Diario 16 novembre, 219
Ieri
ho partecipato all’apertura, a Bologna, dell’assemblea del PD “gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia”
dedicata ai lavori per la definizione del programma di quel partito per gli
anni ’20 di questo secolo in contrapposizione agli stessi anni del ‘900.
Un’apertura
molto partecipata, con una forte presenza di giovani. I discorsi che sono stati
fatti mi son sembrati interessanti, per alcuni versi anche nuovi (con la
riserva che dirò) e cercano di delineare una linea di intervento politico che
affronti gli elementi di crisi della nostra società (definita anche,
gramscianamente, “crisi di sistema”, con le implicazioni che questa definizione
dovrebbe comportare). Si è potuto notare
uno sforzo per uscire dai luoghi comuni e dalle parole ormai usurate, tipo
“sostenibilità”, anche se talvolta la lingua ha battuto denti non dolenti ma
immaginati come tasti di successo, è il caso della riduzione delle tasse.
Oggi
i partecipanti si riuniranno in sei laboratori ciascuno dedicata a singole
tematiche. Un’assemblea plenaria, domenica, chiuderà queste giornate con un
dibattito a cui parteciperanno personalità, amministratori, scienziati,
sindacalisti, ecc. Saranno presentati gli esiti dei lavori dei laboratori.
Conclude, come tradizione, il segretario Zingaretti.
Ho
voluto esporre l’ordine dei lavori perché mi pare che si tratti di un tentativo
serio di elaborazione, di fare i conti con la crisi della società e di provare,
anche nell’incertezza della durata del governo, ad elaborare un progetto di
futuro.
Eppure
nell’assemblea, in cui sono stato attento uditore, i discorsi fatti, mi hanno
determinato uno stato di inquietudine e la percezione dell’esistenza di un
vuoto. Per un verso si sono ascoltate testimonianze
di persone impegnate in vari settori (dall’università, all’accoglienza), per un
altro verso sono state avanzate proposte
di ordine generali che si aveva la sensazione volassero in un vuot , anche i
discorsi dei ministri intervenuti (Franceschini, Ascani e Gualtieri) sono apparsi meno incartati dalla
funzione ministeriale (Gualtieri molto ministro) e tesi a porsi i problemi
dello stato delle cose, così come pure i brevi interventi dei politici (dal
sindaco della città, dall’ideatore
dell’iniziativa, Cuperlo, allo stesso Zingaretti), non sono riusciti a
colmare quella che ho sentito come
un’assenza.
Più
o meno tasse, più o meno tecnologia, più o meno digitalizzazione, più o meno
riforma dell’amministrazione pubblica, più o meno evasione fiscale, più o meno
istruzione, più o meno accoglienza, più o meno solidarietà, più o meno economia
circolare, ecc. sembrano cose più o meno buone, ma non in grado di modificare
la situazione. Quello che appare ai miei occhi fondamentale è stata la mancanza
di consapevolezza che il sistema sociale
e di produzione, che chiamiamo capitalismo, non solo non funziona più e non è
in grado di soddisfare le aspettative che promuove, ma è la causa della crisi sociale
(del nostro paese e non solo). Pori questo problema è fondamentale per una forza di sinistra, anche perché non è
chiaro come questo sistema possa essere modificato e superato. Non vale
l’ipotesi della presa del palazzo d’inverno, non può funzionare più un sistema
“misto” (quello vigente in Italia negli anni ’50-’70, e che molti paesi ci invidiavano),
non possiamo e forse non vogliamo adottare il modello cinese, ecc. Ma allora? quello
che pare certo è che il sistema debba essere superato per salvarci e salvare il
mondo.
L’insoddisfazione
non dipende dal fatto che non sia stato esplicitato “come” il sistema potesse
essere modificato, ma dall’inconsapevolezza di dove sta la matrice dei mali
d’Italia e del mondo.
Non
si tratta di estremismo comunista, ma dello stato dei fatti, tanto per fare un
esempio la salvaguardia della natura è possibile solo a partire dal superamento
del sistema sociale, delle sue regole, delle sue convenienze e dei suoi poteri.
Il che vuol dire fare uno sforzo, senza facili determinismi, per narrare
(secondo l’espressione in uso oggi) la società che si vorrebbe: ruolo e limiti
della proprietà privata dei mezzi di produzione; limiti all’accumulazione
(onesta) di ricchezza; limiti all’eredità; garanzia di reddito e di servizi a
tutta la popolazione; il ruolo della scuola libera ma sapiente; riduzione dell’orario
di lavoro e strumenti di partecipazione e di suo impiego per interesse sociale;
libertà religiosa, compreso l’ateismo; democrazia attiva; esaltazione e
sviluppo di una cultura libera e di un pensiero creativo; posizionamento libero
delle donne nella società; ruolo dei tecnici e della tecnologia; capacità di
accoglienza; sicurezza personale; azioni che limitino gli effetti sull’ambiente;
ecc. ecc.
Questa
consapevolezza da una parte e questo sforzo di un’immaginazione razionale con
ampi margini di libertà, dall’altra parte, pare possano definire la strada per l’uscita
della crisi della società verso orizzonti di libertà e di progresso. Certo
passi, piccoli o grandi che siano, ma tutti che si muovono dentro un sentiero
di trasformazione, una forma pensata e affidata ai soggetti sociali di
rivoluzione.
Attendiamo
le conclusioni per sapere se la “mancanza” percepita sia stata colmata, almeno
come avvio.
Ma Barca non ha affrontato da par suo le "mancanze" da Lei denunciate?
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