervenuti (Franceschini, Ascani  e Gualtieri) sono apparsi meno incartati dalla funzione ministeriale (Gualtieri molto ministro) e tesi a porsi i problemi dello stato delle cose, così come pure i brevi interventi dei politici (dal sindaco della  città, dall’ideatore dell’iniziativa, Cuperlo, allo stesso Zingaretti), non sono riusciti a colmare  quella che ho sentito come un’assenza.  
Più o meno tasse, più o meno tecnologia, più o meno digitalizzazione, più o meno riforma dell’amministrazione pubblica, più o meno evasione fiscale, più o meno istruzione, più o meno accoglienza, più o meno solidarietà, più o meno economia circolare, ecc. sembrano cose più o meno buone, ma non in grado di modificare la situazione. Quello che appare ai miei occhi fondamentale è stata la mancanza di  consapevolezza che il sistema sociale e di produzione, che chiamiamo capitalismo, non solo non funziona più e non è in grado di soddisfare le aspettative che promuove, ma è la causa della crisi sociale (del nostro paese e non solo). Pori questo problema è fondamentale per  una forza di sinistra, anche perché non è chiaro come questo sistema possa essere modificato e superato. Non vale l’ipotesi della presa del palazzo d’inverno, non può funzionare più un sistema “misto” (quello vigente in Italia negli anni ’50-’70, e che molti paesi ci invidiavano), non possiamo e forse non vogliamo adottare il modello cinese, ecc. Ma allora? quello che pare certo è che il sistema debba essere superato per salvarci e salvare il mondo.
L’insoddisfazione non dipende dal fatto che non sia stato esplicitato “come” il sistema potesse essere modificato, ma dall’inconsapevolezza di dove sta la matrice dei mali d’Italia e del mondo.
Non si tratta di estremismo comunista, ma dello stato dei fatti, tanto per fare un esempio la salvaguardia della natura è possibile solo a partire dal superamento del sistema sociale, delle sue regole, delle sue convenienze e dei suoi poteri. Il che vuol dire fare uno sforzo, senza facili determinismi, per narrare (secondo l’espressione in uso oggi) la società che si vorrebbe: ruolo e limiti della proprietà privata dei mezzi di produzione; limiti all’accumulazione (onesta) di ricchezza; limiti all’eredità; garanzia di reddito e di servizi a tutta la popolazione; il ruolo della scuola libera ma sapiente; riduzione dell’orario di lavoro e strumenti di partecipazione e di suo impiego per interesse sociale; libertà religiosa, compreso l’ateismo; democrazia attiva; esaltazione e sviluppo di una cultura libera e di un pensiero creativo; posizionamento libero delle donne nella società; ruolo dei tecnici e della tecnologia; capacità di accoglienza; sicurezza personale; azioni che limitino gli effetti sull’ambiente; ecc. ecc.
Questa consapevolezza da una parte e questo sforzo di un’immaginazione razionale con ampi margini di libertà, dall’altra parte,  pare possano definire la strada per l’uscita della crisi della società verso orizzonti di libertà e di progresso. Certo passi, piccoli o grandi che siano, ma tutti che si muovono dentro un sentiero di trasformazione, una forma pensata e affidata ai soggetti sociali di rivoluzione.
Attendiamo le conclusioni per sapere se la “mancanza” percepita sia stata colmata, almeno come avvio.


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